A 40 anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini nulla rimane dei siti lombardi scelti per le sue riprese cinematografiche. Tuttavia, egli colse già i sintomi dell’incipiente devastazione territoriale
Il fosso. Perfino il fosso hanno rintracciato, dove Lucia (la bellissima e surreale Silvana Mangano) si appartava con uno dei ragazzi adescati nel centro di Milano. Il fosso che sta accanto alla chiesa della Colombina, oratorio della cascina omonima sulla statale 235 di Orzinuovi, nel tratto in provincia di Pavia. Abbastanza sorprendentemente è adesso nelle medesime condizioni di allora, ultimi anni sessanta, quando Pier Paolo Pasolini vi girava Teorema. Una sopravvivenza, quel fosso e quella chiesa: lo spiegano Roberto Figazzolo e Vittorio Prina, regista il primo, architetto il secondo, entrambi sulle tracce dei luoghi lombardi frequentati dall’intellettuale di Casarsa. Che già è un’etichetta fuorviante. Come lo è quella di intellettuale romano – variamente affibbiata a Pasolini in queste settimane di maratone celebrative. Nel gioco dei campanili sarebbe allora plausibile inserire anche Bologna (dove nacque), Belluno, Parma e altre città del Nord (dove trascorse l’infanzia), Livorno (dove fu arruolato) e via scorrendo la biografia.
Certo, da un punto di vista artistico (la lingua, l’ispirazione, la materia trattata) il Friuli e la capitale sembrano farla da padrone. Ma c’è anche stata un’insistita indolenza della critica a ignorare la presenza di Pasolini tra Milano e il Po – dove il regista non solo girò per intero Teorema, appunto, e varie scene di Edipo re ma pure venne per ripetuti soggiorni. «A Magherno, paese tra Pavia e Lodi, lui e Nico Naldini avevano affittato una piccolissima casa sulla piazza, per trascorrere i fine settimana e incontrare ragazzi. Durante le riprese alloggiava insieme alla troupe, inclusi Franco e Sergio Citti, all’Hotel San Rocco di Sant’Angelo Lodigiano», dice Figazzolo, autore di una pionieristica indagine poi sfociata nel recente film I luoghi, oggi e ieri raccontano Pasolini pubblicato da Medusa. Affinché i luoghi, tuttavia, raccontassero effettivamente ancora qualcosa di Pasolini è stata necessaria una lunga e tenace maieutica: da un lato, la memoria del regista non è stata coltivata – nemmeno una targa che lo ricordasse nei paesi attraversati; dall’altro, il territorio ha subito tali trasformazioni da rendersi irriconoscibile. «Molti luoghi o architetture non esistono più o sono stati trasformati», afferma Prina, che ha affiancato Figazzolo nell’indagine e, per l’editore Maggioli, ha poi scritto Pier Paolo Pasolini. Teorema, i luoghi: paesaggio e architettura. «Nelle aree periferiche delle città l’espansione è stata smisurata e la stratificazione senza controlli. Parte dei borghi è stata eliminata, soprattutto dove già c’erano cantieri e demolizioni all’epoca del film». Un film religioso, a detta di molti, perché afferma l’incompatibilità del sacro con l’agiatezza della famiglia borghese. «Continuavo a vagare, a cercare senza guida», prosegue Prina, «solo quando sono entrato nella loro logica religiosa ho cominciato a riconoscere i luoghi dove Pasolini aveva girato. Non li scelse a caso ma volle disegnare sul territorio una croce o, per dirla urbanisticamente, un cardo e un decumano che s’intersecano. I luoghi sono parte essenziale di Teorema, sono essi stessi personaggi».
Pasolini, in consonanza con l’argomento del film e di riflessioni che trovarono vario altro sbocco (il documentario Rai La forma della città dedicato a Orte, l’articolo delle lucciole sul «Corriere della sera», o l’appello all’Unesco per le mura di Sana’a), cercò nella bassa lombarda luoghi di morte metaforica, e pure realissima: campagne che andavano scomparendo sottomesse alla società dei consumi, cantieri ai margini di Milano, mercati rionali sopraffatti da urgenze edilizie. Egli avrebbe senz’altro da dire guardando com’è conciato oggi il paesaggio, i luoghi che sono stati anche suoi, la disseminazione informe di capannoni, autoconcessionarie e cinema multisala. «La cascina Moncucca, a nord di Sant’Angelo, dove girò per Edipo re, è un po’ lasciata andare, ora s’affaccia su una rotatoria e ha davanti un immenso polo logistico», osserva Figazzolo. «L’enorme cascina Torre Bianca, che compare in Teorema nelle scene della levitazione a mezz’aria di Emilia (Laura Betti), articolata in più corpi di fabbrica, l’abbiamo cercata in una giornata d’inizio estate in mezzo alle risaie di Cura Carmignano. Ma non la trovi più. È stata rasa al suolo. Oggi ci sono tre villette a schiera e alcuni silos».
Per Pasolini il paesaggio era la storia dell’uomo sedimentata su un territorio – dunque anche universo linguistico, serbatoio identitario, comune patrimonio d’arte. Quando scrisse della «scandalosa forza rivoluzionaria del passato», attirando a sé le critiche tanto delle avanguardie quanto dei progressisti, auspicava un argine alla mutazione antropologica indotta dai consumi di massa – «la prima, vera unificazione che l’Italia abbia avuto», come neanche il fascismo era riuscito. Pasolini individuò il nesso, anzi l’omologia, tra abbruttimento urbano, sfacelo ecologico e rinnovata selvatichezza morale della nazione. Ecco perché, spiegava, la perdita di un tratturo, di un casale, di una borgata, della forma di una città così come dei colori della lingua, equivalgono alla perdita di una scultura o di un monumento. Il capitalismo dei consumi avrebbe divorato tutto mentre un paese – dalle borgate zeppe di fango alle campagne in cui si credeva ai miracoli – era in procinto di dimenticare se stesso e la propria storia.
didascalia di copertina
Il portale d’ingresso a cascina Torre Bianca verso la via Trovamala, Comune di Cura Carpignano, nel 1970 prima della demolizione, dunque come la vide Pasolini. Immagine dall’Archivio dei Musei Civici del Castello Visconteo di Pavia
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Last modified: 10 Novembre 2015
[…] Qui un articolo sul film da “Il giornale dell’Architettura” […]