Riceviamo e pubblichiamo una lettera che riflette sul crollo all’Università di Cagliari il 19 ottobre
Fatte salve le responsabilità penali (ancora da accertare) e ribadita la solidarietà agli studenti (e, in generale, a chi lavora in ambito educativo) in quanto prime vittime – per fortuna questa volta solo in senso figurato – dello sfacelo del nostro patrimonio di edilizia scolastica, l’ennesimo, esecrabile episodio di crollo di un edificio dedicato all’educazione ci pone domande importanti, non più rinviabili. Domande non di natura giuridica bensì culturale che, in questo senso, riguardano tutti.
È chiaro infatti come la vicenda non sia riducibile a episodio, a pura casualità: allargando lo sguardo, appare subito evidente che i pochi elementi a disposizione, seppur ancora insufficienti per capire tecnicamente quanto è accaduto, ci raccontano della (mediamente assai scarsa) considerazione in cui la nostra nazione tiene la funzione educativa e gli spazi a essa dedicati.
Non sempre è stato così e non dappertutto. Esistono una serie di opere, costruite in Italia nel dopoguerra, che dicono esattamente il contrario: dicono di un paese che è stato capace di assumere culturalmente in profondità il mandato e la finalità educativa fino alle sue estreme conseguenze, con grande passione e con un’idea nobile della scuola. Ma il dato sconcertante (e disarmante) è che l’orizzonte aperto da quella tensione morale, figlia delle speranze di un dopoguerra che cercava finalmente di affrancarsi da un’idea autoritaria della scuola e apriva alla sperimentazione, si è offuscato troppo presto, schiacciato dall’euforia di una nuova ricchezza concepita (e calcolata) troppo in termini di reddito pro capite e troppo poco in termini di capitale sociale.
Una scuola che crolla, oltre alla gravità della cosa in sé, è una risorsa che non c’è più. Ma in molti casi è una scuola che, anche quando c’era, mediamente non restituiva l’idea di uno spazio inteso come forma significante, come forma che incarna il profondo significato della propria funzione. E vedendo la qualità dell’edificio crollato a Cagliari – non diversa (né peggiore, né migliore) da quella di molti degli edifici dedicati all’educazione – è evidente che il valore attribuito dalla Costituzione alla scuola spesso viene negato prima di tutto dagli spazi che quella funzione ospitano.
Per chiarire il senso di tali affermazioni, ricorro a un esempio personale: una recente rivisitazione dell’opera di Hans Scharoun (1893-1972), grande figura del Novecento architettonico tedesco, mi ha fatto riscoprire il suo lavoro sulle scuole, meno noto di alcuni suoi conclamati capolavori come la Philharmonie di Berlino, ma altrettanto significativo. Si tratta di una ricerca iniziata nel 1951 e culminata in due realizzazioni del ventennio successivo: il Liceo Geschwister-Scholl di Lünen (1955-62) e la Scuola primaria di Marl (1960-68), nelle quali s’invera un’idea di scuola democratica, costruita sul principio della sua funzione mediatrice tra individuo e società. La cosa che colpisce di questi spazi ricchi, curati e antiretorici, è la qualità di ogni singolo angolo e la dignità dell’idea di spazio educativo che l’architettura contribuisce a disegnare. Qualità che culmina, come momento di sintesi, nel luogo collettivo per eccellenza, ovvero l’aula magna, che incarna il principio dello spazio centrico, comunitario, della circolarità del pensiero e della cultura. E che Scharoun non spende per la scuola dell’élite della metropoli-capoluogo, bensì per quella di due cittadine di provincia.
Ieri a Cagliari è crollata per l’appunto l’aula magna, luogo che nella scuola italiana spesso rimanda più alla dimensione retorica dell’istituzione che all’idea assembleare e di sintesi di una collettività, di una comunità educante. E che in concreto è in molti casi il risultato di un mero e banale esercizio edilizio, figlio della troppe volte stancamente assecondata logica dell’ufficio tecnico.
Cagliari allora è solo un pretesto, l’ennesimo, per constatare amaramente che, già prima di crollare, l’edificio non era all’altezza del suo compito. Come molti altri dedicati alla funzione specifica, non era, con la sua “architettura” approssimativa, i suoi dettagli dozzinali e il suo inesistente stato di manutenzione, uno spazio degno del suo nome; in grado cioè di esprimere, come negli edifici di Scharoun, un’idea alta di scuola.
Eppure Cagliari deve diventare anche l’occasione per ribadire l’importanza della qualità dell’edilizia scolastica rispetto all’azione educativa che in essa avviene, come unico vero antidoto al degrado. Fermarsi al fatto tecnico ora, equivale a vedere di un fiume solo il problema dell’argine quando inizia a piovere. Un grande travisamento.
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crolli , lettere al Giornale , sardegna , scuole , università
Last modified: 24 Ottobre 2022