Visita alla prima sezione, allestita nell’ex Caserma asburgica San Tomaso; un’occasione mancata, dagli interni alla museografia
VERONA. Un nuovo museo che apre è una bella notizia; se poi ci troviamo dove non ci si può esimere dal fare riferimento alla maestria di Carlo Scarpa nel “suo” Castelvecchio, per non parlare del recente exploit della Casa Museo Palazzo Maffei, le aspettative sono alte. Per il nuovo Museo nazionale archeologico, che il 17 febbraio ha inaugurato una prima sezione, è addirittura lo Stato a scendere in campo, con l’obiettivo d’integrare l’articolata rete locale di musei e aree archeologiche di competenza sia statale che civica.
Accoglienza freddina
Una visita è dunque d’obbligo. Raggiungiamo a fianco della chiesa di San Tomaso Cantuariense l’ex Tribunale e carcere militare, un notevole esempio di architettura civile asburgica in stile neomedioevale che, tuttavia, non ha mai avuto un ruolo urbano significativo. Dal 1998 sono in corso restauri a intermittenza per adibire il complesso all’uso espositivo: un ventennio abbondante durante il quale del progetto non è mai trapelato nulla (chissà perché?). È per questo che si coglie quasi per caso lo stendardo che segnala, con una certa fatica, l’ingresso del museo tra le auto parcheggiate ai piedi dell’edificio; sul prospetto le ante tutte chiuse non comunicano un gran senso di “apertura”.
Ma ecco una luce che filtra da un portone e che lascia presagire il cortile interno, non accessibile; si capirà dalla vista dai piani superiori che non c’è alcun intervento su quest’area che ragionevolmente potrebbe dare respiro agli spazi di accoglienza, vitali per ogni museo che voglia dirsi contemporaneo. Al momento, il percorso di accesso s’immette con una certa fatica nella biglietteria, con tanto di scalinetto decisamente poco consono a una struttura pubblica; anche per raggiungere l’ascensore si devono salire e scendere alcuni scalini. Perplessi, chiediamo alla gentile custode come sia possibile, ma veniamo rassicurati che esiste, defilata, un’alternativa a norma (il “percorso della vergogna”).
Intanto, si arranca fino al sottotetto attraverso la bella scala in pietra veronese, nonostante la passatoia di moquette rossa che non si usa più nemmeno negli alberghi di periferia. Salendo si comprende l’articolazione dell’edificio, attraverso gli scorci sui lunghi corridoi di distribuzione alle ex celle, dove a regime troveranno posto al piano intermedio testimonianze di età celtica e romana, mentre il piano terra è destinato all’età altomedievale. Ma eccoci finalmente nel sottotetto, che accoglie la prima parte dell’allestimento della sezione preistoria e protostoria dedicata ai reperti di Paleolitico, Neolitico, Età del rame e del bronzo.
La scala immette in una saletta video, forse introduttiva o forse finale – all’uscita, il percorso ritornerà sui propri passi – necessariamente buia ma desolatamente spoglia, con qualche sedia di plastica e un laconico televisore in mezzo alla parete. La visita si dipana poi in una lunga infilata di sale a destra e a manca del percorso centrale. La forma dello spazio è decisamente condizionante, con la pesante struttura lignea del tetto che lascia poco respiro alle pareti laterali utilizzate come superfici espositive; ci sarà del resto un motivo per cui le soffitte venivano usate per metterci i salami o i canterani tarlati delle nonne, e non i gioielli di famiglia.
Come in pizzeria o in tavernetta
L’architettura degli interni è caratterizzata dal tutto bianco delle superfici a intonaco, entro le quali sono ritagliate in evidenza le archeggiature centrali in mattoni e alcuni elementi lapidei con sportelli in ferro battuto: devono essere reperti della storia dell’edificio, ma non è dato saperne alcunché. Il ritaglio al vivo dell’intonaco su questi elementi fa pensare a tanti esempi simili in pizzerie o tavernette, e l’attacco a terra sulla pavimentazione in resina senza alcun elemento di mediazione – c’era una volta lo zoccolino – fa sussultare le casalinghe che penseranno alla pulizia e all’usura di uno spazio presumibilmente ad alta frequentazione.
Gli apparati espositivi sono sostanzialmente addossati alle pareti laterali, con qualche limitata eccezione lungo l’asse centrale. Vetrine e supporti sono in legno laccato bianco, in delicato contrasto con i toni pastello delle pareti di ciascuna sala; ma le pellicole adesive con cui sono messi in opera mostrano sormonti e ritagli non felicissimi, oltre a risvolti fuori controllo sulla complessa geometria ritagliata dalle falde del tetto e dalle travi.
I reperti esposti provengono dalle ricerche archeologiche effettuate nel territorio veronese a documentare un lasso di tempo che prende avvio circa 200.000 anni fa e si dipana sino al primo secolo a.C. Si coglie il senso di testimonianze di grande valore scientifico, con elementi anche minutissimi che mettono in difficoltà il rapporto di scala tra i reperti, i contenitori espositivi e l’ampio spazio a disposizione. Si susseguono così pietre dipinte, corredi tombali, statue-stele – che fanno subito pensare al suggestivo allestimento di Guido Canali per il Museo di Pontremoli -, un grande tronco adibito a pozzo con un gioco di luci a questo punto un po’ fuori luogo, modellini di villaggi palafitticoli decisamente impolverati (saranno preistorici anche loro?), ritrovamenti dalle necropoli.
Museografia arcaica: l’età del silicio è lontana
Ci si aspetterebbe
, come annunciato nei comunicati, “un chiaro corredo introduttivo, ricostruzioni fisiche e virtuali, video e altri mezzi di comunicazione multimediale”, ma di tutto questo non c’è traccia: sarà la fretta per l’apertura? Non si può però che giudicare ciò che si vede: l’impostazione museografica è decisamente arcaica, con null’altro che spiegoni sezione per sezione e laconiche didascalie, oltre a qualche sparuta cartina geografica modello sussidiario. Nessun rimando al territorio rappresentato, ai diversi siti da cui provengono i reperti, alcuni dei quali peraltro visitabili: nemmeno una fotografia, altro che multimedialità, e nessuna interpretazione grafica. L’età del silicio e dei microchip è assai lontana.
Eppure è un museo nazionale, dunque è lo Stato italiano che qui si manifesta attraverso le sue ramificazioni ministeriali e regional-direttive e soprintendenziali, all’interno delle quali sono stati progettati i lavori di restauro e allestimento. Si dovrebbero chiamare a raccolta i migliori talenti: così fa ad esempio la Nazionale per antonomasia, espressione di una delle poche cose che contano in Italia, il calcio. L’archeologia a quanto parte gioca un altro campionato. Cosa ne penseranno oltre ai cittadini i molti turisti in visita a Verona, attratti dalla bellezza del Bel Paese ma anche dal talento italico capace di manifestarsi in ogni frangente, che troveranno in qualunque negozio o bar o ristorante una accuratezza progettuale, una raffinatezza di materiali e una cura realizzativa tali da far impallidire il nuovo museo? Non dev’essere solo un problema di giocatori, sui quali è sempre facile far ricadere le colpe: ci sarà un Mister, o Mistress che sia, capace di darne conto a un ipotetico Processo del museo del lunedì?
È davvero un peccato che un’occasione del genere sia al momento sprecata, fatto salvo il beneficio del dubbio sull’incompletezza dell’allestimento (ma allora perché l’apertura?). Verona merita un museo all’altezza della sua tradizione, e non un semplice nazionale senza filtro.
MUSEO NAZIONALE ARCHEOLOGICO DI VERONA
Sezione PREISTORIA E PROTOSTORIA “Agli albori della creatività umana”
Verona, ex Caserma asburgica San Tomaso
Ministero della Cultura – Direzione regionale Musei Veneto
Comitato scientifico: Daniele Ferrara, Vincenzo Tinè, Federica Gonzato, Marco Peresani, Federica Fontana, Annaluisa Pedrotti
Progetto museologico: Federica Fontana
Progetto spazi museali e allestimento espositivo: Chiara Matteazzi, Federica Gonzato, Elisa Dalla Longa, Gabriele Martino
Studio illuminotecnico: Studio Pasetti lighting, Alberto Pasetti Bombardella con Elisa Scarpa e Stefano Olivieri
Progetto impianti: En&Com
Coordinatore per la sicurezza: SM Ingegneria
Ideazione grafica: Studio Zerotredici, Colortech
Restauri: Stefano Buson, Michele Pasqualetto
Strutture espositive: Arteche, SAP Società Archeologica, Gigi Giovanazzi, Schiavon Inox
Restauri architettonici: Silvia Dandria, Loretta Zega, Maria Grazia Martelletto, Chiara Matteazzi
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allestimenti , archeologia , beni culturali , musei , verona
Last modified: 1 Marzo 2022