Report dall’edizione d’esordio del festival di design editoriale
NAPOLI. Si è appena concluso Edit Napoli, festival di design editoriale, quest’anno al suo esordio, che chiama a raccolta designer, aziende e artigiani per portare al pubblico quel design d’autore e di ricerca che, seppur di alto livello, non ha le risorse necessarie per partecipare ai circuiti mainstream e che fatica ad imporsi all’attenzione delle gallerie. Ne avevamo parlato con Domitilla Dardi – storica e curatrice di design la quale, insieme a Emilia Petruccelli, ha dato vita alla kermesse e ne ha curato lo scouting nel tempo record di un anno e mezzo -, nel pieno dell’attività di selezione dei partecipanti.
La location promette bene: il complesso monastico di San Domenico maggiore (XIII sec.), nel cuore di Napoli, è un tesoro di arte, storia, decorazione e tradizione artigianale partenopea che incanta i visitatori. Dalle meraviglie del passato a quelle dei giorni nostri il passo è breve grazie a Edit, che unisce il design indipendente e la manifattura locale sotto le volte del monastero, nelle cui stanze Tommaso D’Aquino meditava.
60 gli espositori presenti alla fiera, provenienti da tutta la penisola con poche ma significative realtà straniere, come Nika Zupanc e Constance Guisset.
Chi ne volesse tracciare l’identità o il ruolo professionale in maniera univoca, incontrerebbe non poche difficoltà. Si tratta di designer, artigiani, produttori? Distinguere le attività che spesso s’intersecano e i cui confini sono sempre più labili – qui a Napoli, ma potremmo ampliare la riflessione a tutta la recente produzione italiana – è cosa complessa. Qualcuno li definisce “designer maker” e rappresentano quegli esiti del design autoriale, autoprodotto, che sposa un alto livello di artigianato e che, proprio grazie ai maestri d’arte, dà vita a pezzi unici. Un lavoro in cui progettista e artigiano – quando non si tratti di professionalità fuse in un’unica figura – collaborano strettamente per concepire e realizzare l’oggetto; oppure, quando il produttore crea insieme al designer una tipologia di oggetto nuova nella storia della sua azienda.
Sono molte e diverse le storie presenti a Edit Napoli. Tutte raccontano d’incontri, di collaborazioni recenti o decennali fra professionisti del settore che mettono insieme differenti expertise e la passione per la ricerca, la sperimentazione sui materiali. Nomi già noti nel panorama internazionale e nostrano del design si alternano a giovani talenti di grande interesse, fra i quali alcuni presentano oggetti autoprodotti mentre altri collaborano con aziende di lunga tradizione.
Il progetto La casa di Pietra prosegue l’indagine sui materiali naturali e sulle sue infinite possibilità espressive. Questa volta in accordo con Hebanon – azienda che lavora il legno, con una storia radicata nel territorio a partire già dall’epoca borbonica – Gumdesign di Laura Fiaschi e Gabriele Pardi realizza dei contenitori in marmo e legno dalle molte possibilità combinatorie.
Domenico Orefice, designer di stanza a Milano, ripropone qui parte della collezione “Man de Milan”, già fattasi notare al Salone Satellite di due anni fa, insieme a “Le Terre”, pezzi inediti di terracotta e terra grezza che rievocano le antiche tecniche artigianali mediterranee, realizzati in collaborazione con gli artigiani Madeinterra.
Le aziende sono in alcuni casi ditte terziste, che qui vogliono emergere con una propria collezione per la prima volta, in altri casi realtà produttive consolidate che decidono di mettersi alla prova con un prodotto nuovo. È il caso di ANT277, una società tessile che ha coinvolto i designer di Kiasmo per l’ideazione di un decoro contemporaneo, ispirato al mare, per cuscini, federe e tende: in questo caso l’azienda realizza un prodotto nuovo a partire da una produzione consolidata e di alta qualità.
L’azienda marchigiana Bottega Intreccio presenta una collezione di sedute in midollino che portano la firma di Silvana Angeletti, Daniele Ruzza e Elena Salmistraro, quest’ultima presente anche con la madia “Polifemo” per De Castelli e con la collezione di rivestimenti in pietra per Lithea, azienda con sede nel messinese, fondata da Fabio Fazio e Patrizia Furnari.
Lo studio romano Manufatto, di Ilaria Aprile e Davide Gallina si affida ai falegnami trasteverini per la realizzazione del servo muto “Pietro” in legno e marmo travertino, ispirato al colonnato berniniano della basilica vaticana, mentre l’artista-artigiano vicentino Simone Crestani presenta dei lavori in vetro borosilicato, che rappresentano il punto d’incontro fra la rappresentazione della natura e la dimensione onirica.
La fiera diventa anche punto d’incontro di diverse realtà creative, come “401 È Amatrice” di Marina e Roberto Serafini, il progetto che ha messo insieme un gruppo di designer con la direzione artistica dei progettisti Silvana Angeletti e Daniele Ruzza, per avviare un processo di ripresa e crescita del comune distrutto dal terremoto del 2016. È anche il caso di PPPattern, lo store on line che produce e commercializza i lavori di grafica e illustrazione di designer internazionali, che presenta il tavolo da ping pong realizzato dall’illustratrice napoletana Resli Tale.
Gli esiti di questa produzione a filiera corta rispecchiano una ricerca e un know how nella lavorazione dei materiali che è la vera forza di Edit Napoli. Una fiera lontana dal lusso del design da collezione, accessibile ai più, che porta al pubblico oggetti di alta manifattura e concept originali al giusto prezzo e, allo stesso tempo, distante dall’oggetto cheap e privo d’identità delle catene di grande distribuzione. Bisognerà aspettare ancora qualche giorno per sapere se, insieme alla giusta visibilità, la kermesse è stata anche l’occasione per stringere accordi commerciali e favorire, com’era negli obiettivi delle organizzatrici, l’incontro degli espositori con i compratori. Nel frattempo, l’appuntamento annuale con Edit Napoli è confermato. Ci auguriamo che riservi nuove scoperte.
About Author
Tag
mostre , napoli
Last modified: 19 Giugno 2019