Visit Sponsor

Milena FarinaWritten by: Progetti

Ri_visitati. Il Municipio di Fiumicino, manomesso e desolato

Ri_visitati. Il Municipio di Fiumicino, manomesso e desolato

A 16 anni dall’inaugurazione, uno dei capi d’opera di Alessandro Anselmi è assai compromesso da incaute trasformazioni: l’amministrazione si lamenta e le manutenzioni (anche banali) latitano

 

Il passato

Ottenuta l’indipendenza da Roma nel 1992

con un referendum popolare, il nuovo Comune di Fiumicino necessitava di un’unica sede amministrativa che fosse riconoscibile come casa dei cittadini. Nel 1996 il sindaco Giancarlo Bozzetto chiama l’architetto romano Alessandro Anselmi (1934-2013), che una decina di anni prima aveva realizzato in Francia l’hôtel de ville di Rezé-les-Nantes e che in questa occasione sviluppa il progetto con Maurizio Castelli, Pia Pascalino e Natale Russo.

La realizzazione del Municipio s’inserisce in un programma più ampio di riqualificazione dell’area di accesso alla città, tra il Canale Pio-Clementino e la linea ferroviaria, per il quale lo stesso gruppo di progettazione redige un masterplan. Di tutti gli interventi previsti (la stazione per la nuova tramvia, un edificio polifunzionale, un centro sportivo, un albergo e nuovi insediamenti residenziali) si realizza solo il Municipio, inaugurato nel 2002. L’opera ottiene l’apprezzamento unanime della critica e segna un passaggio importante nel percorso creativo di Anselmi, che in questa occasione lavora intorno all’idea di una grande superficie che si deforma. L’edificio è infatti concepito come un piano che sale e si piega, passando da piazza a parete e infine a copertura di due volumi emergenti. Le funzioni rappresentative (uffici del sindaco e degli assessorati, segreteria generale e sala matrimoni) e gli uffici pubblici sono ospitati in questi due corpi, riuniti dal piano inclinato della piazza, che accoglie sotto di sé l’atrio d’ingresso e la sala consiliare. Sui fronti opposti i volumi degli uffici sono caratterizzati da un curtain wall di alluminio e vetro, che li distingue concettualmente dalla superficie della piazza, rivestita in pianelle di cotto. La continuità della superficie di laterizio è interrotta soltanto da alcune incisioni: le sottili finestre degli uffici, le due corti che danno luce agli spazi del piano terra, la bucatura della loggia nel corpo a nord e il percorso che conduce all’ingresso sud. L’arretramento laterale e sommitale dei volumi metallici rafforza l’immagine di una superficie autonoma che sale dinamicamente e si deforma per assecondare la configurazione trapezoidale del lotto. Questo movimento genera una scalinata che si sviluppa come una superficie rigata, visibile anche dall’interno dell’aula consiliare. L’edificio è quindi concepito come un frammento di paesaggio urbano, in grado d’interpretare i segni del luogo: la direttrice della via Portuense e del canale Pio-Clementino a sud e la linea ferroviaria a nord, poi cancellata dai nuovi insediamenti residenziali che hanno sostituito la tramvia prevista dal masterplan.

Il presente

L’immagine dell’edificio risulta oggi gravemente compromessa dalla costruzione di un volume di collegamento tra i due corpi degli uffici

, realizzato dall’amministrazione comunale a soli quattro anni dall’inaugurazione senza consultare i progettisti. Il maldestro intervento è ancora lì a distanza di più di dieci anni, nonostante l’appello lanciato a suo tempo dall’Ordine degli Architetti di Roma e sottoscritto da noti esponenti del mondo accademico e professionale, nonché il riconoscimento del carattere artistico dell’opera con un decreto della DARC (notificato però a lavori già iniziati).

Il volume aggiunto mostra oggi tutta la sua inadeguatezza, non solo per l’evidente incoerenza con l’architettura dell’edificio, ma anche per le condizioni climatiche decisamente insostenibili che l’ambiente realizzato offre a chi lo attraversa.

Le manomissioni sono continuate con la più recente demolizione delle prime due rampe di una delle scale più interessanti dell’edificio, che si sviluppava libera su tre livelli in uno spazio dalla grande tensione verticale e che ora appare monca e senza senso.

La superficie inclinata che sale dalla via Portuense si presenta come un luogo abbandonato e senza vita, anche per la mancata attivazione del bar previsto in corrispondenza della loggia e la chiusura del secondo ingresso al Municipio. Questo luogo, difficilmente assimilabile all’idea di piazza, soffre in realtà della mancata realizzazione delle nuove funzioni previste dal masterplan, che avrebbero reso vitali e attrattivi gli spazi pubblici intorno all’edificio. A scoraggiare ulteriormente la fruizione della piazza, la paradossale collocazione di una serie di dissuasori in cemento lungo il marciapiede della via Portuense.

I segni del tempo sono evidenti in un edificio tutto sommato giovane, anche a causa della mancata manutenzione da parte dell’amministrazione, che ha sempre avuto un difficile rapporto con la sua sede più rappresentativa, lamentando una serie di disagi: le difficoltà di spostamento al suo interno, la mancanza di flessibilità degli spazi, il sottodimensionamento dell’edificio dovuto all’insufficienza dei finanziamenti (ulteriormente ridotti con il ribasso d’asta). Tutti questi problemi testimoniano più che altro l’inadeguatezza di una committenza pubblica a formulare un programma adatto alle proprie esigenze e a gestire il processo decisionale in maniera tale da soddisfarle. Ma soprattutto emerge la difficoltà – ormai ampiamente diffusa nella società – a riconoscere nell’architettura un valore.

 

Il futuro

L’edificio necessita di interventi di manutenzione anche banali

, come la sostituzione delle vetrate e degli elementi di rivestimento danneggiati. La programmazione di questi lavori appare urgente per recuperare l’immagine di un’opera, visitata da architetti di tutto il mondo, che riveste anche un grande valore simbolico perché rappresenta una città.

Il ripristino dello stato originario dell’opera non sembra realistico nelle attuali condizioni, forse realizzabile in un auspicabile futuro con l’avvento di un’amministrazione più sensibile nei confronti dell’architettura come espressione di valori sociali e culturali condivisi da una collettività. Probabilmente ci sarà da aspettare.

La visita è stata organizzata nell’ambito di Architetture al Cubo, un’iniziativa articolata in un ciclo di giornate di studio on site, focalizzate sul tema del rapporto tra “Progettazione e Costruzione”, che implementa l’offerta formativa del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi Roma Tre.

Autore

  • Milena Farina

    Nata a Roma (1977), si laurea nel 2002 all’Università di Roma Tre, dove è Professoressa associata di Composizione architettonica e urbana presso il Dipartimento di Architettura. Nella sua attività di ricerca si occupa in special modo dello spazio dell’abitare nella città moderna e contemporanea. È autrice dei libri “Spazi e figure dell’abitare. Il progetto della residenza contemporanea in Olanda” (Quodlibet 2012), “Borgate romane. Storia e forma urbana” (Libria, 2017), Colonie estive su due mari. Rovine, progetto e restauro del moderno (GBE, 2021). Nel 2008 ha fondato con Mariella Annese lo studio Factory Architettura. Dal 2004 collabora con “Il Giornale dell’Architettura”

    Visualizza tutti gli articoli

About Author

(Visited 1.489 times, 1 visits today)
Share

Tag



Last modified: 11 Settembre 2018