Alla Biennale 2016 il Padiglione del Regno Unito affronta l’emergenza abitativa come crisi delle diverse forme della vita domestica
Come si vive oggi? Ma soprattutto come si vivrà domani? “Home Economics” è il titolo della mostra, commissionata dal British Council, che interpreta la questione da un punto di vista non convenzionale: il tempo di occupazione di un’abitazione riflette i diversi modi dello stare “a casa” e può rappresentare una valida guida per il progetto d’architettura. È questo il nodo centrale sviluppato dal giovane team curatoriale, composto da tre astri emergenti dell’architettura inglese: Shumi Bose, Jack Self e Finn Williams.
Qual è stata la reazione all’annuncio che il vostro team era stato selezionato come curatore del Padiglione Britannico?
Essere selezionati da una giuria illustre [il British Council; n.d.a.] è un grandissimo onore. È un’opportunità unica per presentare modelli alternativi all’architettura convenzionale, e tutto ciò è molto eccitante. Ma rappresentare il proprio Paese comporta delle responsabilità. Ci siamo sentiti in obbligo di rendere il Padiglione rilevante per il popolo britannico (e non solo per gli architetti), presentando proposte energiche, creative, pratiche e rigorose.
Qual è l’obiettivo del Padiglione della Gran Bretagna? Come interpreterete il tema generale di Aravena?
“Reporting from the Front” è diverso dai temi precedenti. Aravena non sta chiedendo dello stato dell’architettura ma della società. La linea del fronte dell’architettura in Gran Bretagna è, senza ombra di dubbio, la nostra grave emergenza abitativa. Tuttavia, nel caso nostro non si tratta tanto di un’emergenza in merito al numero delle abitazioni che stiamo costruendo, bensì di una crisi delle forme della vita domestica. La mostra “Home Economics” assume la casa come punto di partenza e utilizza la lente del tempo per rivelare come le varie durate di occupazione influenzino il nostro modo di vivere. Negli ultimi decenni, la struttura famigliare, gli orari di lavoro, la presenza della tecnologia nelle case, così come la mobilità di massa, specialmente all’interno dell’Unione Europea, sono cambiate enormemente. Avvertiamo che l’architettura abbia, alle volte, fatto fatica a tenere il passo. “Home Economics” pone l’attenzione su come progettiamo, finanziamo e realizziamo gli interventi di edilizia nel Regno Unito, proponendo cinque modelli provocatori per nuove forme di architettura.
In base alla vostra esperienza, come può l’architettura contribuire alle urgenti questioni sul futuro dell’housing? E qual è la situazione nel Regno Unito riguardo a questo argomento?
Per quasi mezzo secolo, il Regno Unito non ha costruito nuove abitazioni a sufficienza. Al contempo abbiamo assistito alla transizione da un’economia basata sulla produzione ad un’economia basata sul debito. Questo ha concentrato la ricchezza rendendo sempre più difficile per le persone vivere in case di qualità, a buon mercato in zone scelte da loro. L’architettura ha giocato un ruolo guida nel consolidare queste nuove strutture di potere ed ha, quindi, un ruolo altrettanto importante nel caso fossero destinate a mutare nuovamente. Soprattutto nel Regno Unito, nell’ambito domestico vengono espresse molte delle nostre convinzioni sociali, perciò crediamo che sia un’ottima base di partenza dalla quale esaminare l’emergenza abitativa, se non addirittura risolverla completamente.
La vostra intenzione è di convertire il Padiglione in una serie di spazi domestici a grandezza reale: uno spazio immersivo che propone nuovi scenari per le case britanniche. Raccontateci qualcosa di più…
Il cosiddetto modello in scala 1:1 era un tempo una modalità di esporre molto popolare nel primo periodo modernista, perché permetteva al visitatore di avere un’esperienza diretta di una nuova forma d’architettura. Alla fine venne adattato per scopi commerciali, nei format della “casa del futuro”, sopravvivendo ai giorni nostri con gli showroom di Ikea. Planimetrie e plastici architettonici sono indirizzati ad un pubblico specializzato, ma la nostra aspirazione è quella di allestire una mostra di alternative che tutti posso comprendere. Crediamo, infatti, che per comunicare questi nuovi stili di vita in casa sia necessario un interno a scala reale.
Chi sono gli architetti coinvolti nella mostra?
I nostri partecipanti riflettono la varietà del Regno Unito; tutti gli architetti e artisti coinvolti vi risiedono o ci lavorano, anche se con diversi background. I quattro grandi team sono: Åyr, un collettivo d’artisti con membri provenienti da Italia, Francia e Messico; Dogma, guidato dagli italiani Pier Vittorio Aureli e Martino Tattara, con Black Square (Maria S. Giudici); l’architetto anglo-venezuelano Julia King e lo studio d’architettura londinese e scandinavo Hesselbrand. Oltre a queste persone, un ruolo importante è affidato ad un gruppo di graphic designer londinesi, OK-RM.
Che cosa devono aspettarsi i visitatori dal Padiglione del Regno Unito? Perché dovrà essere ricordato?
“Home Economics” ti sfida a pensare a come ci si relaziona con la propria casa e su come si vive al giorno d’oggi. Speriamo che il visitatore sia aperto a considerare delle alternative radicalmente diverse, sviluppate a partire dal concetto di occupazione temporanea anziché dalle idee di funzione o convenzione. Home Economics è, per quanto ne sappiamo, la prima mostra d’architettura a essere pensata per il tempo di occupazione della casa. Le cinque stanze rappresentano ognuna un diverso lasso di tempo – ore, giorni, mesi, anni, decenni. Quando il tempo è usato come principale guida del progetto d’architettura, i risultati sono senza precedenti. Il significato dello stare “a casa” pochi giorni è totalmente diverso dallo stare “a casa” alcuni decenni. Infine, i modelli che abbiamo sviluppato sono profondamente realistici. Speriamo che la mostra porti ad un lavoro innovativo e che la sua eredità sia più duratura della Biennale stessa.
I curatori
Shumi Bose è redattrice, docente e curatrice di Londra. È fra i direttori dell’ente no profit e istituto culturale REAL foundation (Real Estate Architecture Laboratory). Insegna Teorie e storie dell’architettura all’Architectural Association e al Central Saint Martins e in passato ha lavorato per molte istituzioni attive in ambito architettonico sia nella capitale britannica e a New York. È stata collaboratrice del direttore della Biennale di architettura di Venezia 2012, quando ha curato “Common Ground: A Critical Reader with Sir David Chipperfield”. Le sue pubblicazioni più recenti comprendono “Real Estates: Life Without Debt” (Bedford Press, 2014) e “Places for Strangers” (with mæ architects, Park Books, 2014).
Jack Self è architetto e autore con una formazione nei campi della filosofia e dell’economia. Dirige la REAL foundation, redattore del The Architectural Review e autore di Real Estates: Life Without Debt (Bedford Press 2014). Suoi scritti sono stati pubblicati su Architectural Design, the Guardian, Blueprint e New Philosopher. È fondatore di “Fulcrum”: settimanale gratuito dell’Architectural Association, è la pubblicazione studentesca sull’architettura più letta al mondo e si pone l’obiettivo di “investigare l’architettura e il terzo millennio” ed è stata in mostra ovunque, anche alla Biennale di Venezia 2012. Come progettista ha collaborato con numerosi studi internazionali, tra cui quello di Jean Nouvel a Londra e Parigi.
Finn Williams è un architetto londinese divenuto pianificatore. Prima di iniziare a lavorare per la Greater London Authority, dove ricopre il ruolo di Regeneration Area Manager per l’area nord ovest di Londra, ha collaborato con OMA, con la General Public Agency e il gruppo di Placemaking dell’amministrazione di Croydon. È fondatore del thinktank NOVUS, con cui si occupa di pianificazione pubblica, e di Common Office, studio indipendente attivo negli ambiti della pianificazione, della politica e della cosa pubblica. Attualmente insegna al Royal College of Art a alla Bartlett School of Architecture, è direttore della Planning Officers Society, vice presidente del Tower Hamlets Design Review Panel e Champion della Farrell Review.
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biennale venezia 2016 , reporting from the front
Last modified: 5 Aprile 2016
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