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Alberto VignoloWritten by: Città e Territorio

Ritratti di città. Verona? In fondo a destra /2

Ritratti di città. Verona? In fondo a destra /2

Nel centro, il difficile equilibrio tra turismo e identità: dal “Piano Folin” ai progetti per l’Arena e l’ex caserma Passalacqua. Ma serve una visione lungimirante e ambiziosa

 

LEGGI LA PRIMA PARTE DEL RITRATTO DI CITTA’

 

Già, il centro di Verona… Nel tessuto storico costellato dal patrimonio monumentale cui la città deve bellezza e fama è in atto da tempo un cambiamento pulviscolare strisciante, frutto del suo ruolo primario come città turistica – tralasciando l’anno di stasi della pandemia – secondo dinamiche consolidate a livello globale: ecco la fioritura dei b&b, il calo dei residenti e delle attività commerciali tradizionali, i flussi di visitatori talvolta incontrollabili come quelli attratti dal mito della Casa di Giulietta. Un tema, quello dell’accesso alla casa-museo, di cui si parla da anni, ma il tentativo da parte dell’amministrazione comunale di mettere a bando le proposte per garantire migliori condizioni di visita facendo leva su spazi adiacenti al famoso balcone è naufragato per l’impossibilità di conciliare le due proposte concorrenti, perfetta riedizione dello scontro familistico rappresentato nel dramma shakespeariano.

 

Il “Piano Folin” per il centro storico e il Museo della città

Eppure nel centro antico, spazi importanti in cerca di un destino appropriato non mancano: ne sa qualcosa la fondazione bancaria cittadina che, dopo una stagione di espansionismo immobiliare con l’acquisizione di grandi palazzi monumentali, alienati tra le polemiche dall’amministrazione comunale, si è chiesta giustamente che farne attraverso uno “Studio di valorizzazione immobiliare e sociale” firmato da Marino Folin. Presentato a dicembre 2018, il cosiddetto “piano Folin”, che del piano non ha però alcuna valenza, nonostante l’amministrazione l’abbia fatto proprio quanto meno a livello d’intenzioni, prevede sostanzialmente un riuso degli isolati urbani posti nel cuore della città antica lasciati liberi dagli uffici di Unicredit trasferiti ai Magazzini generali, con un complesso alberghiero e congressuale e relative amenities; previsione in parte confermata dalla presentazione a fine 2020 del progetto di restauro per insediare in parte di tali edifici una struttura ricettiva della catena alberghiera Marriott.

Uno snaturamento del centro, come viene paventato, o la rivitalizzazione di un settore urbano dismesso? In queste dinamiche, Verona segue a ruota l’esempio già battuto da Venezia su più ampia scala: il turismo come risorsa e ricchezza da una parte, l’identità di una città per i suoi abitanti dall’altra. Una tensione rispetto alla quale nessuno ha però una formula risolutiva da proporre.

L’altro versante del piano Folin ipotizza per le due sedi espositive in corso di restauro (ma i cantieri sono fermi in attesa delle scelte decisive), Castel San Pietro sull’omonimo colle (progetto GrisDainese) e Palazzo del Capitanio affacciato su piazza dei Signori (progetto Arteco), un Museo della città esteso al ruolo di urban center. Bene, bello, se non fosse che questo museo è ancora tutto da inventare, nonostante se ne parli a Verona da molti anni.

 

I musei, tra Carlo Scarpa e Palazzo Maffei

Intanto, sul fonte museale, ci pensa il privato: a inizio 2020 è stata inaugurata in piazza Erbe la Casa museo di Palazzo Maffei, con il restauro e l’allestimento di Baldessari & Baldessari per accogliere le collezioni d’arte dell’imprenditore Luigi Carlon. Ma a Verona si va ancora devotamente sulle tracce di Carlo Scarpa, autore del magistrale intervento al Museo di Castelvecchio, un must see per intere generazioni di architetti, che nel corso degli anni ha funzionato da catalizzatore di ogni fermento architettonico in città, dalle mostre alle conferenze alle installazioni, compresa quella tellurica del 2005 di Peter Eisenman col suo Giardino dei passi perduti.

Eppure Castelvecchio soffre l’impostazione oramai datata per la mancanza di spazi di accoglienza e di servizio, necessari a rilanciarne il ruolo come museo contemporaneo. Da decenni si parla di un suo naturale e organico ampliamento nella parte del castello ancora in uso al Circolo ufficiali dell’Esercito, un retaggio del passato ruolo militare di primo piano della città oggi molto ridimensionato. Ipotesi che però non ha ancora trovato compimento: per uscire da una fase di resistenza semi clandestina ci vorrà una lotta di liberazione del castello scaligero, una mobilitazione culturale di truppe d’intellettuali e strateghi politici, come avvenne alcuni anni or sono per l’analoga situazione di Palazzo Barberini a Roma.

 

Recuperi: dall’ex Provianda alla caserma Passalacqua

I pellegrinaggi architettonici hanno intanto trovato una nuova meta

, sempre sulla linea d’onda tra storia e progetto, grazie alla meritata fama della ex Provianda di Santa Marta, sontuoso edificio produttivo di epoca absburgica dove venivano sfornate le pagnotte per le truppe dell’impero, recuperata per l’Università di Verona con aule, spazi dipartimentali e una grande biblioteca grazie a un progetto con Massimo Carmassi capofila, che è valso nel 2014 la Medaglia d’oro all’Architettura italiana della Triennale di Milano. Fuori dalla Santa Marta è ancora incompiuto il recupero dell’area dell’ex caserma Passalacqua, vicenda che si trascina dal 2012 e che prevede un comparto residenziale, servizi per il quartiere e un parco urbano disegnato dai paesaggisti olandesi West8. A far ripartire i cantieri hanno contribuito le procedure del Bando periferie del 2016, grazie al quale si potrà anche restaurare un edificio storico simbolo del quartiere, insieme centrale e periferico, di Veronetta, il palazzo Bocca Trezza (progetto Sinergo, A.c.M.e. Studio, M. Spinelli, L. Jurina, R.O.M.A. Consorzio).

 

L’incognita Arsenale

Se Santa Marta ride, piange ancora lacrime amare un altro dei grandi lasciti austriaci alla città, l’Arsenale

. Dismesso l’uso militare e passato al patrimonio comunale nel 1995, da un quarto di secolo ha visto crescere in parallelo progetti e degrado. Il concorso dell’inizio degli anni duemila per farne la nuova sede del Museo di storia naturale cittadino, vinto da David Chipperfield Architects, non ha avuto seguito; l’unico lascito dell’architetto inglese in riva all’Adige è il recupero portato a termine nel 2011 della bella e silente vasca natatoria al di fuori della cittadella militare, ripensata come un luogo collettivo dedicato ai cittadini.

Negli anni sono seguite alcune proposte di project financing, tra le quali una nel 2016 con il progetto dello studio 5+1AA. Nel 2020 l’attuale amministrazione, dopo un processo di partecipazione coordinato dal Politecnico di Milano per definirne gli usi, ha bandito una nuova gara per il progetto di recupero del complesso, vinta da Politecnica Ingegneria e Architettura, e ora se ne attendono gli esiti.

 

Restauri: l’Arena e le mura

Un importante restauro in corso grazie all’art bonus con i fondi di UniCredit è invece quello dell’Arena romana, tra tutela del monumento e rifacimento delle complesse reti impiantistiche e dei servizi (igienici in primis) che ne consentono l’intenso uso nelle stagioni di spettacolo estivo. Archiviato il concorso del 2017, vinto dai tedeschi di Sbp e Gmp, per una copertura dell’anfiteatro, per arrivare a un ripensamento degli usi di spettacolo consolidati e considerati inamovibili, tra pesanti sovrastrutture di palco, gradinate e sedute, c’è voluta la pandemia nella stagione 2020, con la riproposizione della scena centrale che ha permesso di riscoprire l’identità tipologica del monumento (idea peraltro già sperimentata nel 2018 da Claudio Baglioni – una laurea in Architettura in tasca – per un suo concerto).

Tuttavia, forse inaspettatamente, non è per l’anfiteatro romano che Verona è stata dichiarata nel 2000 città Patrimonio mondiale dell’umanità, bensì come esemplare concetto di città fortificata. A un ventennio dal riconoscimento Unesco, ben poco si è fatto per valorizzare il sistema delle mura cittadine e scardinare la stratificazione di usi e gestioni parziali, anzi continua la pratica di pensarle per parti isolate anche attraverso concorsi di progettazione, come quello nell’anno appena passato per la realizzazione di uno skatepark (vincitore: gruppo Architer).

Una visione d’insieme lungimirante e ambiziosa è forse ciò che manca, non solo riguardo alle mura ma sull’intera città. Un progetto urbano quale espressione di una comunità capace di scrollarsi di dosso quel posto “in fondo a destra” per Verona, nelle cronache nazionali, dovuto alle frange più retrive della politica e della società.

Autore

  • Alberto Vignolo

    Nato a Peschiera del Garda (Verona) nel 1968. Laureato in architettura al Politecnico di Milano, alla libera professione affianca la ricerca sulla comunicazione del progetto architettonico attraverso la redazione di articoli, saggi e monografie e l'organizzazione di mostre e iniziative culturali. Dal 2010 dirige la rivista «Architettiverona».

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Last modified: 18 Gennaio 2021