Pochi mesi fa abbiamo discusso, qui a Torino, una bella tesi di dottorato in sociologia che avevo seguito come relatore. Non era un lavoro sul quartiere di San Salvario, ma su quello di Porta Palazzo, con le sue due metà, separate da corso Regina Margherita: il Quadrilatero da un lato, Borgo Dora dallaltro. Del primo, una volta quartiere difficile, si parla da tempo come di un caso particolare di gentrification tutto sommato di successo, una meta cercata da molti giovani, in genere soddisfatti della loro scelta, nonostante rimangano problemi; laltra metà, Borgo Dora, è ancora in cerca della sua strada, anche se diverse cose si muovono, mentre si affacciano primi esploratori delle opportunità di vita in un ambiente plurietnico. Ne parlo perché nelle numerose interviste ai vecchi e ai nuovi residenti è emersa unevidenza interessante: il quartiere oggi percepito come la meta più ambita per i giovani è San Salvario.
Ci ricordiamo dellimmagine di San Salvario, come era stata costruita e additata allopinione pubblica nazionale, solo pochi anni fa? Molti in Italia avevano sentito per la prima volta quel nome e lo avevano rubricato, nel loro immaginario, come emblema di quartiere difficile, dove si cumulavano tutti gli aspetti negativi dellimmigrazione. San Salvario era diventato la città che si doveva temere, la città compromessa, da evitare altrove.
Le cose sono andate diversamente, e non possiamo che rallegrarcene. Per quanto mi riguarda, come sociologo che vive al confine sud di San Salvario, voglio dire che ho sempre pensato che, a seconda di come avesse girato il vento, San Salvario sarebbe potuto diventare davvero un posto difficile, oppure uno dei posti migliori dove vivere a Torino. Non è ancora proprio così, ma ci siamo avvicinati. Possiamo trarne qualche lezione sui modi della comunicazione pubblica o sugli effetti negativi e la povertà della protesta politica ideologica, ma il vero punto è che le cose sono andate nel modo giusto; che metterle in quella direzione era possibile e, soprattutto, che il rafforzamento del quartiere (con la sua mixité sociale oltre che etnica) non è arrivato da solo, ma per lazione consapevole di uomini e donne che hanno creduto e si sono impegnati nella costruzione. Bisogna considerare lazione delle istituzioni pubbliche, di molte associazioni, di ottime scuole capaci dintegrare, delle Chiese, e così via. Forse cerano condizioni che hanno facilitato il cammino, e che altrove mancano; comunque sia, alla fine è maturato a San Salvario il germe della migliore cultura urbana: lesperienza della diversità che continuamente permette di trovare una cosa nuova mentre se ne cerca unaltra. Bisogna innaffiare e far crescere bene la pianta; cè ancora e sempre molto da lavorare per questo; ma il pocesso è innescato. A piccola scala, è quel processo che l’antropologo Ulf Hannerz chiama urban swirl.
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