Visita alla mostra “Santiago Calatrava. Nella luce di Napoli”, allestita al Museo e Real bosco di Capodimonte, a cura di Sylvain Bellenger e Robertina Calatrava
NAPOLI. Architettura, ingegneria, disegno, pittura e scultura sono i temi tra cui si muove la figura di Santiago Calatrava, rappresentato come artista circolare in tutte le sue sfaccettature nelle sale della mostra partenopea. La retrospettiva, curata dalla moglie Robertina Calatrava e dal direttore del Museo e Real bosco di Capodimonte Sylvain Bellenger, si apre al secondo piano della Reggia dei Borboni con sei sculture in ferro ispirate ai guerrieri del tempio greco di Egina, oggi nella Glyptothek di Monaco ed esposte per la prima volta. Sei figure in ferro scuro in bilico su altrettanti blocchi di legno portano grandi scudi che fanno tutt’uno con le linee di forza dei corpi in un ritrovato equilibrio. L’installazione è circondata da una serie di disegni di nudi femminili che nelle pose ripropongono le stesse tensioni. Proseguendo si attraversa un’alternanza di quadri di alluminio dove le lievi deformazioni della geometria determinano condizioni di luce vibrante accentuata dai colori violenti, sculture dove blocchi di marmo si tengono in equilibrio attraverso tiranti sottili in acciaio e sculture più grandi ispirate dalle forme della natura e degli animali. Sono vortici di materia che partono da una base e si distendono e avvolgono occupando lo spazio delle sale come creste cariche di energia. I materiali sono ebano, tiglio, marmo bianco, alabastro, rame dorato, alluminio, granito nero e bronzo. Alle pareti sempre il riferimento di disegni e quadri.
«Non ho mai smesso di dipingere, per me è importante lavorare sulla pittura, sulla scultura e sulla ceramica, non solo come discipline indipendenti ma come nutrimento incessante per la mia architettura», dice Calatrava; ed è la chiave per capire l’origine delle sue forme architettoniche.
I suoi lavori più importanti sono documentati attraverso disegni e modelli, dalla stazione dell’aeroporto di Lione “Saint-Exupéry” o il World Trade Center Trasportation Hub di New York, dagli Sharq Crossing Bridges, tre diversi ponti interconnessi per la città di Doha in Qatar, alle tre versioni del ponte per Genova disegnate dopo il crollo del ponte Morandi nell’agosto 2018, dal Milwaukee Art Museum (MAM) di Wisconsin, all’auditorium di Tenerife a Santa Cruz nelle Isole Canarie, dal Centro atletico olimpico di Atene, al grattacielo residenziale Turning Torso di Malmö, in Svezia. Fino ai progetti italiani, l’insieme dei tre ponti per Reggio Emilia inaugurati nel 2007, la stazione Mediopadana per la stessa Reggio Emilia del 2013 e un ponte strallato con un unico pilone inclinato che s’innalza sul Crati e sull’intorno della piana calabrese (2000-2018), la città dello sport di Roma Tor Vegata mai ultimata e il ponte sul Canal Grande a Venezia (2008). Gli schizzi che accompagnano i progetti sono di stampo antico: carboncini, matite, china colorata. E sono bellissimi. I temi più pittorici della natura, gli animali e le figure umane, si fondono con i temi dell’architettura che si condensano in una continua ricerca di luce ed equilibrio strutturale.
«Sono sempre alla ricerca di più luce e di più spazio», dice l’architetto ingegnere spagnolo nato nel 1951 a Benimànet, nei pressi di Valencia. Tra tanti megaprogetti la piccola chiesa di St. Nicholas a New York ne è una evidente dimostrazione, con una struttura apparentemente compatta che, con la luce, si rivela una sequenza di costole accostate.
Infine, una notazione critica: la mostra sembra evidenziare una matrice scultorea nell’architettura e non approfondisce la dimensione urbana e territoriale dei progetti, invece dichiarata dal protagonista anche in virtù della sua formazione di urbanista. Certo, le forme perseguono più un’aspirazione a diventare fulcro che non ad un’integrazione con il contesto. Non è un disvalore, ma il tema resta aperto soprattutto in questo pezzo di meridione che ha visto atterrare come un disco volante la stazione dell’alta velocità di Zaha Hadid ad Afragola, periferia di Napoli.
La mostra continua nell’edificio del Cellaio nel Real Bosco di Capodimonte dove sono esposte le ceramiche, la cui tecnica Calatrava comincia ad apprendere in Spagna, a Manises. Sotto le volte bianche e tra i piloni possenti le 50 opere, vasi piatti, grandi uova sospese come nella Pala di Brera di Piero della Francesca, hanno un che di ancestrale nelle geometrie totemiche e nelle decorazioni. I colori porpora e nero provengono dalla storia ellenica, gli azzurri dal mare e cielo della Spagna. Ma certe arditezze strutturali sono rintracciabili anche qui: piedi sottili, equilibrio di corpi accostati, sbalzi e strombature.
Si arriva al vecchio deposito di derrate alimentari attraversando il parco progettato nel 1734 da Ferdinando Sanfelice nel pieno della cultura tardobarocca napoletana. Con il sole una luce dorata inonda e ammorbidisce le onde verdi. Tra i tigli, i lecci e le roverelle s’incontrano lungo i viali gli edifici storici dove la Real Fabbrica fondata da Carlo di Borbone nel 1743 produceva la celebre porcellana di Capodimonte. Luce e porcellana sono i due nessi tra la città e l’opera di Calatrava. Spirito inquieto come l’anima più profonda di Napoli.
Santiago Calatrava. Nella luce di Napoli
Museo e Real bosco di Capodimonte, Napoli
A cura di Sylvain Bellenger e Robertina Calatrava
06.12.2019-10.05.2020
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allestimenti , Calatrava , mostre , napoli
Last modified: 15 Gennaio 2020