Luniversità italiana è sottoposta da anni a un quadro di assoluta precarietà, dovuto alla contrazione continua delle risorse e allincertezza prodotta dal susseguirsi di proposte di norme. Sia pure a partire da analisi e obiettivi che possono essere condivisi, con due provvedimenti si avrebbe la pretesa di riformare il sistema universitario: da un lato, la Nota 160 del 4 settembre 2009 (cfr. «Il Giornale dellArchitettura», n. 79, dicembre 2009) dovrebbe razionalizzare e qualificare lofferta formativa; dallaltro, il ddl 1905, in discussione al Senato, avrebbe il compito dincentivare la qualità e lefficienza del sistema, intervenendo nellassetto e nellorganizzazione delle università.
Nessun sistema può evolvere semplicemente ottimizzando luso di risorse se queste, di per sé storicamente inadeguate, si contraggono ulteriormente. Un piano di rilancio delluniversità deve contare semmai su maggiori risorse umane e finanziarie e poggiare su un sistema di valutazione in grado di garantire lefficienza ed efficacia del sistema stesso. Da questo punto di vista, la Nota 160, nellintento di ridurre il numero dei corsi di studi attivati, stabilisce, di fatto, che le ore erogate dalle università siano pari al numero di docenti strutturati moltiplicati per 100 ore, cui si aggiunge un 20% di ore copribili con professori a contratto. Questo vincolo avrà ricadute pesanti non solo sul numero dei corsi di studi, ma anche su quello degli studenti, che nel nostro Paese è purtroppo già inferiore a quello di stati considerati meno avanzati. È fuori di dubbio che la qualità (efficacia) del sistema è determinata anche dal livello distruzione universitaria, oltre che dalla qualità della formazione. Il rapporto distorto tra docenti e didattica erogata, considerato lattuale basso numero degli studenti universitari, conferma linadeguatezza delle risorse destinate storicamente alluniversità, l1,1% del Pil contro la media dell1,8%. La contrazione ulteriore degli studenti non è oltretutto socialmente e politicamente sostenibile, con lentità e vastità dellattuale crisi economica e della sua dimensione internazionale. Il ddl 1905 vorrebbe rilanciare a sua volta il sistema universitario prefigurando nuovi compiti per i dipartimenti, cui sarebbero demandate sia le funzioni didattiche e di ricerca, sia la possibilità di creare nuove strutture di raccordo denominate scuole/facoltà. Prefigura un diverso assetto del sistema universitario e un nuovo modello di governance per favorire, da una parte, una maggiore integrazione tra didattica e ricerca e per ridurre, dallaltra, i centri decisionali, considerati oggi eccessivi stando al numero di dipartimenti e facoltà. La logica, senza entrare nel merito, è dindurre laggregazione delle strutture didattiche e di ricerca, oggi frammentate, secondo soglie tutte numeriche. Il numero delle scuole/facoltà che possono essere realizzate per ogni ateneo non può essere infatti superiore a sei, nel caso di università con meno di 1.500 docenti (compresi i ricercatori), a nove quando il numero è inferiore a 3.000 e a dodici nel caso di un numero di docenti superiore a 3.000 unità.
Il ddl demanda di fatto il raggiungimento degli obiettivi condivisi dintegrazione tra didattica e ricerca alla creazione di macrostrutture che potrebbero essere realizzate, più che sulla condivisone dindirizzi strategici connessi alla ricerca e alla formazione, secondo logiche di accorpamento e/o rapporti di forza interni agli atenei. La stessa interconferenza dei presidi delle facoltà ha rimarcato il rischio concreto di annullare, secondo la logica della dimensione, tutti i cambiamenti innovativi introdotti negli ultimi anni, restaurando un vecchio modello di università, ben più autoreferenziale e conservatore di quello oggi disponibile. Mette dunque a rischio le attività di formazione avviate nel settore del Design, nonostante la sua rilevanza in termini di «mercato», insieme alle esperienze maturate da facoltà di architettura che a livello di ateneo scontano rapporti di forza (quantitativi) a esse non favorevoli.
Se distorsioni ci sono nel sistema universitario italiano – nessuno le nega -, non si può tuttavia colpire indiscriminatamente, con la Nota 160, il sistema stesso, senza individuare le responsabilità ai diversi livelli e attuare quindi interventi mirati e circoscritti. Il rilancio delluniversità italiana non può essere affidato alla dimensione delle strutture, ma richiede interventi specifici che vanno ben al di là, in termini di dotazioni adeguate di risorse umane, finanziarie e di strutture, che devono essere sottoposti a un severo sistema di valutazione, che costituisce la vera garanzia per la qualità della formazione e della ricerca.
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