Concluso il restauro pluriennale, il capolavoro di Carlo Scarpa passa alla custodia del Fondo per l’ambiente italiano
SAN VITO DI ALTIVOLE (TREVISO). Qualche anno fa non era previsto finisse così: l’autostrada, fortunatamente inghiottita dal terreno, le scorre a poche centinaia di metri; Tomba Brion è circondata dai rumori della campagna e dalla particolare cinta che da tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Non è (solo) questione di fama o brand: francamente è molto difficile imbattersi in luoghi così densi e particolari in cui il particolare (non è un bisticcio di parole), il dettaglio, è sommo protagonista. Diversamente da altre architetture, perfette in foto ma dal vero insipide o stucchevoli: semplicemente deludenti, questa richiede d’essere esperita. E una visita non è sufficiente, direi nemmeno due o tre. Funziona come un pozzo di San Patrizio: calandosi nel profondo dei significati, dà idea di come non sia possibile riuscire a raggiungerne la fine, richiedendo una serie infinita di decodifiche, di prove per superare la cortina di ostacoli del livello successivo di questo gioco intellettuale che prevede per contro funzioni anche tramite la semplice contemplazione.
Nel 2007, con Memoriæ Causæ (eccellente documentario che riprende il nome del bel cofanetto edito nel 1977 per Carlo Scarpa dai raffinatissimi tipi di Giovanni Mardesteig), Riccardo De Cal ha reso bene anche un’altra variabile fondamentale, ovvero lo scorrere del tempo durante l’arco di una giornata, ma anche i fenomeni atmosferici, quali gli acquazzoni col loro particolare effetto, sperimentato per caso anche da chi scrive durante una delle visite in loco: l’acqua precipita a fiotti nei propilei da alcuni misurati tagli in copertura generando rumore. Rumore: altra dimensione che si coglie dal lieve spostamento delle lastre a terra durante il percorso o l’intonazione dei tre gradini di fronte all’arcosolio.
Queste esperienze finora sono state possibili grazie alla visita libera e (ragionevolmente) illimitata al complesso, durante le ore di apertura del cimitero, grazie all’impegno della famiglia Brion, che ha voluto via via negli anni condividerne senza remore il valore con la collettività.
Un difficile restauro pluriennale
Si è appena concluso un lungo ciclo di restauri: sette anni con difficili, delicati e costosi lavori (il secondo lotto, da solo, pesa 300.000 euro), densi di problemi, nuove sfide nella conservazione del moderno. Una missione, con molta oculatezza affidata a Guido Pietropoli, colui il quale che, con rarissima modestia unita a grande erudizione e competenza, ha prima affiancato Scarpa durante la realizzazione, contribuito alla conclusione dell’opera, e infine alla sua custodia e tutela. Ora è programmata una regolare manutenzione periodica.
La donazione al FAI
Compiuto questo passo, è giunto il momento di varare il futuro di quest’architettura. La famiglia, nella persona di Ennio Brion, che l’ha voluta il 26 maggio 1969, da committente (allora ventottenne) assieme alla madre, a distanza di 53 anni da quel momento, ha deciso di donarla al Fondo per l’ambiente italiano. I dettagli sono stati illustrati durante l’odierna cerimonia di presentazione presso il MAXXI di Roma, presenti il direttore del FAI Marco Magnifico, la presidente della Fondazione MAXXI Giovanna Melandri, la direttrice scientifica del MAXXI Margherita Guccione e lo stesso Pietropoli (oltre a Ennio Brion e Tobia Scarpa in collegamento da remoto).
Dalle parole dei protagonisti, il FAI intende proseguire nella politica familiare fin qui adottata, consentendo a tutti, negli orari di apertura del cimitero (ore 8-19, dall’8 luglio), di fruirne a piacere, gratuitamente e senza limitazioni, così com’è stato fin d’ora, educando al bello le più diverse persone che godranno di questo unicum, densissimo conglomerato poetico.
Immagine di copertina: vista autunnale (© Gabriele Toneguzzi)
About Author
Tag
Carlo Scarpa , restauro del moderno , veneto
Last modified: 30 Giugno 2022