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Gli architetti e il fattore B

Se chiediamo a un architetto italiano cosa lo affligge maggiormente nello svolgimento del suo lavoro, risponderà quasi sempre: la burocrazia, la confusione di competenze, il mercato. Ma come? Non sono vent’anni che si susseguono i provvedimenti legislativi rivolti proprio a ovviare a questi difetti del nostro ordinamento – che toccano le professioni in particolare – guardando al modello europeo?
Nel 1990, per esempio, si aprì con la legge 142 la lunga stagione delle riforme della pubblica amministrazione per snellire le procedure e separare la politica dall’organizzazione. Più tardi, la legge 127/1997 poneva addirittura come criteri ispiratori deregolamentazione e responsabilità, distinguendo tra funzioni di indirizzo e verifica e funzioni di gestione: la prima alla componente elettiva, la seconda alla struttura burocratica. Modifiche non piccole, anzi assai importanti, in quanto tenevano conto dell’evoluzione dei tempi e della necessità di ridurre le inutili pastoie burocratiche.
Obiettivi dichiarati, intervenire sui tempi delle risposte amministrative, che dovevano diventare sempre meno discrezionali e sempre più codificate, in modo da garantire i diritti, separandoli dai favori. Poi, dare una precisa definizione dei tempi, per accelerarli e consentire il risparmio di costi, pubblici e privati. Infine, incidere sulle procedure, largamente semplificate, in modo da renderle più comprensibili, snelle ed efficaci, avvicinando concretamente il cittadino alle istituzioni.
Il Testo unico sugli enti locali, nel 2000, ha dato definitiva attuazione a questi principi, di modo che l’apparato burocratico locale è diventato titolare di funzioni e responsabilità gestionali di particolare rilevanza esterna. Ai dirigenti spettano ora tutti i provvedimenti riguardanti procedure d’appalto e di concorso, stipulazione di contratti, gestione finanziaria con assunzione di impegni di spesa, valutazione e rilascio di titoli abilitativi in edilizia, vigilanza e repressione in materia edilizia e paesistico-ambientale e tutti gli atti costituenti manifestazione di giudizio e conoscenza.
Il risultato? Maggior lentezza e maggior discrezionalità di prima, al punto che il tempo di un architetto è ormai quasi del tutto occupato dalle pratiche amministrative e dallo sforzo di indurre l’apparato amministrativo – timoroso di ogni possibile critica al suo operato e restio ad assumere responsabilità di cui rendere conto agli organi di controllo – a rispettare i tempi che esso stesso si è dato.
Quasi nello stesso periodo, venne rivoluzionato l’assetto di tutta l’università italiana indistintamente, a seguito della Dichiarazione di Bologna del 1999, che si prefiggeva di creare uno «spazio europeo dell’istruzione superiore», impegnando gli stati ad armonizzare i rispettivi ordinamenti universitari, per consentire la comparabilità dei titoli e agevolare la circolazione di studenti e laureati. L’Italia ne fu fra i promotori, con il decreto 509 emanato subito dopo. Il percorso formativo venne diviso in due distinti cicli, quello triennale e quello biennale, ognuno dei quali terminava con il conseguimento di un titolo, senza tenere conto delle peculiarità e delle eccedenze che distinguevano già allora l’architettura dai tanti altri corsi universitari professionalizzanti.
Mancò però – e manca ancora – il corollario di provvedimenti che avrebbero reso meno rovinoso il nuovo modello formativo, che ha messo sul mercato nuove incerte figure professionali, concorrenti dell’architetto (senza eliminare o quanto meno ridefinire le competenze di quelle superate, come i geometri e i periti), inutili, costose per lo Stato e le famiglie e senza sbocco sul mercato (causa la mancanza di regolamentazione degli accessi, in Italia ancora liberi, di un sistema ad hoc di valutazione, di procedure per l’individuazione e la programmazione degli sbocchi professionali delle lauree …). Per dirla con un autorevole studioso quale Luciano Canfora «… nei paesi non demagogici il ciclo “triennale” non dà come esito il ruolo (e la responsabilità) di dottore in qualcosa. È lì l’equivoco tutto italiano del nostro italico “3+2”: le nozze coi fichi secchi …».
Infine, negli anni duemila, le «lenzuolate» (introdotte con la legge 248/2006) come sinonimo di liberalizzazione per stimolare la concorrenza, favorire il consumatore e modernizzare l’economia nostrana abolendo privilegi, reali e supposti. Tra questi ultimi, l’abolizione del tariffario degli Ordini, a eccezione dei medici, e la possibilità di pubblicizzare l’attività professionale. Il tutto accomunato – e questo ben segnala in quale conto si sia tenuto il lavoro intellettuale – a vendita dei farmaci da banco nei supermercati, licenze dei tassisti, grande distribuzione organizzata, transazioni bancarie, esclusiva delle polizze assicurative e altro …
Da allora, abolita la tariffa minima per i professionisti, si è aperta per il committente la strada a ogni possibile negoziazione, pubblica e privata, della parcella.
Bene, a dispetto di chi ancor oggi ha il coraggio di sostenere che in tal modo si è dato la possibilità ai giovani architetti di porsi sul mercato e alle amministrazioni di risparmiare, i disastri sono sotto gli occhi di tutti. Progetti e opere mal fatti (e spesso da rifare), emarginazione dei neoprofessionisti, incomparabilmente più deboli in una concorrenza che mette tutti in un gioco al ribasso e, non per ultimo, l’avvilente scadimento del ruolo e del lavoro dell’architetto.
Ma che cosa c’entra tutto questo con il fattore B? Per un caso, tutti i ministri responsabili delle leggi richiamate presentano questa iniziale: Bassanini, Berlinguer, Bianco, Bersani. Tutti colti, intelligenti, sinceramente riformisti, ma forse colpevoli di non aver ben previsto le conseguenze degli strappi che hanno prodotto in un mondo professionale certamente da riformare, ma non da sradicare. E di aver sopravvalutato invece i benefici per una collettività che non pare proprio averne goduto.
Del resto, anche la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Però, se ogni tanto qualcuno di loro desse un segno di ravvedimento … anche perché, mutatis mutandis, il fattore B, tra possibili nuove competenze ai geometri, manutenzione straordinaria senza intervento del tecnico e lusinga di un nuovo condono «dappertutto», ha ricominciato a colpire …

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Last modified: 17 Luglio 2015