Alcune considerazioni a partire dalla nuova Legge per lo “sviluppo della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica”
La recente approvazione da parte del Parlamento della Legge n.2 dell’11 gennaio 2018 recante “Disposizioni per lo sviluppo della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica” rappresenta un atto fondamentale per l’avvio di una politica a sostegno della mobilità sostenibile – e di quella ciclabile, in particolare – nelle aree turistiche e in quelle urbane e metropolitane del Paese. Non solo: il dispositivo previsto dal testo di legge costituisce anche un’importante svolta culturale, politica e tecnica per la gestione e la programmazione urbanistica del futuro assetto dei territori e delle aree urbane e metropolitane, non priva di delicate implicazioni.
Una prospettiva di riflessione e progetto aggiornata e responsabile sulla mobilità sostenibile non può esimersi dal confronto con un grumo di questioni rilevanti per il futuro delle città. Esse possono essere ricondotte ad almeno due sfondi di senso essenziali: da un lato la crisi ambientale e la necessità improcrastinabile di rivedere gli attuali modelli di sviluppo fondati in modo prevalente sul ricorso alle energie non rinnovabili; dall’altro la riconquista di alcune condizioni di giustizia sociale che attenuino le diseguaglianze, spesso influenti rispetto alle effettive possibilità di accesso alle risorse urbane disponibili.
Riflessione e progetto orientati alla mobilità sostenibile dovranno però anche trovare una prospettiva più pertinente rispetto alle forme dell’urbano contemporaneo, evitando ogni retorica confortante e assumendo una dimensione realistica, non riduttiva, capace di emanciparsi dalle visioni localiste basate sulla piccola scala che hanno segnato gli approcci dell’urbanistica pre-moderna e moderna. Sarà necessario lavorare a diverse scale, prevedendo molteplici forme di mobilità sostenibile, fondate su pedonalità, ciclabilità e intermodalità, realmente efficienti in relazione a diverse domande di mobilità. Bisognerà perseguire una condizione di accessibilità assai più capillare, efficiente rispetto ai diversi contesti insediativi, ma anche rispetto alle innumerevoli pratiche dell’abitare che si sviluppano tra ambiti non contigui. Si dovranno rendere compatibili le pratiche di mobilità ciclabile e pedonale con quelle veicolari, superando alcuni dispositivi progettuali tradizionali che hanno visto nei woonerf olandesi, nelle home zones inglesi e nelle sivegader svedesi una soluzione volta a limitare le forme di coesistenza fra autoveicoli e pedoni ad alcune – poche – felici isole urbane governate con regimi speciali. Molto dovrà essere pensato e sperimentato per conferire nuovamente centralità alla dimensione pedonale e ciclabile del vivere urbano, ma sarà necessario assumere con realismo le mutate condizioni dell’urbano contemporaneo e confrontarsi fino in fondo con le diverse questioni che esse sollevano.
Anche se forse solo parzialmente, la Legge recentemente approvata sembra accogliere alcune di queste istanze, intendendo «promuovere l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto sia per le esigenze quotidiane sia per le attività turistiche e ricreative al fine di migliorare l’efficienza, la sicurezza e la sostenibilità della mobilità urbana, tutelare il patrimonio naturale e ambientale, ridurre gli effetti negativi della mobilità in relazione alla salute e al consumo di suolo, valorizzare il territorio e i beni culturali, accrescere e sviluppare l’attività turistica» (art. 1 comma 1), rivelando in questo modo un orientamento che supera la dimensione settoriale relativa alla sola mobilità ciclabile. L’articolato normativo prevede l’implementazione di una rete complessa della mobilità ciclabile includendo ambiti e favorendo modalità d’intervento potenzialmente in grado di generare processi virtuosi di riattivazione di risorse territoriali di varia natura (art. 4, comma 2, lettera g) e il raccordo delle diverse trame della rete con i principali recapiti territoriali (art. 4, comma 2, lettere a-i) e della città pubblica, tra cui le scuole (art. 5, comma 2, lettera g). In questa prospettiva, una condizione essenziale è rappresentata dalla considerazione a diverse scale della mobilità ciclabile (urbana e metropolitana, regionale, nazionale ed europea) e dalla conseguente individuazione e raccordo di altrettante reti: la rete transeuropea EuroVelo, la rete nazionale Bicitalia e le reti regionali ed urbane.
Grazie all’istituzione del Piano generale della mobilità ciclistica (art. 3) e dei Piani regionali della mobilità ciclistica (art. 5), nonché attraverso i “Biciplan” (ovvero i Piani urbani della mobilità ciclistica che si configurano come strumenti settoriali dei Piani urbani della mobilità sostenibile, art. 6), la Legge persegue l’implementazione di reti della mobilità ciclabile a diverse scale e la loro prioritaria integrazione.
Nel dispositivo, all’integrazione delle diverse reti e trame di percorsi (art. 7, comma 3) corrisponde anche una particolare attenzione per le forme dell’integrazione e dello scambio modale (art. 8 comma 1), in una prospettiva di effettivo allargamento delle geografie e delle forme possibili per le pratiche integrate di mobilità sostenibile basate sull’uso complementare della bicicletta e dei diversi sistemi di trasporto collettivo.
L’applicazione della nuova Legge avrà ricadute e implicazioni significative anche per quanto concerne la pianificazione urbanistica generale, almeno a tre livelli. In primo luogo, ai sensi del “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” (D.P.R. 380 del 6 giugno 2001), l’approvazione dei progetti previsti per la realizzazione della rete ciclabile nazionale Bicitalia costituirà automaticamente variante rispetto a tutti gli strumenti urbanistici vigenti (art. 4, comma 9). In secondo luogo, e forse persino più rilevante, la Legge prevede l’istituzione di una verifica di coerenza delle previsioni degli strumenti urbanistici rispetto ai Piani urbani della mobilità ciclistica Biciplan (e non viceversa, artt. 6 e 7, comma 4). Infine, in sede di attuazione degli strumenti urbanistici, i comuni dovranno stabilire opportuni parametri per misurare e prescrivere la dotazione di stalli per il parcheggio delle biciclette (art. 8, comma 5).
Se non disattesa, molto ci si dovrà attendere dall’applicazione di questa Legge, non solo in termini di disegno e realizzazione delle reti ciclabili nazionale, regionali e locali, ma anche (e forse soprattutto) per quanto riguarda il riassetto urbanistico dei territori e dei modi di abitarli. Attraverso di essa, ci auguriamo, si potranno cogliere in modo più efficace alcune opportunità che si presenteranno nei prossimi anni nelle città in relazione al riuso di alcune grandi attrezzature urbane abbandonate (scali ferroviari, caserme, apparati del welfare urbano…), al progetto di messa in sicurezza dei territori fragili del nostro Paese, alla ristrutturazione e completamento delle reti infrastrutturali di diverso genere, alle operazioni diffuse e puntuali di rigenerazione urbana che le città affronteranno. Si tratterà di occasioni importanti – ancora una volta, fuori da ogni logica settoriale – per ridisegnare e rendere più efficiente il patrimonio d’infrastrutture per la mobilità dolce. Sarà un’occasione per allargare, raccordare e rendere più funzionale lo spazio in cui potrà avere luogo la vita in pubblico nella città di domani. L’implementazione sostantiva di questa norma costituirà una sfida complessa, che dovrà impegnare molti di noi nei prossimi anni, per conquistare culturalmente un nuovo ordinamento pedonale e ciclabile dei territori urbani e metropolitani.
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infrastrutture
Last modified: 20 Febbraio 2018