Progettista della grande scala e di grattacieli iconici soprattutto nella New York che era diventata la sua città adottiva
Nell’enigmatico mondo della progettazione contemporanea, con pochi o, meglio, senza “Maestri” o guide di sorta, è oltremodo difficile esprimersi sul “modo” di essere di un’attualità – quella dell’architettura – in travolgente movimento. Questo, anche quando la scomparsa di un protagonista sembrerebbe comportare un doveroso attimo di riflessione o puntualizzazione sul senso del momento e delle sue possibilità. Ultimissima in ordine di tempo, la scomparsa di Rafael Viñoly, uomo dalla cultura inclusiva ed eterogenea.
Uruguaiano di nascita, argentino di formazione con laurea a Buenos Aires, Viñoly si era trasferito negli Stati Uniti dove esercitava la sua professione dal 1978. Il suo nome, come quello di molti altri big della contemporaneità è stato associato allo Studio Breuer; ma non gli è mancata neanche l’attività didattica, tanto in America del sud quanto ad Harvard, Yale o il Rhode Island School of Design, fra le varie sedi universitarie.
Newyorkese? Anche, a giudicare dai tanti progetti – alcuni ancora in essere – proposti o realizzati in tutta l’area da Manhattan alla terra ferma. Newyorkese non solo per tale entità ma probabilmente perché in parte assimilato alla sua cultura in genere.
Certamente, la sua notorietà era partita dall’Oriente e precisamente con la realizzazione del colossale Tokyo International Forum (1997), che segna l’incipit della sua fortuna progettuale. E che in qualche modo rivela alcuni tratti di un modus operandi molto variegato alle prese con i luoghi e i non luoghi con i quali i grandi studi si dibattono al giorno d’oggi.
Grande scala in primo luogo, con la presenza di un tecnicismo non sempre mitigato ma in fondo costante, che consente d’intervenire in situazioni complesse (anche al Cleveland Musem in parte); a volte alimentando, a volte placando i pochi cenni di contestualismo spesso sottomesso a una “forma” generalmente decisa e compiaciuta della sua definizione. L’edificio “alto” di Fenchurch Street, in piena Londra, lo attesta. Non è un oggetto inteso come raffinata riproposizione dello strutturalismo alla Rogers, quanto un prodotto “altro” che vuole affermarsi in mancanza di mediazioni quali che siano, indifferente ad ogni tipo di relazione, che azzera in un individualismo da prodotto volutamente alieno. La “storia”, con tutte le sue componenti e matrici, è out. A poco più di un decennio dal Forum nipponico.
Nel 2015 il ponte circolare di Laguna Gorzon, in Uruguay, inverte la rotta e tenta di creare un sistema che superi la mera funzionalità della tipologia ponte a favore di un impianto a largo respiro. Il segno è deciso, l’esperienza si è arricchita dei tanti progetti anche a carattere specificatamente urbano. Fra questi il Kimmel Cultural Campus, sede della Filarmonica di Philadelphia, il Brooklyn College, The Lehman Collection, il Curve Theater a Leicester per citarne solo alcuni, anche se il grattacielo rimane una tipologia d’investigazione privilegiata. A Chicago ma sopratutto a New York, a partire dal concorso per il World Cultural Center, uno dei pochi progetti in cui apparivano due torri gemelle, peraltro. Ci saranno poi il 125 Greenwhich Tower o lo stesso Ritz Carlton. Il 277 Fifth Avenue è un grattacielo del 2019, lo stesso anno del Samsung Jung Ro a Seul. Ma mentre nel primo si ritrovano schemi progettuali più o meno presenti nel panorama di Manhattan, nel secondo emergono con decisione i tentativi di ricerca di una iconicità – forse richiesti dalla committenza – eccessiva nell’abolizione di un numero di piani a favore dell’esaltazione della corona terminale.
Un’iconicità che, di fatto, gli riesce negli 85 piani della torre al 432 di Park Avenue. L’incredibile obelisco cartesiano, oramai affermata pietra miliare simbolica che dal cuore di Midtown sfida in maniera totale (dall’assenza dell’oramai abusato rivestimento vitreo, alla dimensione, alla quasi banale capacità di lettura della sua composizione), e in maniera intelligentemente polemica, la banalità di tanti anni di “prove di novità formali” all’interno della griglia dell’isola. Decisa nei suoi eccessi ma anche semplice, quest’opera lascia un segno tangibile nel costruito ed anche nel lavoro di Rafael Moneo.
Immagine di copertina: © Román Viñoly (fonte npr.org)
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Last modified: 8 Marzo 2023