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Caterina CardamoneWritten by: Città e Territorio

A Bruxelles, l’ex birreria mette alla prova il maître architecte

Bruxelles. Cheval noir è un complesso di 31 alloggi-atelier per artisti progettato dallo studio l’Escaut in collaborazione con lo studio Gigogne, il cui cantiere (esito di un concorso bandito nel 2003 dal Fonds du logement) è di prossima conclusione. L’operazione consiste nella trasformazione delle brasseries Hallemans in un edificio residenziale, intervento che tuttavia ha aperto diversi tipi di problematiche strettamente architettoniche, innanzitutto: come portare l’illuminazione naturale fino all’interno di un edificio industriale (qui risolto come un palinsesto su cui operare tagli e innestare una scrittura autonoma). Poi, questioni di ordine concettuale: il confronto con una cifra di alloggi astratta, stabilita nel programma sulla base esclusiva di una politica immobiliare, senza prendere in considerazione la necessità di spazi comuni (e i progettisti propongono polemicamente una torre indipendente dalla birreria, per giungere alla quota indicata); e infine l’illogicità della questione di base: l’ipotesi che sia possibile definire criteri per quantificare l’«artisticità» e stilare quindi una graduatoria per l’attribuzione degli alloggi.
Cheval noir scatena la discussione anche per la sua situazione urbana, ai margini del quartiere di Molenbeek-Saint-Jean, a elevatissima percentuale d’immigrazione nordafricana, nei pressi del canale, immediatamente a ridosso del pentagono centrale e di una zona particolarmente apprezzata dal mercato immobiliare, lungo la rue Dansaert. Per l’Escaut, senza complicità con il committente, questo non è che un primo tentativo di appropriazione, o più cinicamente colonizzazione, bourgeois bohème di un quartiere difficile.
Ma c’è ancora una ragione per cui si discute di Cheval noir: Olivier Bastin, architetto e scenografo che con Micheline Hardy (attrice e regista) fonda l’Escaut nel 1989, è da gennaio il primo bouwmeester di Bruxelles, maître architecte consulente per la qualità dell’architettura e degli spazi pubblici in ogni iniziativa gestita dalla regione di Bruxelles capitale: solo un’esigua percentuale dell’attività edilizia complessiva, sottolineano con scetticismo i media. Ugualmente debole, ribatte Bastin, la posizione del bouwmeester fiammingo al momento della sua istituzione (nel 2000), che è però andato guadagnando negli anni in autorevolezza. Non si tratta, come sottolinea il maître architecte, di definire criteri stilistici («Bruxelles è una città eterogenea […] in cui la contestualizzazione architettonica non significa necessariamente qualità»), quanto piuttosto di garantire una visione globale nel coordinamento degli interventi, senza sovrapporre un’ulteriore e pletorica autorità. Lo strumento indispensabile sono perciò i parametri che garantiscono la qualità delle procedure di concorso: supportare i committenti nella redazione di programmi ragionati nelle richieste (la «carta bianca» a Jean Nouvel nel progetto per la Gare du Midi non può che avere risultati incontrollabili a livello urbano), fissare una scala per la procedura adatta alla scala dei progetti, stabilire a chi spetta la responsabilità della scelta finale. Una note d’orientation è attesa per fine maggio.
Una delle ragioni della nomina di Bastin è probabilmente l’attenzione dello studio per le ricadute sociali di qualsiasi scelta architettonica; la pratica della partecipazione è radicata nella tradizione di l’Escaut e non ha una matrice concettuale (nonostante il riferimento agli ibridi di Bruno Latour), ma dipende dalla peculiare situazione dello studio, in rue de l’Escaut a Molenbeek, all’interno di un edificio doganale dismesso. Un’esperienza di confronto quotidiano, quindi, con una realtà sociale complessa che viene risolta con open pasta dagen intesi come pratica culturale, giornate in cui le donne del quartiere cucinano a fianco degli artisti invitati dallo studio. Da qui la nota istituzionale della partecipazione: l’intenzione espressa da Bastin come bouwmeester di valorizzare la pratica dei contrats de quartier nella progettazione urbana.
 

Autore

  • Caterina Cardamone

    Nata a Catanzaro nel 1970, si laurea in Architettura all'Università di Firenze nel 1996, dove nel 2002 consegue il Dottorato di ricerca in Storia dell’architettura, con una tesi sulla ricezione dell’architettura antica e rinascimentale negli scritti di Josef Frank, protagonista del moderno viennese, e continua a occuparsi del tema (ha curato il volume "Josef Frank, L'architettura religiosa di Leon Battista Alberti", Electa 2018). Un ulteriore e più recente ambito di interesse è dato dai passaggi tecnico costruttivi nella trattatistica italiana del Rinascimento. È corrispondente del «Giornale dell’Architettura» dal 2007 ed è stata docente a contratto all’Université Catholique di Louvain-la-Neuve (Belgio) dal 2011 al 2016

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Last modified: 14 Luglio 2015