Charmant, colto e cosmopolita, scompare il più internazionale degli architetti spagnoli della sua generazione
A due mesi dalla morte di Oriol Bohigas, Barcellona perde un’altra figura di riferimento dell’architettura degli ultimi 50 anni. L’architetto e urbanista Ricardo Bofill si è spento il 14 gennaio all’età di 82 anni. Aveva ereditato la passione per l’architettura dal padre, architetto e costruttore catalano, mentre dalla madre ebrea veneziana una grande fede nelle sue capacità; una famiglia borghese liberale e colta che gli offre uno sguardo cosmopolita e l’opportunità di avvicinarsi alla costruzione fin da giovane.
“L’architettura da sola non ha alcun senso”
Esponente come Bohigas della gauche divine catalana, Bofill si era iscritto nel 1957 all’Escola Tècnica Superior de Arquitectura de Barcelona (ETSAB), dalla quale era stato espulso lo stesso anno per ragioni politiche. Terminati gli studi alla Haute École du Paysage, d’Ingénierie et d’Architecture di Ginevra, nel 1963 aveva fondato il Taller d’Arquitectura a Barcellona, riunendo una stravagante equipe multidisciplinare che comprendeva, oltre ad architetti, matematici, artisti, filosofi e altri intellettuali chiamati a dire la loro sui progetti in lavorazione perché, secondo Bofill, “l’architettura da sola non ha nessun senso”. Una trasversalità che si riflette tutt’oggi nel centinaio di professionalità di trenta diverse nazionalità che compongono il suo studio, che da qualche anno gestiscono i figli Ricardo e Pablo: “È questo gruppo di persone, oltre alle opere realizzate, la vera eredità che lascia nostro padre”.
Da La Fabrica, il mitico studio-residenza ricavato in un ex cementificio alle porte di Barcellona, e dalle sedi aperte negli anni a Parigi, Montpellier, Algeria, New York, Tokyo, Chicago e Pechino, Bofill ha firmato un migliaio di progetti in una quarantina di Paesi.
Una vita da nomade
Figura controversa, l’architetto catalano era una persona colta, charmant, irrequieta, estremamente consapevole della stretta relazione tra architettura, business e politica. In un’intervista al giornale “ABC” rilasciata circa un anno fa commentava: “Ciò che più mi piace è inventare architetture, un linguaggio, un lessico e allo stesso tempo mantenermi aggiornato sulle tematiche che guardano al futuro. Questo è tutto ciò che mi motiva a continuare a fare architettura dieci ore al giorno”. Bofill è stato tra i primi a comprendere e far propria la globalizzazione della professione: “Ho vissuto come un nomade, muovendomi costantemente per riuscire a fare architettura. Costruire in 40 Paesi moltiplica i punti di vista. Viaggiare ti obbliga a riconoscere la differenza tra ciò che pensi o ti aspetti e la realtà”, affermava in un’intervista di alcuni anni fa su “El País”.
Il più internazionale tra gli architetti spagnoli della sua generazione non lega necessariamente il suo nome a Barcellona, nonostante vi abbia realizzato edifici emblematici, a cominciare dal polemico Walden, pietra miliare dell’architettura spagnola, e solo a partire dagli anni novanta il Teatro Nazionale (TNC), l’aeroporto, l’Hotel Vela, tra gli altri.
Dagli esordi, uno dei primi architetti dello star system
Dopo gli esordi, in cui basa la sua ricerca sul recupero degli elementi più artigianali dell’architettura catalana tradizionale applicandoli all’edilizia residenziale, con una certa componente utopica – la Muraglia Rossa a Calpe (Alicante), il Castello di Kafka a Sant Pere de Ribes (Barcellona), il quartiere Gaudì a Reus (Tarragona), e lo stesso Walden a Sant Just Desvern (Barcellona) -, lo sguardo del Bofill antifranchista e cosmopolita scavalca presto i confini spagnoli, lasciando una Barcellona “brutta, triste e provinciale” per Parigi, dove nel 1971 apre una succursale ed entra in contatto con i vertici della politica, diventando uno dei primi architetti dello star system.
Nel ventennio 1980-2000 costruisce soprattutto all’estero, molto in una Francia che celebra la sua grandeur. Progetti su scala urbana, spesso residenziali come Les Arcades du Lac e Le Viaduc a Saint-Quentin-en-Yvelines, Les Espaces de Abraxas a Marne-la-Vallée, l’immenso quartiere Antigone a Montpellier, ma anche il complesso di edilizia sociale Houari Boumedienne in Algeria.
Mentre firma diversi edifici importanti per la Barcellona olimpica, Bofill si proietta negli Stati Uniti: è il primo architetto spagnolo a costruire un grattacielo, il 77 West Wacker Drive a Chicago (1992). Edifici culturali e commerciali, padiglioni sportivi, sedi aziendali, residenza sociale e di lusso in Europa, Stati Uniti, Russia, Medio Oriente, Giappone, Cina e ultimamente in India; il Palazzo dei Congressi di Madrid, l’edificio Shiseido di Tokyo, la Torre Platinum di Beirut, il Centro congressi Kontantinovsky di San Pietroburgo, l’Auditorio Arsenal di Metz, il Citadel Center di Chicago, la sede del Politecnico Mohammed VI in Marocco solo per citarne alcuni.
Difensore della città compatta mediterranea
Più di un centinaio anche i progetti paesaggistici
, dalle città giardino ai grandi parchi urbani. In Italia ha disegnato la piazza della Libertà e l’edificio Crescent a Salerno, la Torre Orsero e il Palacrociere a Savona.
In aperta critica con il pensiero dominante e il razionalismo di Le Corbusier, che definiva “un grande creativo con un’ideologia nefasta”, Bofill era un difensore della città compatta mediterranea e dell’importanza della storia, e considerava che il suo punto di forza fosse la capacità di adattarsi ogni volta a contesti diversi. Da qui l’ampio ventaglio di espressioni stilistiche, con una certa componente d’innovazione e, dunque, di rischio: “So fare solo due cose”, aveva detto durante una conferenza lo scorso giugno, “progetti urbanistici a grande scala e creare linguaggi architettonici diversi”.
Numerosissimi i riconoscimenti ricevuti, tra cui il Premio FAD, il Premio ASID dell’American Society of Interior Design, il Premio Città di Barcellona, il titolo di Architetto dell’Ordre des Architectes de Belgique, quello di Officier de l’Ordre des Arts et des Lettres francese tra gli altri. L’ultimo lo scorso settembre, quando è stato insignito della laurea “honoris causa” dall’Università Politecnica della Catalogna (UPC) di Barcellona.
Immagine di copertina: © RBTA
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Last modified: 19 Gennaio 2022