Calatrava, Niemeyer e qualche altra nota dal Brasile. (Report, riflessioni e suggerimenti in due puntate a partire da una visita al nuovo Museu do Amanhã a Rio de Janeiro)
RIO DE JANEIRO (aprile 2016). Gli appunti che seguono sono frutto di una riflessione dal vivo sul Museu do Amanhã di Santiago Calatrava inteso come occasione per una comparazione, ovvero per visitare anche qualche altro edificio nel corso delle imminenti Olimpiadi di Rio. Come ben sanno i lettori del Giornale dell’Architettura, il Museum of Tomorrow è un global museum che appartiene alla categoria “museo della scienza”; su di esso si trovano in rete articoli e commenti: se ne conoscono alcune criticità, tra le quali il ritardo nella realizzazione ed il costo lievitato, comune ad altre opere dello stesso autore. Dell’edificio si è detto che è un dinosauro, ovvero che è un museo dedicato al futuro ospitato in un edificio già visto nel passato, che somiglia ad un termoconvettore etc.
Dal vivo, il lavoro sullo scheletro strutturale caratteristico di Calatrava si avverte, dato che all’interno l’edificio “suona pieno”, diversamente dalle molte strutture in acciaio rivestite con cui spesso scenografano le archistar. In realtà, al piano terreno, il pavimento galleggiante in pietra suona ancora a vuoto rispetto alle pareti massicce che costituiscono il profilo a grotta dei due connettivi laterali.
Purtroppo il grado di accuratezza dell’esecuzione non è paragonabile con la qualità che a volte viene raggiunta in Europa per opere simili, anche dello stesso autore. Qui ciò è leggibile ad esempio nello scarso senso tettonico dei punti – che diventano punti di crisi – laddove i fuori piano verticali ed orizzontali s’incontrano (gradino/parete etc.). Per la stessa ragione i profili che dovrebbero essere curvilinei sono invece, in maggior parte, realizzati come serie d’incerte spezzate. La percezione della supposta “monoliticità” purtuttavia fluida dell’edificio ne soffre; Gaudì, che conosceva il tema, ci ha abituato a raffinatissime combinazioni di materiali e texture che, quando ridotte a puro color bianco come in questo caso, purtroppo finiscono col lasciare in evidenza il giunto principale stuccato etc.
L’impianto di captazione solare è sopra gli “aculei” mobili che stanno sui fianchi e sul dorso di questo zoomorfo edificio. Esso è accreditato di fornire il 9% del fabbisogno energetico: una quantità esigua, del resto direttamente proporzionale all’esiguità della superficie degli aculei. Questo capita se il fotovoltaico non è interpretato come un’occasione di progetto architettonico, quanto piuttosto come un rivestimento (lasciando perdere qualsiasi concettualizzazione del principio del rivestimento à la Gottfried Semper) di parti minori.
Per quanto concerne la “composizione” del corpo di fabbrica, di forma planimetrica romboidale, esso consta di una struttura che appoggia a terra nella zona centrale, con due sbalzi (come da schizzo dell’autore) uno verso il mare ed uno verso terra.
Lato mare, il suolo artificiale del molo che emerge dall’acqua sul quale l’edificio è costruito è a sua volta occupato da vasche d’acqua, che appunto finiscono col delimitare dei percorsi esterni perimetrali sulla linea del molo. Volendo (tremendamente) ridurre il tutto ad un concetto bidimensionale, è come se ad un quadro con cornice si aggiungesse un’altra cornice, al di fuori della quale non è comunque muro. Come per conseguenza, il tutto non intrattiene con l’acqua un dialogo poetico del tipo riflesso/ombra/vibrazione di luce etc.; insomma, niente di simile a quanto fanno ad esempio Louis Kahn per il complesso del parlamento di Dacca o Le Corbusier nel campidoglio di Chandigarh, o Giorgio Vasari con la parte del corpo di fabbrica degli Uffizi che si attesta sull’Arno e ne cattura le vibrazioni di luce sotto le volte.
Per quanto riguarda il lato a terra, la centralità del “pieno” della struttura che regge i due sbalzi pur non simmetrici caratterizza il Museu do Amanhã. A questo proposito, attraversando mentalmente la medesima baia di Guanabara vale tentare un paragone “tipologico” con il MAC-Museu de Arte contemporanea di Niteroi, opera tarda del genio di Oscar Niemeyer. La divertente lettura che di quest’ultimo edificio propone Marc-Henry Wajnberg nel suo documentario Oscar Niemeyer, un architecte engagé dans le siècle (2001), lo porta a realizzare un montaggio con Niemeyer che – guardando la baia con espressione satanica – pilota con una cloche questo suo museo come fosse un UFO; in particolare il pilastro centrale (vedi schizzo dell’autore) diventa il razzo che lo fa volare nel cielo.
Questa curiosa analogia per noi architetti si restringe appunto al “pieno” centrale che determina in entrambi i casi degli sbalzi, con spazi sottostanti di pertinenza diretta per Niemeyer, mentre per Calatrava lo spazio pubblico termina in corrispondenza della “bocca” d’ingresso, per diventare spazio privato del museo per tutta la superficie dell’ex molo.
In questo modo entrambi gli edifici restano ancora isolati come oggetti, senza legarsi al contesto attraverso la qualità di uno spazio definibile come “pubblico”, come invece accade per una certa genìa di architetture brasiliane che – da Reidy, a Vilanova-Artigas a Bo Bardi, a Mendes da Rocha – ereditano il Moderno interpretandolo in modo intrigante; su questi varrà forse il caso di spendere qualche parola e forse qualche disegno nella prossima puntata.
Ancora sul concetto di “site-specific”, altro paragone tra i due casi riguarda il rapporto tra interno ed esterno. Mentre Niemeyer dichiaratamente costruisce un punto di vista a 360° sul paesaggio a fronte di un forte grado di artificialità e di “impatto”, l’edificio di Calatrava, a fronte di non minore “impatto”, è introvertito; nonostante la posizione straordinaria in mezzo alle acque della baia, le occasioni per l’occhio di uscir fuori dall’edificio sono assai limitate. Ad esempio il tetto non è fruibile, e giusto lì vicino il MAR-Museu de Arte do Rio – la cui addizione recente è fatta sostanzialmente di un tetto ondulato sottile e sospeso che lega, insieme ad una rampa a tergo, l’ala nuova all’edificio storico – fa appunto della copertura occasione per offrire un cafeteria panoramica vista mare. Mentre il ristorante del Museu do Amanhã – che ha il consueto rivestimento con legni verticali di diversa pezzatura, attuale global standard dai bar d’aeroporto a quelli rifatti in provincia – è all’ingresso accanto al guardaroba, piccolo e in una specie di nicchia senza finestre, che poco invoglia.
Per quanto riguarda l’allestimento museale, non dovuto a Calatrava, questo rientra nello standard global museum, per cui consiste principalmente in installazioni di grande formato organizzate in volumi con geometrie ad angoli acuti/ottusi; vi trova spazio altresì una mini-geode con un filmato di sicura banalità in loop, ed un certo numero di display interattivi, di solito tutti perfettamente funzionanti.
Il Museu do Amanhã è anche dotato di spazi di laboratorio diversamente attrezzati, in uno dei quali ho avuto modo di assistere di passaggio ad un workshop tipo “La città del futuro” tenuto da un immancabile “gringo” [straniero], europeo nella fattispecie, che spiegava in inglese ad alcuni studenti brasiliani e giapponesi le sue teorie sul recupero di una favela. (segue)
About Author
Tag
brasile , musei
Last modified: 3 Maggio 2016
[…] Un tema che Mendes da Rocha ripercorre a diverse scale – quindi con distinte implicazioni strutturali ed espressive – dalla piccola Capela de São Pedro Apóstolo (1987-89), vera e propria “rocha” [roccia, in effetti] sospesa ed aperta sul paesaggio, alla grande lastra che nel paesaggio affiora con l’edificio del Museo-scuola del parco scientifico Santo André a San Paolo (2003-07, con lo studio MMBB). Caratterizzato da un interno la cui struttura di copertura in acciaio è dichiarata senza esitazioni, esso, anche grazie al programma museale ibrido ed innovativo forse memore della sperimentazione di Pietro Maria Bardi e di Lina Bo, appare assai più vicino alla contemporaneità rispetto all’appena inaugurato Museo della Scienza di Santiago Calatrava a Rio de Janeiro. […]