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Fulvio IraceWritten by: Progetti

Ri_visitati. Il grattacielo Pirelli: risorto dalle ceneri, brilla di luce perenne

Ri_visitati. Il grattacielo Pirelli: risorto dalle ceneri, brilla di luce perenne

Celebrato in una mostra, l’edificio di Gio Ponti e Pier Luigi Nervi è un emblema che si è riguadagnato il futuro, dominando la Milano post-expo e quella pre-olimpica

 

Il passato

Il 5 febbraio 1960 La Dolce Vita lanciava il mito di Roma città aperta al mondo; il 4 aprile l’inaugurazione del grattacielo Pirelli lanciava la candidatura di Milano al ruolo di capitale morale. Se il sogno di celluloide di Federico Fellini celebrava l’ambigua dolcezza dell’Italian way, il sogno di vetro e cemento di Gio Ponti diveniva il simbolo del capitalismo rampante nel ritratto crudele de La Notte di Michelangelo Antonioni.

Anche se in realtà per Ponti il Pirelli era l’esatto contrario di quell’idea di disumanizzazione attribuita alla crudezza dell’architettura moderna: piuttosto la realizzazione di una “profezia” che si basava sullo slogan “Onore al lavoro”. Pretendeva, anzi, di essere il riscatto da quella “Vita Agra” raccontata da Luciano Bianciardi e ripresa dal celebre film di Carlo Lizzani: la dimostrazione che lo spazio del lavoro dovesse essere il punto di partenza di ogni progetto collettivo; un ambiente capace di rappresentare nella perfezione del suo ordine e nell’accuratezza del design l’antico ideale dell’opera d’arte totale.

Il primo elemento modulare”, ragionava, “è il tavolo da lavoro e lo spazio attorno ad esso necessario a chi ci risiede”. Dal tavolo alla città il percorso era lineare, ma non meccanico e tutt’altro che scontato; la misura del modulo (95 cm) determina il ritmo di facciata, facendo corrispondere organicamente lo spazio degli interni al discorso strutturale; ma questa sta nella logica dell’architettura di cristallo, cioè la rappresentazione del “finito contro l’indefinito”, il valore di “ciò che resta contro ciò che passa”.

Perché tutto sia esatto, occorre che tutto sia disegnato ex novo: dai tavoli alle sedie, alle pareti, alle finiture. L’opera d’arte totale esige controllo totale, totale assoggettamento al concetto generativo: il suo compimento diventa a sua volta motore di una ricerca e di una produzione tipica della nuova era industriale, perché “la strada battuta porta a superare concettualmente, produttivamente, funzionalmente tutto ciò che la produzione oggi pone sul mercato: e sarà un’altra dote dell’edificio Pirelli.”

 

Il presente

A 60 anni dall’inaugurazione (61 causa lockdown), una mostra curata da Alessandro Colombo ne ripercorre la storia: ne racconta le tappe racchiudendole in isole per temi e tempi. Dall’ideazione al cantiere alla realizzazione finale, ricostruisce le tappe salienti di un processo progettuale sbalorditivo sia per la rapidità dei tempi (quattro anni), sia per l’innovazione dei processi costruttivi, sia, ancora, per l’ingegnosità dei suoi due autori: Ponti e Pier Luigi Nervi. L’architetto e l’ingegnere alla caccia dei “pesi perduti”, catturati da una spirale di eccitazione continua per eliminare ogni sospetto di staticità, di retorica, di pesantezza non necessaria: il cristallo che diventa architettura e grazie a Nervi anche struttura. Anzi la struttura che diventa essa stessa architettura al punto da essere esibita – Ponti dixit – all’ultimo piano, il cosiddetto “belvedere” come coup de théâtre per gli ascensionisti dell’ultimo livello.

Ma la mostra racconta bene l’epopea del Pirelli come opera d’arte collettiva: gli imprenditori illuminati (Alberto e Leopoldo Pirelli), gli scienziati dell’architettura e dell’ingegneria, i manager capaci, ma soprattutto una società civile come tessuto in grado di animare (e sollecitare) grandi imprese. Testimonianze video si alternano ai pannelli con foto, disegni e immagini che lasciano percepire la vivacità della cultura d’impresa e l’elogio di una (allora) vibrante “civiltà delle macchine”.

Il Pirelli vive certo di vita propria, ma la Milano che lo circondava non c’è più: ora che anche la monumentale stazione di Ulisse Stacchini è divenuta smart; rimane archeologia la storica foto di Uliano Lucas con l’immigrante sardo appena sceso dal treno con la sua valigia di cartone. Oggi gli immigranti extracomunitari non sono la stessa cosa e i presidi militari ipotecano le aspirazioni di chi è alla ricerca di una sua piccola fetta di Eldorado. Allora bisogna raccontarla quella Milano uscita splendente dalle macerie della guerra, e persino chic come le modelle pubblicizzate dai cataloghi di moda della Pirelli.

 

Il futuro

Il 18 aprile 2002 un aereo si abbatte sul Pirelli: non fu la catastrofe dell’11 settembre newyorkese, ma l’avvio di una rinascita che due anni dopo lo riconsegnò alla città in tutto il suo splendore. Il restauro fu il primo laboratorio a larga scala di restauro del moderno: ma fu anche il riavvio di una storia che sembrava essersi inceppata.

Dopo il passaggio alla Regione Lombardia nel 1980, l’aura del grattacielo si avvolse del torpore della nebbia lombarda al punto che l’allora presidente Roberto Formigoni, noto come l’”elevato”, lo disdegnò pubblicamente in favore di un qualche edificio antico ritenuto più rappresentativo.

Oggi la rinascita della fortuna critica di Ponti rende quest’episodio ancora più incredibile o incomprensibile, visto che, a torto o ragione, il Pirelli è divenuto di fatto un’icona del paesaggio cittadino. Risorto dalle sue ceneri, il grattacielo di Ponti e Nervi si è guadagnato il futuro: basta guardarsi attorno per comprenderne le ragioni. La nuova sede della Regione è a poche centinaia di metri ma, sebbene non spregevole, è tutt’altra cosa. Non può aspirare al ruolo di classico che al Pirelli spetta di diritto, anche (anzi soprattutto) in una città che si è fatta metropoli verticale.

La sua stringata essenzialità – “forma rappresentativa” per Ponti – è uno squillo di gioia che contrasta e domina, con olimpica serenità, le punte alte della metropoli post-Expo e pre-olimpica. In un paesaggio di torri disegnate da multinazionali del progetto, è il marchio indelebile di un’italianità che stenta a risollevarsi anche nelle performance delle sue ali più combattive. Rispetto al nodo trinariciuto di City Life – Isokaki, Hadid, Libeskind – il cristallo pontiano brilla di luce perenne: ha la serenità di chi non deve conquistarsi un domani, perché ha superato lo stress test del tempo, dribblando il presente per cadere (in piedi) nel futuro.

 

Storie del grattacielo. I 60 anni del Pirellone tra cultura industriale e attività istituzionali di Regione Lombardia

a cura di Fondazione Pirelli e Alessandro Colombo
Promossa da Regione Lombardia e Fondazione Pirelli
Grattacielo Pirelli
30 giugno – 30 novembre 2021
La mostra è visitabile su prenotazione lunedì e mercoledì dalle 9:30 alle 12:30 e dalle 14:30 alle 16:30

 

Autore

  • Fulvio Irace

    Docente ordinario di Storia dell'architettura al Politecnico di Milano, è visiting professor all’Accademia di Architettura di Mendrisio. I suoi interessi di studioso si sono indirizzati da molti decenni sull’architettura italiana del 900, con una particolare attitudine (ed empatia critica) verso le figure “minori” (da Mollino a Ponti, da Muzio ad Asnago & Vender, Magistretti, ecc) che oggi costituiscono l'inedita costellazione di una storia “diversa”. Su tali temi ha scritto libri e organizzato mostre (da "AnniTrenta", 1982, a "Facecity", 2012), rifiutandosi di distinguere la storia dalla critica, la filologia dall’interpretazione. In tal senso considera la sua collaborazione alle riviste e al Domenicale de "Il Sole24ore" come parte integrante di un’attenzione alla contemporaneità e di un’idea di critica come doveroso rischio intellettuale

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Last modified: 14 Luglio 2021