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Ivrea e l’eredità dispersa di Adriano Olivetti

Ivrea e l’eredità dispersa di Adriano Olivetti

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione nel 60° anniversario della scomparsa di Adriano Olivetti

 

«Occorre mobilitare le nostre grandi riserve di intelligenza e di valore perché i nostri architetti non siano chiamati a sterili concorsi, ma sia conferito alla loro fatica intelligente e creativa l’avvenire del nostro Paese» (Adriano Olivetti, editoriale di «Urbanistica», n.1, 1949).

Il 27 febbraio 1960 scompariva Adriano Olivetti (nato nel 1901), figura simbolica di un’Italia che ancora era potenzialità in divenire. Ingegnere chimico, imprenditore, sindaco d’Ivrea, editore, politico, senatore della Repubblica, presidente dell’INU, libero pensatore e molto altro ancora. Uomo di grandi intuizioni (fra tutte l’importanza dello sviluppo delle tecnologie innovative e dell’elettronica), ebbe anche la dote della lettura della complessità, che molto spesso lo portò ad essere guardato in vita e ricordato poi come un visionario; cosa che in effetti fu, con la sua capacità di vedere meglio e più lontano di altri. Nell’Italia del miracolo economico, Olivetti fu imprenditore capace di utili d’impresa sbalorditivi; dalle sue fabbriche uscirono prodotti celeberrimi come la Divisumma 14 o la Lettera 22, oggetti di elevatissima qualità tecnica e iconici del design internazionale e del made in Italy.

Rileggere il ruolo che la visione olivettiana riserva all’architettura e all’urbanistica probabilmente porta a capire che cosa della eredità di Adriano sia andato disperso: al centro del suo percorso si trovano sempre l’uomo come individuo e l’uomo come membro di Comunità. L’architettura e l’urbanistica sono gli strumenti attraverso cui l’idea sociale diventa concreta: Ivrea (ma anche il borgo La Martella a Matera o Pozzuoli con la costruzione della nuova fabbrica) sono laboratori d’idee; gli edifici che nascono attorno a via Jervis a Ivrea sono i luoghi in cui si sposano profitto e solidarietà, cultura e lavoro, individuo e Comunità. La strategia della pianificazione diventa direttamente realtà attraverso la qualità del progetto di architettura, in un rapporto non mediato e costruito su basi culturali e sociali condivise.

Ecco; credo che questo sia ciò che si è perso della lezione di Adriano: l’approccio sistemico che ha come obiettivo l’uomo e la qualità della sua vita. La capacità di agire in maniera programmatica inseguendo un’idea di società, di città, di Comunità, e mettendo al servizio di questa sia la qualità estetica che il profitto.

Negli anni ’60 la storia del nostro sviluppo urbano ha preso altre strade; gli stessi principi di pianificazione hanno volutamente spezzato il legame diretto con l’architettura, frapponendo fra l’idea e la realizzazione strumenti forti (fra tutti lo zoning), solo molti anni dopo e solo in parte superati.

Per questo suggerisco a chiunque ne abbia voglia una visita a Ivrea, il cui obiettivo non sia la sola curiosità verso edifici costruiti da maestri dell’architettura italiana per un committente dalla grande visione; ma sia invece la ricerca della risposta a una domanda: che cosa sarebbe oggi delle nostre città se l’idea olivettiana avesse realmente avuto un seguito?

Autore

  • Giovanni Bertoluzza

    Nato a Faenza nel 1968, dopo studi classici si laurea in architettura all’Università di Firenze. Dal 1995 esercita la libera professione; nel 2000 co-fonda lo studio associato Tangram, dal 2007 lavora in forma autonoma. Membro del Consiglio dell'Ordine di Bologna, e referente della Commissione ambiente. Più volte membro di commissioni comunali per la qualità architettonica e il paesaggio, fra qui quella di Bologna

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Last modified: 11 Marzo 2020