Da grigio porto in declino a capitale del vino e della douceur de vivre alla francese. Vent’anni per ridefinire l’immaginario di una città, che ora sembra però rallentare
La trasformazione della “bella addormentata”
Da ormai cinque anni è l’inamovibile prima della classifica. Sul podio delle città in cui i francesi sognerebbero di trasferirsi, Bordeaux è la più ambita. La sceglie il 35% del campione nazionale, con picchi tra i parigini. Capoluogo di un’agglomerazione urbana intorno al milione di abitanti, Bordeaux è oggi tra le prime città di Francia per crescita demografica e turistica. Un risultato frutto di una risoluta cura di riqualificazione urbana, certo fisica ma anche e soprattutto d’immagine, che oggi la piazza in cima alle liste delle “città da non perdere” e altri palmarès da rete sociale.
La città piovosa dalle facciate annerite e dai capannoni portuali fatiscenti, da queste parti nessuno se la vuole ricordare. Nemmeno lui, Alain Juppé, che di questa trasformazione ha tenuto le redini. Un uomo forte, che nel paese dei re, dei generali e dei presidenti ha avuto dalla sua un’incredibile continuità politica. Sindaco quasi ininterrottamente dal 1995 al 2019, Juppé incarna appieno quello spirito moderato e terribilmente borghese, che storicamente i francesi attribuiscono alla città delle tre emme: Montaigne, Montesquieu e Mauriac. Uno spirito conservatore e pacato – leggi barboso – che le è valso per anni il soprannome di “bella addormentata”. E che oggi la accomuna a certi lati borghesi della storicamente rivale Parigi, capitale un tempo lontana, oggi a sole due ore di TGV. Nel 2017, con l’arrivo dell’alta velocità, le famiglie di parigini stufe dei prezzi esorbitanti e delle metro stipate della capitale si sono moltiplicate sulla Garonna. Di Bordeaux, che nel frattempo molti chiamano “la piccola Parigi”, apprezzano ovviamente il vino, il patrimonio storico-artistico ma anche l’architettura contemporanea. Sì, perché nella trasformazione di Bordeaux, come amano definirla i media nazionali, gli architetti hanno avuto la loro parte.
Il ruolo dell’architettura
C’è da dire che in città, questa disciplina ha sempre goduto di uno status particolare. È a Bordeaux che nasce nel 1981 Arc en rêve, il primo centro d’architettura del paese (il Pavillon de l’Arsenal di Parigi aprirà le sue porte solo otto anni dopo). Ed è sempre a Bordeaux che nel 1989 un concorso d’idee riunisce sette squadre di architetti di fama mondiale, fatto inedito per un paese centralizzato e centralista, tra cui Christian de Portzamparc, Zaha Hadid, Jean Nouvel e Santiago Calatrava. Di fronte al trasferimento del porto e alla dismissione di grandi stabilimenti industriali, il concorso “Bordeaux Port de la Lune” invita a ripensare il rapporto tra la città e il suo fiume, la Garonna. Della passerella galleggiante immaginata da William Alsop e dell’anello di torri di Rem Koohlaas non se ne farà niente. Quelle visionarie e a tratti strampalate idee serviranno però a bloccare un pasticcio postmoderno di emicicli e “fari di Alessandria” che Ricardo Bofill sta disegnando per la rive droite. E a definire le linee guida del nuovo sviluppo urbanistico: alla monumentale facciata continua in pietra che dal Settecento fa da quinta alla riva sinistra della Garonna si contrapporrà una lunga striscia verde.
I progetti grandi firme divengono realtà
Dal 1999 ai dibattiti si sostituiscono i cantieri: il paesaggista Michel Corajoud è incaricato di ridisegnare la riva sinistra del fiume, sulla quale gli obsoleti capannoni portuali lasciano il posto a un parco lineare lungo 4 km. Il miroir d’eau, uno specchio d’acqua artificiale nel quale si riflette la sontuosa architettura settecentesca della piazza della Borsa, diventa il simbolo della riappropriazione da parte dei cittadini della Garonna e più in generale dello spazio pubblico. Ai grandi lavori di Corajoud, terminati nel 2009, si affiancano quelli per la realizzazione di una nuova rete tranviaria. Pensate congiuntamente e interamente da architetti e designer, le quattro linee di tram ridefiniscono la percezione della città, sottraendo grandi spazi al traffico automobilistico e ridisegnando sul loro cammino piazze e viali. Il passo è ormai dato: nel 2007 il centro storico è iscritto alla lista del patrimonio mondiale UNESCO e gli incentivi fiscali favoriscono i restauri delle facciate in pietra calcarea. Che lentamente riacquistano il loro biondo colore originario.
Intorno al denso nucleo antico tirato a lucido, la città si espande sulle aree portuali e industriali dismesse. A est, nel quartiere operaio della Bastide, gli interventi conciliano il passato commerciale e militare con grandi spazi verdi e nuove residenze. Tra i vuoti il cui aspetto selvatico dissimula un attento lavoro di disegno, il giardino botanico di Catherine Mosbach (2007) e il Parc aux Angéliques di Michel Desvignes (2012-17), sorgono dei pieni pensati per ricucire brandelli di città discontinui: il polo universitario di Lacaton & Vassal (2006) e l’archivio municipale di Robbrecht & Daem (2015). A nord le gru si moltiplicano intorno alle darsene del Bassin à flot, l’antico cuore delle attività portuali. In questo quartiere misto di appartamenti ed uffici il tono è dato dall’uniformità degli edifici residenziali, che, pur se progettati da studi diversi, fanno tutti ricorso a rivestimenti in lamiera ondulata. A sud, infine, approfittando della prossimità alla stazione centrale, la città prevede la nascita di Euratlantique, un grande centro direzionale con residenze e servizi. A metà strada tra Parigi e Madrid, lungo la futura linea dell’alta velocità.
Est, nord, sud: nella macroscala delle tre grandi direttrici di espansione urbana, la microscala è segnata da un incredibile numero di oggetti singolari. Seguendo con qualche anno di ritardo una certa moda europea per i contenitori dalla forma iconica, nel 2015 la città inaugura il nuovo stadio firmato dagli elvetici Herzog & de Meuron, eterea foresta di pilastri immacolati che segna delicatamente il margine settentrionale dell’agglomerazione. Nel 2016 è la volta della Cité du vin dello studio XTU, ultima propaggine di una certa architettura museale parametrica alla Bilbao. Infine, nel 2019, la Méca (Maison de l’économie créative et de la culture) degli studi Bjarke Ingels Group e Freaks Architects, mastodontico polo culturale che tra Garonna e stazione centrale non dissimula la sua vocazione di grande scultura urbana.
Ma è soprattutto sul fronte dell’edilizia popolare che Bordeaux fa bella mostra di sé. E qui che lo studio parigino LAN realizza due dei suoi progetti più celebri: gli alloggi sociali estensibili del Carré Lumière e la riqualificazione delle torri e degli spazi pubblici del quartiere Génicart, entrambi terminati nel 2015. Ed è soprattutto nella loro città che i bordolesi Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal tornano nel 2016 per l’impressionante trasformazione delle barre G, H e I del quartiere popolare del Grand Parc, con il quale si sono aggiudicati l’edizione 2019 del Premio europeo Mies van der Rohe. Seguendo un principio già sperimentato in altre banlieues francesi, gli architetti spogliano i grandi blocchi prefabbricati anni ’70 dei loro pannelli di facciata per estendere gli spazi abitabili attraverso l’inserimento di nuovi giardini d’inverno, completamente vetrati e opportunamente schermati da tendaggi termici. Nessun bisogno di demolizione, gli appartamenti si adattano con investimenti minimi agli standard abitativi contemporanei. E offrono viste panoramiche da condomini di lusso.
Il futuro rallenta
Parchi, infrastrutture, case popolari e musei. Se il fervore degli “anni Juppé” ha permesso lo sviluppo di un panorama architettonico calibrato tra interventi pubblici e privati, tra grandi nomi internazionali e giovani studi locali e tra scale di progetto diverse, la città sembra giunta a uno stallo. Dopo 25 anni al timone, si mormora che Nicolas Florian, successore di Juppé, potrebbe non farcela alle prossime elezioni. Dopo 40 anni di direzione artistica, i fondatori di Arc en rêve sono alla ricerca di un successore. Dopo 20 anni insomma di cantieri pubblici, iniziative culturali e voli low-cost da tutta Europa, la città sembra aver rallentato il passo. Alla maniera di quel ponte Simone Veil progettato da OMA per il sud della città, che doveva essere inaugurato quest’anno e i cui lavori sono stati interrotti per un contenzioso con la ditta di costruzione. La nuova gara d’appalto sarà pubblicata, Coronavirus permettendo, a giugno di quest’anno. Inaugurazione: non prima del 2024.
Immagine di copertina: Il Miroir d’eau, progettato dal paesaggista Michel Corajoud, l’architetto Pierre Gangnet e l’ingegnere Jean-Max Llorca nel 2006 (© Steve Le Clech)
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edilizia popolare , francia , rigenerazione urbana , ritratti di città
Last modified: 23 Marzo 2020