Vivendo a Pechino appare chiaro che non si ha a che fare con una città univoca. La percezione che immediatamente se ne ha riguarda innanzitutto le diverse contraddizioni che caratterizzano lo spazio urbano e la realtà vissuta. Da un lato infatti, la capitale cinese si permea di un dinamismo e di una vivacità che ne fanno uno dei luoghi più attraenti del pianeta; dall’altro, ogni movimento si colloca all’interno di un sistema fortemente controllato che non sembra mutare nel tempo. E se da un lato la proiezione verso il futuro si traduce nel linguaggio variegato degli edifici iconici sorti negli ultimi dieci anni, dall’altro risulta evidente il permanere di pezzi di città che resistono al cambiamento e si autogestiscono in maniera tendenzialmente informale. Così come alla trasformazione secondo il modello dei megaprogetti promossi dalle compagnie di real estate (basti pensare ai complessi del promotore immobiliare Soho), si contrappongono i microinterventi volti alla rigenerazione puntuale di alcune situazioni uniche nel cuore della città (come i piccoli progetti all’interno degli hutong).
Tuttavia, gli esiti di queste contrapposizioni non sono contrasti inconciliabili ma rispecchiano il carattere di Pechino, assolutamente molteplice. Si tratta infatti di una realtà densa, incredibilmente stratificata. La non definizione appare inoltre un carattere distintivo non solo per quanto riguarda la fisicità ma anche il modus operandi cinese sulla città. I processi di trasformazione si muovono prima ancora che le premesse vengano del tutto chiarite. Innanzitutto si agisce, poi si vedrà. Nelle negoziazioni iniziali tra progettisti e clienti, si discute infatti la natura di interventi anche consistenti, senza occuparsi immediatamente degli aspetti di dettaglio o dei possibili limiti. Approccio sostanzialmente pragmatico e lontano dalla realtà europea, sicuramente più precisa ma molto più statica.
Il modo di procedere appare assolutamente vario: dalla ricerca di un linguaggio contemporaneo, alla conservazione di un’identità tradizionale, dalla pratica della tabula rasa, al progressivo affermarsi del concetto di adaptive reuse e del recupero. Basti pensare al diverso trattamento riservato agli hutong, nel centro di Pechino. Se da un lato troviamo infatti la discutibile ricostruzione in stile tradizionale dell’area di Qianmen a fini commerciali, poco lontano invece, nel distretto di Dashilar, sorgono piccoli progetti contemporanei, volti a preservare l’identità di questa tipologia abitativa. La natura della città appare infatti come una combinazione di situazioni ibride che si contaminano l’un l’altra e che vengono assimilate con grande velocità nello scenario di vita cinese.
Per esplorare la città e poterne fare un piccolo ritratto, si è scelto di indagare Pechino sotto diversi aspetti: quello dellabitare (dalle tipologie tradizionali ai complessi contemporanei, passando per le unità di lavoro di stampo comunista), quello del commercio (dai mercati più vivaci agli shopping mall più stravaganti) e quello dell’arte e della produzione culturale (dai distretti artistici più conosciuti alle gallerie meno convenzionali). Tutto questo con lobiettivo di collezionare, secondo una logica incrementale, uno scenario delle realtà e situazioni che caratterizzano Pechino e le sue diverse identità.
Focus di approfondimento:
1 – Il real estate cinese tra mercato e realtà urbana: i complessi Soho (di Francesca Albera)
2 – Beijing N.2 Textile: una città in miniatura (di Maria Paola Repellino)
3 – Beijing Design Week: la trasformazione del Dashilar Hutong (di Arturo Pavani)
4 – Caochangdi: un villaggio rurale diventato distretto artistico (di Francesca Albera)
5 – Parkview Green e The Place: quando il centro commerciale diventa spettacolo (di Francesca Albera)
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pechino , ritratti di città
Last modified: 20 Aprile 2018