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Davide RuzzonWritten by: Forum

La sostenibilità dimezzata

La sostenibilità dimezzata
Nel dibattito aperto dall’intervento di Carlo Olmo, una riflessione critica su concetti e retoriche: tra energia, consumi e neuroscienze 

 

L’architettura è una faccenda di confini, muri, soffitti e pavimenti. Possiamo fare questi confini sottili o spessi, oppure bucarli per far entrare la luce. Possiamo usare materie e colori diversi. Possiamo lavorare le superfici per renderle lucide, opache, ruvide, morbide. L’architettura è anche una faccenda di movimenti. Gli esseri umani si spostano all’interno dei confini, infatti. Entriamo in una stanza, e questo grappolo di limiti danza intorno al corpo. Questa danza cambia in ogni stanza e, cambiando, costruisce narrazioni, racconti che inglobano significati simbolici e culturali. La storia dell’architettura è una biblioteca umana, fatta di città in cui abbiamo scritto questi racconti. 

 

Parliamo di persone, non di consumi

Nel corso degli ultimi due secoli abbiamo fatto tante, tante, tante stanze e costruito tanti racconti, molti dei quali privi di senso. La logorrea di tutto questo ha contribuito a generare una crisi climatica terrificante, dalla quale stiamo cercando di uscire. Senza riuscirci. La sostenibilità ambientale di questi profluvi di parole e testi è diventata una questione giustamente irrinunciabile. Oggi, però, è anche il tempo di dirci a chiare lettere che, se questa sostenibilità deve ridursi solo al contenimento del consumo di energia all’interno di questi limiti, o dei muri che usiamo per scrivere i racconti, stiamo cadendo dalla padella alla brace. 

Vogliamo vedere tutto in termini di energia? Va bene, facciamolo. Però allora dobbiamo definitivamente smettere di guardare solo al consumo energetico degli involucri edilizi. L’architettura esiste non per sé. Gli involucri non esistono per compiacere sé stessi. Migliaia di architetture certificate, LEED o BREEAM, o con qualsiasi altro certificato, Casa Clima, non importa, producono un devastante spreco di energia metabolica. 

Di cosa parliamo? Parliamo delle persone. Gli esseri umani passano infatti il 90% del proprio tempo dentro questi confini. Nelle abitazioni, negli uffici, nei luoghi di lavoro, quando passeggiamo su un marciapiede, in ogni momento della vita quotidiana, ognuno di noi, senza deciderlo consapevolmente, desidera un’interazione con la forma degli oggetti, con i limiti e con i muri. In ogni momento della nostra giornata, vorremmo essere avvolti da racconti. Abbiamo sentito parlare molto dell’architettura come musica pietrificata, pensiamo a Johann Wolfgang von Goethe, ma è molto di più quello che cerchiamo. Pensare all’architettura solo in termini di sostenibilità ambientale e di riduzione dei consumi energetici non ha nulla a che fare con tutto questo. 

 

Stanze che non parlano, corpi che si logorano

Cosa succede agli umani se questo desiderio di abitare in stanze che parlano, in edifici costruiti come significative composizioni, viene negato? Semplicissimo. Gli umani si adattano. Avete presente quando, in auto, stiamo usando un navigatore e saltiamo la svolta indicata? Il computer del navigatore ricalcola tutto e vi suggerisce un percorso alternativo. È un esempio.

Non vogliamo suggerire che il nostro cervello sia come un computer, assolutamente no, sarebbe la metafora più sbagliata. Eppure, in questo caso, l’analogia può essere utile a chiarire l’idea. Quando siamo immersi in ambienti che non dialogano con le sensazioni che cerchiamo, che non sanno interpretare le ragioni del nostro essere in quel luogo, noi dobbiamo adattarci. In altre parole, dobbiamo ricalcolare tutto.

Tutto ciò accade di continuo, troppo. Questo incessante meccanismo di adattamento produce quello che viene comunemente chiamato stress. Ebbene, com’è facile intuire, questi processi sono terribilmente energivori. Alla fine della giornata siamo infatti sfiancati, prosciugati da qualcosa che non riusciamo a capire. Eppure siamo stati seduti tutto il tempo, tra il desk e la sala riunioni.

Che cos’è accaduto allora? La costante sovraproduzione di cortisolo e lo stress cronico correlato, oltre al consumo di energia, innescano danni enormi al nostro sistema neurobiologico su molti livelli. Al di là dei danni serissimi alla sede centrale della neurogenesi e della memoria, cioè all’ippocampo, lo stress cronico spinge all’adozione di una dieta ipercalorica, ricca di grassi, con ricadute su tutto il sistema cardiovascolare. Produce rilevanti disturbi del sonno: è un processo di avvitamento a spirale. 

Tutto ciò può essere mitigato o accelerato dall’architettura, perché ovviamente non è certo solo lo spazio che navighiamo a determinare questi squilibri. Le nostre relazioni, noi stessi, e ciò che facciamo e come lo facciamo hanno un ruolo altrettanto rilevante. Ma questo è il punto: anche l’architettura svolge un ruolo chiave in questa triangolazione.  

 

Tra uomo e forma, confini sempre in movimento

Le neuroscienze e la psicologia ambientale, in un quadro arricchito dalla filosofia della mente, sono uno strumento indispensabile per comprendere l’architettura e il suo ruolo nella società contemporanea. Possiamo ancora accettare che la sostenibilità sia limitata al consumo energetico, diretto ed indiretto, degli involucri, se teniamo conto di tutto ciò? La risposta è autoevidente. La sostenibilità in architettura deve essere estesa all’equilibrio con tutta la natura, includendo anche quella umana. Anche gli organismi viventi chiamati uomini hanno diritto alla felicità e al benessere, alla riduzione della dissipazione di energia metabolica e mentale imposta da confini mal concepiti. 

Alle scienze umane, quali le neuroscienze sociali e cognitive, oggi viene chiesto di entrare a pieno titolo tra le materie di studio dell’architetto, sullo stesso livello della storia dell’architettura, e delle scienze delle costruzioni, delle tecnologie dei materiali. La profonda correlazione tra esperienza umana e forma dello spazio è una storia di confini in movimento, una storia di memorie del corpo, ovvero di sensazioni che cerchiamo nei racconti che abbiamo pietrificato. 

Qui si presenta un altro pericolo, però. Le scienze dell’uomo non possono né devono essere utilizzate strumentalmente per il marketing. Non serve un’altra moda. Se la sostenibilità dimezzata, quella tutta centrata sul risparmio energetico della pelle architettonica, è stata usata come un Cavallo di Troia per far passare trasformazioni speculative come virtuosi interventi sociali, anche l’abuso delle neuroscienze si candida, infatti, ad essere usato strumentalmente a fini di puro marketing. Ad esempio, grandi società di progettazione, in video autopromozionali diffusi sui canali social, orgogliosamente esibiscono caschetti dotati di visori in realtà virtuale, insieme a sensori per registrare le attività della corteccia cerebrale, come se l’uso di strumenti tecnologici sofisticati di per sé fosse sufficiente a indicare qualcosa. Non basta aver le ruote per sapere dove andare con un’auto, né per capire il senso del viaggio, infatti. 

La comunicazione procede troppo spesso su un terreno molle, popolato di immagini ad effetto, dove è più importante sembrare che essere, questo è certo. Molto più difficile è cercare di costruire, con coerenza e fatica, delle nuove prassi che sfidino i limiti che il nostro tempo vorrebbe imporre, e impone, al progetto di architettura. 

Autore

  • Davide Ruzzon

    Architetto, fondatore di TA tuning arch, società di ricerca e progettazione nata per applicare un approccio human-centered  ai progetti di architettura e masterplannig, attraverso le neuroscienze e la psicologia ambientale. Direttore Scientifico di NAAD, Neuroscience Applied to Architectural Design, corso post-laurea annuale all’Università Iuav di Venezia e del Corso ‘Neuroscience and Architecture’ a POLIdesign di Milano. Advisory Board della Academy of Neuroscience for Architecture ANFA di San Diego CA, e presidente del chapter Italiano, ANFA Italy. In libreria con il nuovo libro ‘Tuning Architecture With Humans’ per Mimesis International.

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Last modified: 25 Novembre 2025