Nell’attuale scenario che vede l’assenza di coordinamento delle azioni di contrasto al rischio sismico, l’urbanistica gioca un ruolo essenziale e può porre le basi per progetti strategici di prevenzione come “Casa Italia”
—La complessa vicenda geologica e sismica legata al movimento in corso tra le grandi placche tettoniche, che sta mettendo a dura prova i territori della dorsale appenninica e non sembra fermarsi, evidenzia ancora una volta l’ineludibilità di una politica di prevenzione integrata e non settoriale, continuativa e non episodica.Lo scenario che abbiamo davanti non mette soltanto in discussione l’eterogeneità e talvolta l’arretratezza e il conflitto tra le carte del rischio prodotte a livello nazionale e locale. Ma va aldilà anche dell’assenza di coordinamento delle azioni di contrasto alle condizioni di rischio geomorfologico, idrogeologico, sismico e strutturale – di cui i drammatici episodi del centro storico di Amatrice (nella foto di copertina, i danni alla scuola Romolo Capranica) e dell’Hotel Rigopiano costituiscono simboli eloquenti – che richiede un approccio multidisciplinare e multiscalare e in cui il ruolo di una buona urbanistica è essenziale quanto quello delle scienze della terra e delle costruzioni. È in gioco infatti una più complessiva capacità di ripensare il rapporto tra comunità e insediamenti urbani nello spazio e nel tempo, uscendo da una dimensione puramente edilizia, specialistica e settoriale, in specifiche condizioni di interazione tra una molteplicità di rischi. Infatti, nelle aree interne, i rischi connessi alla sicurezza entrano in sinergia con altri: da quelli di abbandono agricolo e forestale alla desertificazione connessa ai cambiamenti climatici e più complessivamente alla marginalità sociale ed economica tendenzialmente accentuata dai processi di abbandono delle aree terremotate, che riducono il grado di consapevolezza delle comunità nei confronti della complessità delle condizioni critiche, amplificando le ricadute negative di quei rischi. D’altro canto, se spostiamo lo sguardo verso le aree urbane e metropolitane, quei rischi si ripresentano, seppur con diverse declinazioni, combinandosi con altri: dalla vulnerabilità microclimatica all’inquinamento di suoli, acque ed aria, al rischio idraulico e di impoverimento eco sistemico e ad un analogo problema di crescente marginalità che accentua la separazione tra “città dei ricchi e città dei poveri”.Le aree montane e quelle urbane sollecitano un’unica Agenda urbana a livello nazionale in cui proporre strategie e tattiche adattive, multiscalari e multidisciplinari, per prevenire e contrastare i diversi rischi fisici, sociali ed economici, rafforzare progressivamente le capacità di resilienza delle nostre città e dei nostri territori, orientare coerentemente le priorità di intervento e di spesa uscendo dalla frammentazione di provvedimenti settoriali.Come Istituto Nazionale di Urbanistica abbiamo perciò accolto con entusiasmo l’iniziativa di Casa Italia, avviata dall’ex presidente del Consiglio Renzi nel settembre scorso, attraverso un primo documento propositivo strettamente legato alle aree interne devastate dal terremoto di agosto (Cfr. INU, Un impegno continuativo e tre passi contro le macerie, settembre 2016). L’approccio delineato dall’ex premier, nel corso del primo incontro con le istituzioni, le associazioni e gli enti coinvolti nell’iniziativa, è stato quello di progettare in modo incrementale la convivenza con i rischi, mettendo a sistema l’insieme dei programmi, dei tanti progetti pensati negli ultimi anni (dal PON Città al Bando delle periferie, dal Piano per le aree degradate ad Urban e Urbact) e di quelli futuri per le città e i territori italiani, a cui dare quindi uno sfondo strategico unitario di prevenzione integrata, di media e lunga durata, da declinare nei diversi contesti geografici. Ecco perché Casa Italia va rilanciata come un grande progetto di resilienza urbana e territoriale di scala nazionale, pienamente allineato con l’impostazione che l’Europa sta dando all’azione pubblica in campo ambientale, infrastrutturale e urbano, sia dal punto di vista politico-amministrativo sia della ricerca e sperimentazione a tutti i livelli, anche per orientare coerentemente le direzioni di spesa dei fondi comunitari evitando la dispersione nei mille rivoli delle domande puntuali e sollecitando invece una capacità progettuale complessa da parte dei soggetti pubblici e privati.La prospettiva è quella di una governance multilivello e di una cooperazione tra attori e competenze diverse capaci di gestire una stagione di programmi integrati di prevenzione e rigenerazione, a forte guida pubblica nazionale, con riferimento ad una strategia di adattamento proattivo alle diverse condizioni di rischio, in cui l’urbanistica può e deve svolgere un ruolo centrale di convergenza di saperi e aspettative rigenerando se stessa. Una prospettiva quindi utile anche a ottimizzare e rendere più efficaci le risorse finanziarie esistenti attraverso le necessarie sinergie dentro piani, programmi, progetti, politiche e pratiche in grado di coniugare sicurezza, dimensione ecologica, inclusività sociale e impulso a nuove economie nelle aree urbane come in quelle montane. Questa strategia deve perciò costituire il riferimento culturale, tecnico e gestionale ineludibile per la costruzione di nuovi bandi orientati e selettivi. Non si tratta di prevedere nuove risorse ma di spendere meglio quelle esistenti con una progettualità diversa dal passato, affidata al protagonismo e all’organizzazione amministrativa degli enti locali e a nuove forme di cooperazione, a partire dalle occasioni offerte dai progetti strategici delle città metropolitane e dai “progetti d’area” previsti dalle strategie del MEF per le aree interne (Cfr. MEF, Strategia nazionale per le Aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance, 2013). Non si tratta neanche di muoversi in una prospettiva puramente “difensiva” rispetto ai rischi, bensì di dare forza e sostegno a forme di valorizzazione e innovazione della qualità dei paesaggi e delle economie locali con comunità sempre più consapevoli e organizzate, per territori sempre meno fragili.
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Last modified: 14 Febbraio 2017
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