Pubblichiamo una riflessione, su patrimonio comune e benessere collettivo, di Alessandro Bianchi, garante del verde del Comune di Milano
MILANO. Il verde urbano non è più solo un tema ornamentale come nella città otto-novecentesca, ma un’infrastruttura vitale nella lotta ai cambiamenti climatici, al rischio idrogeologico e al surriscaldamento delle città.
Vivibilità nelle città, le urgenze di Milano
In Lombardia, l’area metropolitana di Milano si espande senza soluzione di continuità verso le province limitrofe, configurando una grande conurbazione in cui i frammenti verdi sono spesso ridotti a margini. La tutela di parchi come Groane, Nord e Sud Milano e lungo l’asta dell’Adda, ha permesso di salvaguardare polmoni ecologici che assorbono CO2, producono ossigeno e mitigano le temperature grazie all’emissione di vapore acqueo.
Questa la ragione per cui, con il comunicato di giugno del garante del verde, del suolo e degli alberi del Comune di Milano, si è ribadito che è fondamentale ridurre l’isola di calore che rende invivibili molti spazi urbani e che serve agire in ogni quartiere aumentando alberi e superfici drenanti, creando spazi verdi diffusi e curati. Non basta mettere a dimora nuova vegetazione: occorre ripensare ad una pianificazione del verde capillare e condivisa tra istituzioni, tecnici e cittadini.
La città deve essere equa anche ambientalmente, offrendo ovunque ombra, raffrescamento naturale e qualità dello spazio pubblico. Serve quindi un cambio di paradigma, di governanti e cittadini. Il vero problema è l’impermeabilizzazione del suolo, che distrugge lo strato vitale di microorganismi e compromette flora, fauna e biodiversità. La difesa e la creazione di reti ecologiche diventano quindi priorità, non solo per fattori estetico-urbanistici, ma per necessità di benessere collettivo. Emilio Sereni, nella “Storia del paesaggio agrario italiano” (1961), ricordava come il paesaggio non sia mai un dato neutro, ma il risultato del lavoro e delle scelte delle comunità: ciò che oggi chiamiamo verde urbano è erede di un lungo rapporto fra uomo e natura, da custodire e rinnovare.
La cultura del paesaggio italiano è attraversata da ammonimenti e visioni che restano attuali. Italo Calvino, già nel 1957 con “La speculazione edilizia”, denunciava la logica predatoria di un’urbanizzazione che divora suolo e degrada il territorio. Antonio Cederna, in “La distruzione della natura in Italia” (1975), mostrava gli effetti irreversibili del cemento sull’identità dei luoghi. Salvatore Settis, più di recente, in “Paesaggio Costituzione cemento” (2010), ha spiegato come il degrado ambientale sia anche degrado civile: proteggere il verde significa difendere la democrazia e i diritti dei cittadini.
Il verde urbano e della periferia diffusa deve essere letto come materia viva: le piante nascono, crescono, offrono servizi ecosistemici e muoiono. La loro sostituzione, se ben condotta, non è violenza, ma cura e rinascita ciclica. Occorre scegliere specie autoctone, resilienti, capaci di resistere a siccità, piogge torrenziali e venti estremi, e occorre piantarle in suoli sani e possibilmente profondi. Diversamente, la resilienza non è possibile. Come ricordava Rosario Assunto nella sua “Filosofia del giardino e filosofia nel giardino” (1981), il rapporto con il verde non si esaurisce nell’utilità: il giardino, e più in generale il paesaggio, è anche esperienza estetica e spirituale, luogo di contemplazione e di armonia.
La cura della vegetazione non è un costo
Oggi la bellezza del verde urbano non coincide più con i modelli geometrici dei giardini all’italiana o con l’armonia romantica dei parchi del nord Europa. Si tende piuttosto a una vegetazione più spontanea, vicina al concetto di terzo paesaggio di Gilles Clément, che rivaluta i margini e gli spazi residuali. La rigenerazione urbana passa dal recupero ecologico delle infrastrutture: cavalcavia, parcheggi e aree dismesse possono diventare habitat per la biodiversità. Anche la rinaturalizzazione dell’infrastruttura blu – riportare alla luce fiumi e canali, creare invasi verdi capaci di accogliere l’acqua in caso di esondazioni – rappresenta un’inversione necessaria rispetto alla cementificazione della rivoluzione industriale.
Il verde contemporaneo deve integrare funzioni ecologiche e sociali. Non solo contemplazione, ma spazi per lo sport, il gioco, l’incontro, resi vivibili dall’ombra naturale degli alberi e da superfici drenanti. Non bisogna sacrificare suoli liberi, ma riutilizzare aree impermeabilizzate, restituendo natura dove oggi c’è solo calore e degrado. In questo senso il verde non è un costo, ma un investimento in salute pubblica. Tetti e facciate verdi devono in primis integrarsi con la forma urbana, non divenire meri esercizi di tecniche di arboricoltura, essere coerenti con l’architettura dei contesti. Devono inoltre essere progettati e curati nel tempo, trasformando gli edifici da monadi isolate a cellule attive dell’ecosistema urbano.
Troppo spesso i rendering architettonici, dislocati nei cantieri delle nostre città, mostrano immagini potenzialmente ingannevoli: l’edificio – o l’infrastruttura grigia – è concluso in pochi anni, mentre il verde necessita di cure costanti per decenni per divenire ciò che nell’immagine è rappresentato già in una fase adulta e definitiva. Per questo è necessario che la cura del verde – anche privato – sia garantita da operatori e comunità, come parte integrante delle spese obbligatorie: il verde privato produce benefici pubblici, dunque va considerato come patrimonio comune, patrimonio naturale.
Il futuro richiede inoltre pianificazione a scala metropolitana. Non bastano singoli parchi, occorrono connessioni ecologiche che uniscano quartieri e città. Salvatore Settis ricorda che il paesaggio è un diritto costituzionale: subordinare i piani regolatori ai piani del verde, come prevede il disegno di legge sulla rigenerazione urbana, significherebbe finalmente riconoscere questa centralità. Il rischio più grave, nella cura del verde pubblico e privato, resta la frammentazione delle competenze, nell’amministrazione pubblica e nei settori privati, saperi non comunicanti che generano errori macroscopici, come nella cattiva gestione dei sottoservizi, che impediscono nuove piantumazioni. Un maggiore coordinamento tra gli operatori della comunità, al contrario, permetterebbe di ridurre o azzerare l’uso di asfalto nelle zone pedonali, usando materiali naturali, drenanti e di colorazione chiara, e di mettere a dimora alberi o arbusti anche lungo le vie più densamente commerciali.
Il verde urbano è al tempo stesso memoria culturale e progetto per il futuro. È il luogo dove si intrecciano natura e civiltà, utilità e bellezza, salute e socialità. È l’eredità che ci hanno consegnato pensatori come Calvino, Sereni, Cederna, Assunto e Settis: la consapevolezza che il paesaggio non è decorazione ma identità, e che la sua cura è inseparabile dalla qualità della vita e della democrazia.
Immagine di copertina: Milano, 2025
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Milano , natura , vegetazione , verde , vivibilità
Last modified: 2 Settembre 2025