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Written by: Città e Territorio

Dopo lo scoppio della bolla immobiliare, la casa non sarà più un valore

La casa e l’investimento immobiliare sono oggi al centro di un’importante riflessione per due ordini di motivi: da un lato perché alla base della crisi economica troviamo lo scoppio della maggiore bolla immobiliare residenziale della storia, dalla quale riprendersi è più difficile di quanto non sembri; dall’altro perché la domanda abitativa è cresciuta, potremmo dire è tornata, e l’emergenza casa sembra ricordare gli anni settanta. Così, tra dinamiche demografiche, crisi economica e disoccupazione, la «questione abitativa» di chi la casa non c’e l’ha torna a essere un tema della politica tra deregulation e welfare. Se ci pensiamo bene, la questione di fondo è: cosa sta succedendo e cosa succederà nei prossimi anni in termini di mercato e di politica abitativa? Le indicazioni più recenti che vengono dalla politica (Piani casa 1 e 2, Scia, Finanziaria, ecc.) sono che la risposta alla crisi è fatta di deregulation (modello scuola di Chicago anni ottanta) e di partenariato pubblico e privato. Aspetti sui quali vogliamo soffermarci, ma prima va affrontato un tema di fondo, che riguarda una componente rilevante del modello di sviluppo del nostro paese, e di quello delle economie avanzate: il valore economico della casa nello scenario di sviluppo. La casa è un bene d’uso necessario: un bisogno, da un lato, e un bene d’investimento dall’altro. La componente di bene d’investimento ha caratterizzato in forma predominante il presente ciclo immobiliare (anche se la componente della domanda primaria è tornata a essere rilevante e non va trascurata) e comunque è stata la componente principale di un processo decisionale che, con la continua rivalutazione del bene, garantiva tutti gli operatori della filiera in gioco, tutti i costi, tutti i finanziamenti e tutti i prezzi. Come altre volte si è detto, tutti quelli che hanno potuto hanno fatto gli immobiliaristi. Naturalmente il processo di rivalutazione continuo garantiva tutti quelli che potevano giocare la partita sul solo campo della capacità d’investimento. Secondo le analisi del Cresme, con il 2011 dovrebbe avviarsi il settimo ciclo edilizio del nostro paese a partire dal secondo dopoguerra. La storia dei precedenti sei cicli è lì a dimostrare che la casa alla fine è sempre stata un investimento importante. Su e giù, la curva del valore del mattone, in Italia, ha pagato. E certamente ha pagato nell’ultimo ciclo immobiliare: un’analisi comparata sulla redditività di alcune forme d’investimento tra 1995 e 2010 consente infatti di sostenere che la redditività dell’investimento immobiliare è stata ben superiore alle altre forme d’investimento, addirittura anche rispetto all’incremento di valore dell’oro (vedi tabella 1). La questione di fondo è che questo carattere non è più certo. La casa potrebbe non essere più un investimento facile che si rivaluta per ogni tipologia e in ogni luogo nel tempo. La casa non sarà più un investimento sicuro. Probabilmente potrebbe non esserlo nel prossimo ciclo edilizio del nostro paese. Certo non lo è già più per alcune economie avanzate reduci da eccezionali scoppi di bolle speculative immobiliari, come il Giappone o la Germania che, come mostrano le analisi comparate, non hanno vissuto il boom dei prezzi degli anni duemila (in Giappone, addirittura, i prezzi dei lotti in area urbana sono scesi dal 1991 al 2006 del 68% in termini reali). E non sembra che sarà un investimento sicuro negli Stati Uniti. Infatti, i dati fortemente negativi di luglio 2010 relativi alle compravendite e ai prezzi delle case negli Usa (-25,5% le compravendite, tornate ai livelli del 1995, dopo un anno di agevolazioni che avevano fatto sperare in una lenta uscita dalla crisi), e le previsioni per i prossimi mesi, che non sono certo positive, hanno innescato una riflessione proprio sul ruolo dell’investimento immobiliare residenziale nell’economia e sul valore della casa nei prossimi anni. Il «New York Times» ha sviluppato verso fine agosto, a pochi giorni di distanza, due riflessioni che hanno per oggetto proprio la casa: la prima, ripresa due giorni dopo in Italia sul supplemento «Affari e finanza» della «Repubblica» da Federico Rampini, sul tema dell’investimento abitativo come moltiplicatore di ricchezza; la seconda invitando alcuni economisti a discutere se la ripresa economica sia legata o meno alla ripresa del mercato immobiliare residenziale; in sostanza, se la casa guida ancora l’economia. Le risposte emerse sono di rilievo: da un lato, per recuperare la caduta dei prezzi del periodo 2005-2010, serviranno, secondo alcuni esperti, almeno 20 anni e «la proprietà di un’abitazione non avrà più un’utilità paragonabile a quella che ebbe negli ultimi 50 anni, quando essa fu non soltanto un alloggio ma anche una riserva di ricchezza familiare». «Il benessere generato dalla casa in queste decadi», ha scritto il quotidiano americano, «particolarmente sulle coste, ha assicurato ai proprietari una pensione confortevole. Ha alimentato l’economia, pagando per l’educazione dei figli e dei nipoti, pagando le navi da crociera e i corsi di golf e i ristoranti». In sostanza, la rivalutazione degli immobili ha sostenuto l’economia oltre che alimentato la speculazione finanziaria. Ora per molti economisti non sarà più così, anche se ancora oggi, nel pieno della crisi, la domanda ancora lo pensa. Robert J. Shiller (uno degli economisti più attenti alle dinamiche della bolla immobiliare) e George A. Akerlof, premio Nobel per l’economia nel 2001, in Animal Spirits: How Human Psychology Drives the Economy, and Why It Matters for Global Capitalism (Princeton University Press, 2009), sottolineano l’importanza della narrazione e dell’illusione monetaria (insieme alla fiducia, all’equità e alla corruzione) che hanno alimentato in modo eccezionale l’ultimo boom immobiliare, e ricordano che la crescita del prezzo delle case, come la storia dimostra, non è una certezza. Certo: «l ’ idea che i prezzi saliranno costantem e n t e», scrivono i due, «e che gli immobili siano l’investimento migliore, è in qualche modo seducente» . Ancora oggi la maggioranza delle persone pensa che sia «una legge di natura». Durante la fase espansiva, «sembrava che si fosse diffusa una percezione intuitiva secondo cui i prezzi degli immobili, in qualsiasi luogo, non potessero che salire». Così il mercato degli investitori immobiliari nella lunga fase di boom era fatto solo «di vincitori e grandi vincitori», come sostiene G. Kelman, della società di brokeraggio online Redfin. La dimensione e la durata, oltre che la storia, di questa crisi immobiliare, sono lì a dimostrare che si è trattato di un’illusione. Per Kelman lo scenario è chiaro:
nei prossimi anni «le persone compreranno le case quando ne avranno bisogno, perché si spostano, o perché vogliono una determinata casa, not when they want to make money». Così sul mercato immobiliare «ci saranno vincitori e vinti, non solo vincitori». Ma che cosa succede in un’economia dove la casa torna a essere un bene d’uso e perde una parte significativa della componente diffusa di speculazione? E soprattutto, che cosa succede e succederà in Italia? Questi sono i temi del secondo articolo su questo argomento che su «Il Giornale dell’Architettura» pubblicheremo nel prossimo numero.

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Last modified: 14 Luglio 2015