La 35° edizione della più importante mostra mondiale del settore riporta alla ribalta, tra ceramiche parquet e ceramiche granito, l’antica querelle sull’etica dei materiali e dell’architettura
Nella fluidità dell’argilla s’impasta una vecchia questione che forse vale la pena di riesumare, perché, come vedremo, nulla pare più alla moda del ritorno al passato. Così, anche in questa edizione, la sistematica promozione della capacità camaleontica della ceramica (a volte parquet, altrove granito) riporta alla ribalta l’antica querelle sull’etica dei materiali e, quindi, su quella dell’architettura.
Un autore come Frank Lloyd Wright, profeta di un’architettura in cui “ogni materiale avrebbe glorificato sé stesso” che cosa avrebbe sussunto di fronte al proliferare di superfici perfettamente squadrate, venate, scabre delle quali, non fosse per il tatto, la vista non avrebbe il minimo dubbio? Solo un approccio sinestetico è in grado di svelare l’inganno, ma la distanza tra l’esperienza dell’originale e la sua copia fomenta la schizofrenia sensoriale tra marmi troppo caldi e leggeri e legni troppo freddi e pesanti.
Il dibattito tra verità e menzogna non è però all’ordine del giorno, com’era invece nelle lettere di Friedrich Schiller, e oggi quello che conta è soprattutto un fatto d’immagine e superficie, ossia di vista. Tutti gli altri sensi vengono in seconda, come già scriveva Juhani Pallasmaa…
La ceramica con la sua fluidità gioca in edilizia la carta dell’elemento mutante, a simulare levità o pesantezza del tutto indipendentemente dalla sua reale consistenza materica: tendenza persistente quella che la porta a imitare il parquet, la resina o il cemento, ammiccamenti più recenti, quelli che già si evidenziavano nella scorsa edizione e in questa trionfano, ricalcando arazzi o carte da parati da un lato, marmi, veneziane, cementine e graniglia dall’altro.
Il prossimo passo, e un anticipo delle tendenze che domineranno in futuro, forse si intravede nell’elemento che manca a queste ispirazioni e che affiora in alcuni prodotti sperimentali: ossia il riferimento al mondo animale e con esso alla pelle, con la sua grana e le sue venature minute, come si intravede nella linea Mukka di La Faenza (Cooperativa Ceramica di Imola) o con le sue squame, nella discretizzazione della pelle di serpente che, elegantissima, l’intramontabile Bisazza propone con un disegno di Greg Natale.
Nel campo della levità, la proposta più affascinante è forse quella di Antonio Citterio e Patricia Viel per Marazzi (Grand Carpet), a tradurre in una tessitura sfuocata a mosaico memorie di disegni antichi ed effimeri su lastre di grande formato che a parete sembrano tende, e a terra paiono talvolta ricami, talaltra ombre di foglie e di fronde.
Sul fronte opposto, a favore della matericità e della massa, originale la collezione Artwork, di Casamood (Florim), con pannelli di grande formato a restituire la lucentezza e l’uniforme irregolarità che ha la graniglia nel battuto veneziano o il marmo nella palladiana, in una variazione nella pezzatura degli elementi che reggono l’accostamento, traendone un efficace canale prospettico.
Quando però si chiede alla ceramica di esaltare la matericità sua propria, senza incorrere in processi d’imitazione, l’estetica premia le manifestazioni della sua malleabilità, con le tracce delle sue impressioni, che siano geometrie d’artista o graffi di macchine a controllo numerico. Il grés assorbe al negativo la presenza delle cose, restituendo l’impronta della loro assenza, come fanno le foglie nei pannelli di Maria Luisa Brighenti per la collezione di Cerasarda, Abitare la Terra.
La possibilità di registrare ciò che c’era e che è andato perduto fa della ceramica un prodotto di tendenza per la sua capacità di rendere eterna la memoria. Anzi, se si considerano contemporaneamente il continuo avanzamento tecnologico che caratterizza i processi di cottura e produzione e l’indirizzo prevalente dei trattamenti di superficie, tra riproduzione di mattonelle in graniglia o cementine, il grés diventa uno dei materiali più rappresentativi del nostro tempo, da un lato continuamente proteso al futuro, dall’altro disperatamente nostalgico di qualunque passato.
In questo segno anche la ripresa delle texture delle carte da parati o dei loro frammenti quasi fossero strappi d’affresco, proposta nella quale convergono, con qualche variazione, tutti i più importanti brand, favorendo o incoraggiando un effettivo ritorno dei rivestimenti cartacei per interno ma anche per esterno, per salotto come per bagni, con texture innovative su un prodotto rinnovato che, per Wall & Co hanno firmato tra gli altri lo Studio Pepe, Tommaso Guerra, Giovanni Pesce.
La ceramica, assumendo un materiale ad ispirazione o metafora, lo promuove, collaborando a sostenere mercati di nicchia e altissimo pregio, in cui quello stesso materiale, puro, diventa il protagonista assoluto. Ciò accade per la carta da parati così come per i metalli che, da inserti e ispirazioni di un’infinità di collezioni ceramiche, con l’azienda De Castelli, diventano un preziosissimo e autonomo rivestimento, oggetto di un disegno originale al pari delle tecniche di lavorazione e corrosione utilizzate a definire un prodotto in larga parte artigianale.
Sul piano del gusto e delle collezioni, tuttavia, il mondo della ceramica si muove con lentezza e la gran parte dei prodotti sono déjà vu della precedente edizione di questo Cersaie. È sul piano delle tecnologie che invece l’avanzamento si fa più sensibile. L’obiettivo è la resistenza della superficie continua: il grande formato verso il quale si orientano gli investimenti della gran parte delle aziende produttrici, prima tra tutte Florim che, con le sue lastre di 320 cm, segna un primato in questo campo.
Immagine di copertina: Marazzi, Grand Carpet, Citterio e Viel
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cersaie 2017
Last modified: 2 Ottobre 2017