Riceviamo e pubblichiamo una lettera sui rapporti tra trascendenza e immanenza nell’interpretazione, e tra progetto e realizzazione nel cantiere
Cosʹè lʹarchitettura? La definirò io, con Vitruvio, lʹarte del costruire?
Certamente No. Vi è, in questa definizione, un errore grossolano. Vitruvio prende lʹeffetto per la causa
(Etienne Louis Boullée, Architecture, 1780)
L’architettura occidentale dalla sua origine classica si declina in due direzioni all’apparenza opposte: una più idealistica e immateriale e una immanente e costruttiva. È nota la distanza dal cantiere che ha caratterizzato architetti come l’Alberti, uomo di lettere, o Aldo Rossi, contrapposta all’attenzione maniacale di un Carlo Scarpa o di Louis Kahn, sempre insoddisfatti delle soluzioni disegnate sulla carta e pronti a disfare e rifare i dettagli del progetto all’infinito. All’interno del perimetro delle posizioni estreme è possibile esplorare la complessità della relazione tra gli strumenti, in primis il disegno, che permettono l’ideazione dell’architettura e il suo realizzarsi fisico: il cantiere.
I disegni di Rossi non sono esercizi di stile post-moderni, tipici di quell’architettura disegnata che ha caratterizzato gli anni settanta e ottanta e che spesso ha rifiutato di contaminarsi con la realtà del costruito. I disegni di Rossi sono la complessità del suo mondo interiore, una riflessione per immagini sull’esistenza tout court nella quale l’architettura è la scena che ne permette lo sviluppo. L’immaginario di Rossi nasce dalla sua cultura letteraria e figurativa, nella quale la Metafisica di Giorgio De Chirico e quella più intimista di Giorgio Morandi sono riferimenti costanti. Ma questo mondo astratto e all’apparenza distante dalla realtà in Rossi diventa il teatro (εωρεω, theoreo = osservare) all’interno del quale è possibile vivere. Architettura come costruzione di una realtà immaginata, sintesi della cultura (memoria) collettiva che non ha tempo (il tempo non esiste), non ha scala e spazio (le dimensioni sono sensazioni, lo spazio è sempre indeterminato/infinito). Gli oggetti e lo sfondo contengono l’effimera esistenza. In questo senso i disegni di Rossi prevedono, anzi pretendono, di diventare realtà fisiche perché solo nella loro messa in scena è possibile vivere le nostre vite e riconoscersi in essa. Il teatro della vita, il mondo immaginato nei suoi disegni, ci consente di comprendere il confine dell’architettura secondo Rossi, oltre il quale è superfluo andare perché effimero e evanescente per la nostra esistenza. Il dettaglio di architettura, emblema apparente dell’esecuzione, non è parte del tutto, ma è semplicemente un possibile che può anche essere sviluppato, meglio se da altri (artigiani, costruttori, artisti, ecc.), ma che non è parte essenziale della messa in scena della nostra vita. Solo così è possibile comprendere il realismo dei disegni e dell’architettura di Rossi, il mondo metafisico non solo può essere realizzato ma è anche l’unico in cui è possibile vivere autenticamente.
Il disegno di Carlo Scarpa, saturo di dettagli e correzioni, è quasi opposto a quello di Rossi. Sembra svilupparsi in una ricerca ossessiva del dettaglio e della sua possibile realizzazione. I materiali e le forme minuziose definiscono trame immaginandone già la contaminazione con la luce, i colori e i profumi del mondo esterno. Sono disegni che vanno oltre l’immagine, diventano annotazioni, scrittura, sono sempre esecutivi anche quando abbandonati per nuove soluzioni. Il disegno è una parte del processo realizzativo e trova compiutezza, la fine dell’elaborazione, solo nel momento in cui le forme si concretizzano fisicamente. Il disegno stesso è parte dell’esecuzione che senza soluzione di continuità arriva al prodotto finito. Tra l’inizio e la fine del processo esecutivo tutte le variabili entrano in gioco in continui ripensamenti e perfezionamenti.
Dialettica
Il progetto nella sua esecuzione costruisce un ponte tra la (alta) fantasia dell’autore e la realtà. L’esecuzione in architettura non è un atto indipendente dal progetto anche quando ci appaiono distanti tra di loro come nel caso di Rossi, perché la differenza tra il disegno immaginato e la sua realizzazione già di suo prevedeva l’errore e la difformità. D’altro canto l’esecuzione può essere in nuce, già dal primo schizzo, e il processo che porta alla realizzazione prende corpo da subito e comprende in esso errori e ripensamenti. In tutti i casi l’esecuzione non ha mai l’autonomia che si potrebbe sospettare, perché anche quando sembra poter intraprendere strade diverse da quelle progettate, in fondo sceglie tra l’essere fedele, confermando nelle sue variabili la sua origine, oppure tradire cioè essere altro, un altro progetto, magari migliore, ma diverso. Nella contemporaneità, nell’epoca del BIM, l’illusione del totale controllo delle fasi progettuali, dall’idea nascente alla sua esecuzione sino al ciclo di vita, sembrerebbe superare l’indeterminatezza del progetto, controllare in tutte le fasi gli aspetti prestazionali e i costi del progetto. Il rischio è la perdita di quell’incertezza che contraddistingue l’esecuzione del progetto e che è l’inatteso sia nella messa in scena rossiana sia nel prezioso dettaglio scarpiano.
Immagine di copertina: Aldo Rossi, schizzo per il quartiere di Schützenstrasse a Berlino (realizzazione, 1997; Immagini Creative Commons)
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Aldo Rossi , Carlo Scarpa , disegno , lettere al Giornale , teoria dell'architettura
Last modified: 24 Novembre 2022