Report dal convegno “Da Edoardo Gellner alle esperienze contemporanee. L’architettura del colore” (Cortina d’Ampezzo, 7 dicembre), di cui il Giornale è media partner
CORTINA D’AMPEZZO (BELLUNO). L’Associazione culturale Edoardo Gellner ha rinnovato l’appuntamento annuale con il convegno ampezzano sull’architettura alpina, dopo il successo dell’edizione 2017. Al merito di promuovere un focus sull’attualità dell’architettura nei contesti montani, senza mai dimenticare gli esempi del passato, quest’anno si è aggiunta l’interessante scelta di far ruotare l’evento intorno al tema del colore e delle sue molteplici implicazioni. La giornata si è articolata, come la scorsa edizione, in due sessioni. La mattinata è stata dedicata a tre approfondimenti teorici che hanno esplorato l’argomento del colore da diverse angolazioni, mentre la parte pomeridiana si è sviluppata nella forma di una tavola rotonda con riflessioni teoriche mescolate a testimonianze dalla pratica del progetto e della pianificazione territoriale.
La deriva del mondo effimero
Pietro Zennaro
, docente dello IUAV e artista, ha aperto i lavori ricordando che il colore influisce sulla percezione della forma e dell’ambiente che ci sta intorno ma purtroppo, salvo casi rari, non viene insegnato nelle facoltà italiane. La conoscenza, teorica e pratica, delle regole di base per la combinazione e l’armonia cromatica nei luoghi costruiti dovrebbe ricevere maggiore attenzione, perchè la percezione è fenomeno complesso di sinestesia che sollecita i nostri sensi e può cambiare la realtà percepita. Un percorso di immagini e accostamenti – dall’«Elogio del buon governo» di Ambrogio Lorenzetti agli asettici grattacieli delle downtown contemporanee – ha rilevato l’importanza e le implicazioni del colore nell’architettura. E se, da un lato, la colonia alpina di Gellner a Borca di Cadore è dimostrazione concreta di una “pratica cromatica” che deriva da un background culturale ed esperienziale dell’architetto, dall’altro è evidente la progressiva trasformazione del linguaggio verso l’appiattimento della vitrea gamma cromatica dei grattacieli globalizzati – a Dubai come Londra o Parigi – che rispondono a un’univoca logica di lucro commerciale.
La ricchezza del post-modern
Renato Barilli
, già professore di fenomenologia degli stili al DAMS di Bologna, ha rispolverato l’evoluzione del post-moderno analizzando in chiave cromatica il superamento del verbo Moderno e il rigore purista che vedeva nella riduzione ai colori primari e nella supremazia del bianco alcuni degli stilemi più evidenti. I “leziosi” colori post-modern sono stati esplorati attraverso un excursus iconografico che ha toccato le architetture di Ettore Sottsass, gli oggetti di design di Alessandro Mendini fino alle pennellate di Günther Förg. La colonia di Borca di Cadore di Gellner è stata riportata al centro del convegno con un appassionato elogio alla sua architettura “colorata” e con un’invettiva che il docente bolognese ha scagliato senza freno contro la società attualmente proprietaria del complesso, rea di lasciarlo in uno stato di decadimento che lo fa essere un vero e proprio “caso nazionale”.
La ricerca nella materia cromatica
Clino Trini Castelli
, artista e designer a tutto tondo, ha ripercorso la sua lunga e articolata esperienza, dai giovani inizi nel settore della ricerca industriale del Centro Stile Fiat e Olivetti (per la quale ha curato la corporate identity con i famosi “quaderni rossi”) alla fondamentale esperienza dello studio Sottsass. In ogni esperienza emerge la centralità del colore, la continua e instancabile ricerca nel campo dei materiali e della tecnologia applicata e, non ultima, l’importanza del meta-progetto come strada aperta da percorrere verso la molteplicità delle soluzioni e in opposizione all’unicità del progetto. Diversi i richiami alle molte attività sperimentali di avanguardia che hanno anticipato le applicazioni, divenute oggi d’uso quotidiano, con un approfondimento finale sul tema del “color-scape”. Gli esempi di piani del colore presentati hanno evidenziato le possibili declinazioni di metodo – dall’imposizione del “piano del principe”, alla ricostruzione storica del “piano del filologo”, fino alla democraticità del “piano dei cittadini” – offrendo suggestioni e spunti di riflessione sulle relazioni fra colore, architettura e paesaggio nella città contemporanea.
Fra teoria e pratica
La tavola rotonda è stata aperta da Antonio De Rossi, ordinario del Politecnico di Torino, che ha posto l’accento sull’anomalia che ancora oggi perdura intorno all’architettura di montagna e che obbliga spesso a sottostare a regolamenti che impongono scelte materiche e cromatiche inneggianti una presunta tradizione. È invece più che mai necessario guardare alla storia in maniera costruttiva, per evitare lo svuotamento dei significati di una pratica edilizia che si limita ad uniformarsi a regolamenti che non generano qualità. La forza degli esempi proposti – dalle avanguardie del ‘900 a Gellner, da Bruno Taut a Charlotte Perriand a Peter Zumthor – ricordano architetture che hanno avuto la forza di esprimere il concetto che costruire in montagna richiede una comprensione profonda dei caratteri singolari del luogo, della particolarità della luce, delle forme, dei colori, della materia.
Adriano Oggiano, architetto e dirigente della Provincia dell’Alto Adige, ha portato la testimonianza da una delle regioni che ha fatto della qualità della trasformazione territoriali uno dei tratti maggiormente distintivi. Il Sudtirolo è una delle aree più tutelate d’Italia (il 36% è soggetto a vincoli ambientali) e la restante parte gode di un equilibrio che nasce dalla capacità di governo di piani urbanistici di quarta generazione, di processi partecipati e del supporto di Comitati per la cultura architettonica e il paesaggio derivati dal modello austriaco. È un processo verticale di controllo della qualità che, come ha rimarcato De Rossi, ha la capacità di superare la divisione fra piani locali e sovraordinati, collocando al centro la qualità del progetto.
Enrico Scaramellini, architetto e docente al Politecnico di Milano, ha portato la sua esperienza di progettista impegnato nel contesto valtellinese. Le opere presentate sono progetti di recupero e riqualificazione del patrimonio montano esistente e rendono conto di un’attenzione alle peculiarità del contesto, all’uso di materiali e colori con un’attenta analisi del territorio di montagna. Sono progetti che cercano di risarcire il territorio contribuendo in modo consapevole alla trasformazione del paesaggio.
Andrea Canziani, architetto e docente impegnato nel DO.CO.MO.MO. International, ha ricondotto l’attenzione sull’importanza del colore e della materia che formano l’architettura, sottolineando quanto si sia persa la sensibilità nei loro confronti. Un’intelligente esplorazione dell’eredità del Moderno ha fatto emergere che le architetture dei Maestri non mancavano di colore, semplicemente si affidavano al colore e alla verità della materia, come nel caso degli edifici in beton brut. L’equivoco ingenerato dalle tante iconiche immagini in bianco e nero ha troppo spesso portato a travisare la realtà di opere moderne che erano tutt’altro che prive di colore. Spesso oggi non si ha la giusta conoscenza del passato, da cui derivano interpretazioni sbagliate sul colore che, per sua natura, è un materiale debole, sottovalutato o male compreso, ma che deve essere conosciuto e difeso per il suo intrinseco valore di bene comune.
Dopo una digressione d’immagini di architetture colorate estratte dalle pagine di «The Plan», presentate dal direttore Nicola Leonardi, la giornata si è conclusa con un salto nel mondo dell’editoria. Francesco Chiamulera, ideatore della rassegna ampezzana “Una Montagna di Libri”, ha moderato il divertente confronto fra Beppe Cantèle, fondatore della casa editrice Ronzani, e Roberto Abbiati, artista e illustratore, che hanno descritto alcuni aspetti dell’architettura tipografica e dell’ideazione grafica delle copertine dei libri.
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architettura alpina , congressi
Last modified: 17 Dicembre 2018
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