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Francesca FavaroWritten by: Patrimonio

Torino, per la Cavallerizza reale sarà la volta buona?

Torino, per la Cavallerizza reale sarà la volta buona?
Dopo il terzo incendio in 5 anni, in arrivo il nuovo masterplan per il recupero di un’area centrale storica da tempo degradata, frammentata e sottoutilizzata

 

TORINO. L’incendio doloso che il 21 ottobre 2019 ha interessato, per circa tre ore, le Pagliere del complesso della Cavallerizza ha sollecitato, se non altro, una rinnovata attenzione ad una porzione del centro cittadino la cui controversa gestione è, ormai da un decennio, oggetto di accesi dibattiti e terreno di scontro politico. Una volta appurata l’entità del danno, circoscritto alle coperture del fabbricato a doppia manica delle ex stalle, costruito a metà Ottocento ed escluso dal perimetro che dal 1997 racchiude il bene Unesco, l’infelice occasione dell’incendio, piuttosto che con il sollievo per il mancato coinvolgimento degli edifici aulici adiacenti e degli archivi, va accolta con un colpevole imbarazzo. Le circostanze d’incuria che lo hanno consentito sono, infatti, un dato di fatto incontrovertibile e più che mai preoccupante, che rimanda ad una lunga storia (segnata da altri due incendi, nel 2014 e nel 2016) di negoziazioni mancate e progetti tentati, ma anche di sviluppo, da parte della cittadinanza, di varie forme di riappropriazione, simbolica e fisica, di questi spazi interrotti.

La vicenda della difficile gestione di 21.409 mq posti nelle maglie centrali di Torino, che oggi vede nuovamente schierarsi i suoi molteplici protagonisti e un nuovo masterplan, si esplicita come oggetto di discussione pubblica quasi dieci anni fa, ma trova le sue ragioni nella natura stessa di questi isolati compositi, iniziata nel XVII secolo [cfr. l’approfondimento al fondo].

 

Usi civici vs istanze private, una difficile mediazione

Per quest’area sono stati disegnati diversi masterplan, a partire dal primo, nel 1998, quando il complesso faceva interamente capo al Demanio militare, dell’architetto Agostino Magnaghi, che firma anche, più di vent’anni dopo, l’ultimo piano di cui si è data notizia nei giorni scorsi. Riposto in un cassetto nel 2016 dall’entrante amministrazione comunale pentastellata, è invece il masterplan commissionato ad Homers ed Equiter, risultato di un processo condiviso da un “Tavolo Cavallerizza”, formalizzato con protocollo d’intesa sottoscritto da sedici istituzioni cittadine. Il piano prevedeva la costituzione di un “distretto culturale” per l’area a fruizione pubblica, con funzioni diversificate per i vari corpi edilizi, indipendentemente dal regime proprietario (spazi per la produzione culturale, ricettività, commercio, residenze e funzioni universitarie).

Il nuovo piano di Magnaghi (con AI Studio), non ancora presentato ufficialmente, nel tentativo di ricomporre le varie istanze in gioco, affianca a sale studio, bar e negozi (ai piani terreni), alloggi ad affitti calmierati per studenti e famiglie, mentre si fa strada l’ipotesi che la Compagnia di San Paolo (finanziatrice di Cartolarizzazione Città di Torino srl – CCT) possa trasferire nella Manica Mosca alcuni uffici. Contestualmente ci si sta avviando, non senza polemiche, all’approvazione del Regolamento sui Beni comuni e alla sottoscrizione di un protocollo d’intesa per la liberazione (lo sgombero dovrà seguire la firma del documento) e ristrutturazione della Cavallerizza, a cui prenderà parte anche un comitato di scopo formato dagli attuali occupanti (ma anche dall’ex vicesindaco Guido Montanari), ai quali pare riconfermato il diritto alla gestione di alcuni spazi e che, critici nei confronti di un nuovo piano calato dall’alto, chiedono più tempo. Tuttavia, i 5 milioni promessi dal ministro del Beni culturali Dario Franceschini per una prima messa in sicurezza degli spazi, sono vincolati alla redazione di un piano degli interventi previsti, che inquadri in una forma giuridica precisa anche il ruolo della comunità occupante.

In attesa di nuovi sviluppi, è chiaro come l’incendio alle Pagliere, per cui ora si prevedono attività di ristorazione e artigianato, sembra aver accelerato processi decisionali sospesi (ci si chiede anche in quale misura questi siano stati resi a tutti gli effetti “partecipativi”) e progetti finora rimasti solo sulle scrivanie degli attori, che ora includono la componente formalizzata degli occupanti: la novità più rilevante rispetto al 2016 e già duramente stigmatizzata da alcuni.

Nonostante il cambio di velocità, le proprietà rimangono inalterate e si muovono autonomamente (Camplus costruirà 500 posti letto per studenti nelle proprietà di Cassa depositi e prestiti investimenti Sgr- CDPI); non pare messo in discussione il ruolo di CCT, così come risultano coerenti con le intenzioni progettuali del 2016 il mix funzionale e il grado variabile di fruibilità pubblica dei vari spazi. Del resto, è difficile prevedere un destino diverso per un oggetto tanto eterogeneo, che organico e totalmente aperto al pubblico non è mai stato. E se una riflessione critica sui limiti della privatizzazione del patrimonio culturale pubblico è legittima, è anche piuttosto chiaro quanto possa rivelarsi dannosa se usata come vessillo ideologico e arma politica o, ancora peggio, come alibi per la mancata assunzione di responsabilità, soprattutto quando appare l’unica strada praticabile.

 

Una storia travagliata

Con il termine Cavallerizza s’identifica un insieme tutt’altro che monolitico di edifici che, a partire dal 1675 hanno progressivamente saturato un’area compresa nell’ampliamento cittadino verso il Po. Quello che è stato identificato, dallo storico Mario Passanti nel 1945, come sistema coeso di edifici parte di una più estesa “zona di comando”, segnando a lungo la sua interpretazione, è di fatto, se analizzato alla scala dell’edificio, un oggetto ambiguo e disarticolato, risultato di una serie di progetti interrotti, integrazioni anche brutali, demolizioni e costruzioni provvisorie nell’arco di tre secoli (1675-1955 circa); la cavallerizza alfieriana (1740), frammento di un progetto di più ampio respiro mai realizzato, dà infatti il nome ad un’area che a fine Seicento ospitava un’Accademia per i nobili, realizzazione anch’essa parziale di un disegno di Amedeo di Castellamonte, e la Regia Zecca, e che accoglierà, per citare solo le costruzioni più rilevanti, il Maneggio Chiablese (circa 1775) e, nel secolo successivo, la Manica Mosca (1830-36) e le Pagliere (circa 1835-1864). Alla stratificazione dei progetti si è affiancata quella delle giurisdizioni su questo spazio di servizio nel cuore della città, su cui oggi insistono proprietà frammentarie e una molteplicità di usi, più o meno legittimi, che ne rendono estremamente difficile la gestione organica.

La storia recente del complesso (intrecciata negli anni ’50 del ‘900 a quella, non meno articolata, del Teatro regio molliniano), vede nel 2007 la cessione di una sua parte, di proprietà del Demanio militare, alla Città di Torino, che s’impegna ad acquisire negli anni successivi le restanti porzioni, per un totale di 37 milioni di euro. Quando, anche a causa di un bilancio in passivo, la Città cartolarizza (sotto l’amministrazione Chiamparino, con delibera del 22 dicembre 2009) la porzione acquisita del comparto (“ex Zecca” e “Porzione di compendio dell’ex Cavallerizza reale”) cedendola alla CCT, la vicenda diventa oggetto (e pretesto) di uno scontro politico e ideologico tuttora acceso. Quando poi, nel 2014, il Comune rinuncia all’acquisto dei restanti comparti del complesso (la Corte dell’Accademia, la manica di via Verdi Ovest e il padiglione di scherma), acquistati da CDPI, lo smembramento delle proprietà e degli usi dell’area, a cui si aggiunge anche l’Università di Torino (a cui è concesso in comodato d’uso il Maneggio Chiablese nel 2009 per realizzare un’Aula magna nel 2014), è compiuto.

Nel frattempo, come è noto, all’abbandono dell’area da parte del Teatro Stabile è seguita la parziale occupazione degli spazi da parte di un gruppo organizzato di cittadini, l’Assemblea Cavallerizza 14:45, da anni schierato contro la privatizzazione di un bene rivendicato come pubblico, ma anche promotore di attività culturali che hanno in parte riabilitato un luogo chiuso alla cittadinanza.

«Interruzione del processo di vendita della Cavallerizza reale. Pianificazione del processo di riacquisizione dell’immobile al fine della trasformazione dello stesso, attraverso un processo partecipativo che coinvolga i cittadini, in polo culturale sotto il controllo pubblico»: era l’intenzione formalizzata sul programma di mandato dell’amministrazione comunale guidata dalla sindaca Chiara Appendino (in carica dal giugno 2016), che ha legittimato gli occupanti e, prefigurando un’inversione di rotta rispetto all’amministrazione precedente, di fatto, con il blocco delle progettualità in corso, ha segnato una nuova battuta di arresto.

 

Immagine di copertina: © Assemblea Cavallerizza 14:45

Autore

  • Francesca Favaro

    Laureata in architettura presso il Politecnico di Torino, dove consegue nel 2021 il dottorato di ricerca in “Architettura. Storia e Progetto” e ora è assegnista di ricerca. Studia l’architettura e la professione di architetto nel Settecento. È interessata ai temi connessi alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio architettonico e artistico

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Last modified: 11 Novembre 2019