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Written by: Città e Territorio Forum

Gaza, tregua e ricostruzione

Gaza, tregua e ricostruzione
A margine del cessate il fuoco in Palestina, intervento e commento di Yara Sharif, architetta di Architects for Gaza e Palestine Regeneration Project

 

GAZA (PALESTINA). Il recente accordo di cessate il fuoco apre una fase nuova per la Striscia di Gaza. L’area di oltre 2 milioni di abitanti – densamente popolata, duramente colpita dagli attacchi israeliani degli ultimi mesi, con quasi 50 mila persone uccise dagli attacchi secondo i dati internazionali – ha bisogno di consapevolezza, di sostegno e di cooperazione. Così come di coraggiose visioni urbane e architettoniche per (ri)costruire un futuro.

 

Distruzione, non solo fisica

Secondo alcune indagini, il 70% degli edifici è stato distrutto. Per altre fonti è addirittura l’80%. Ma la percentuale non è un elemento così fondamentale nella discussione perché l’entità della distruzione che viviamo non è legata soltanto agli edifici. Ci sono molti aspetti intangibili a cui dobbiamo prestare attenzione. Uno dei più dolorosi riguarda le macerie. Si potrebbe dire: “Spostiamole e iniziamo la ricostruzione”. Ma in quelle macerie trovi resti di corpi umani, sono memorie urbane e memorie sociali.

A Gaza stiamo affrontando un disastro che è urbano e ambientale.

Ma le bombe e gli attacchi militari non sono gli unici rischi. Migliaia di persone sfollate vivono in campi profughi, come quello di Jabalia. Questi campi sono costruiti principalmente con amianto. Le persone lo respirano e piano piano si avvelenano.

È un altro tipo di morte, lenta e fatale.

 

Ridiscutere il concetto di casa

Con la tregua, la popolazione inizia a tornare a casa. O, meglio, nel luogo dove c’erano le case. Dove ora si trovano quasi soltanto macerie. È anche la mia esperienza personale: ho perso la mia famiglia nelle prime settimane di attacchi. A Gaza ci troviamo a dover riconsiderare il concetto stesso di casa. Definizioni come urbicidio o ecocidio sono sicuramente pertinenti, ma la realtà è molto più complessa. 

Le domande più difficili e scomode riguardano cosa può essere oggi una casa, quali sono i suoi confini, come possiamo reinventarci un luogo da vivere.

C’è anche una dimensione mentale. Nelle città della Striscia di Gaza lo spazio pubblico era inteso come prosecuzione delle case private. La strada era di fatto la zona giorno delle abitazioni. E nella fascia costiera le connessioni con gli spazi aperti erano parte della nostra vita quotidiana. Tutto questo se ne è andato con la guerra. Il quartiere non è più un fattore capace di costituire i tessuti urbani e sociali come prima. Le relazioni tra gli elementi urbani e architettonici sono state distrutte.

Dobbiamo ripartire da qui: cosa può essere casa oggi a Gaza?

 

Progettare il futuro, è possibile?

È una domanda molto impegnativa. Conosciamo Gaza e la Palestina, abbiamo contatti quotidiani con i nostri colleghi. Ora si apre la fase della ricostruzione di emergenza, partendo come è giusto che sia dagli edifici pubblici, dalle strutture e dalle infrastrutture. Gaza è una città fatta di moduli e di rifugi provvisori.

Le relazioni con le strade, con il mare, con il paesaggio sono scomparse. Come è possibile pensare ai temi della sostenibilità o della resilienza in una situazione del genere? Ci sono rovine da spostare, dobbiamo scegliere i materiali corretti per i rifugi di emergenza, non c’è abbastanza terra da occupare con nuovi elementi architettonici e urbani.

 

Dobbiamo ripartire da zero.

Ma dobbiamo anche essere consapevoli di chi sarà davvero impegnato in questa prima fase della ricostruzione. Dopo le guerre precedenti sono state coinvolte molte aziende internazionali. Questo è un approccio che non condivido. Gaza non ha bisogno solo di nuovi edifici o di nuove strade per sostituire quelli distrutti. Gaza è la sua costa, Gaza è le diverse tradizioni agricole che ospita.

Dobbiamo ricostruire tutti quegli ambienti e sarà un percorso lungo e difficile.

 

Gaza Global University

Abbiamo deciso di fondare Architects for Gaza nella situazione di emergenza e di urgenza che abbiamo vissuto. Abbiamo pensato che gli architetti dovessero parlare, raccontare al mondo cosa stava succedendo qui. Abbiamo riunito molti colleghi, accademici, professionisti, urbanisti. Tutti hanno urlato che era in corso un genocidio.

Era ed è una questione di responsabilità: di fronte alla distruzione di Gaza non si può essere silenziosi e complici. Gli architetti devono alzarsi in piedi e chiedere azioni. Abbiamo cercato di aiutare nell’emergenza istituendo un’università virtuale, la Gaza Global University, con 800 volontari che cercano di supportare e rafforzare le scuole locali.

 

Ricostruire la speranza per il futuro

La nostra idea era di lavorare qui – in Palestina, a Gaza – senza costringere studenti e ricercatori ad andare fuori. Abbiamo ricevuto molto supporto dalle università della Cisgiordania, come l’Università nazionale An-Najah di Nablus. La situazione è molto difficile. Gli studenti hanno voglia di tornare a studiare, nelle città. Ma le infrastrutture universitarie sono distrutte. Lavorare con gli studenti è un percorso molto impattante e impegnativo anche dal punto di vista emotivo. Hanno vissuto momenti tragici, c’è un aspetto psicologico con cui dobbiamo lavorare: si sentono inquieti, hanno dovuto fuggire e fuggire ancora, ci sono assenze molto pratiche, come la mancanza di elettricità. Non possiamo fornire istruzione nel modo tradizionale. Abbiamo lavorato con piattaforme, con workshop (ad esempio al Cairo). Con relazioni individuali.

Ora gli studenti vogliono rimettersi in gioco. Con nuovi e coraggiosi percorsi educativi dobbiamo ricostruire anche la speranza per Gaza.

Immagine copertina: Gaza 2023 (© Ben Curtis/AP)

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Architects for Gaza

(PRPF) Palestine Regeneration Project Forum

Autore

  • Palestinese, è ricercatrice e architetta progettista che lavora a Londa presso Golzari-NG Architects sui temi della partecipazione e della sostenibilità sociale sia a Londra che in Palestina. È anche docente presso l'Università di Westminster. | Palestinian, is a researcher and a practicing architect working as an Associate in Golzari-NG Architects on projects related to participatory design and social sustainability in London as well as in Palestine. She’s also a lecturer at the University of Westminster.

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Last modified: 23 Gennaio 2025