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Margherita ToffolonScritto da: Reviews

Memorie della Milano delle fabbriche

Memorie della Milano delle fabbriche
Architettura, estetica, affetti rivivono in due volumi che si prestano a letture parallele: fotografica e documentaria (con i suoi più importanti edifici produttivi) e autobiografica (rispetto alle trasformazioni urbane, lavorative, politiche e sociali). Sguardi che spaziano dal secondo dopoguerra ad oggi

 

Dopo la sua ricognizione sull’intero territorio italiano della “Guida al turismo industriale”, Jacopo Ibello si concentra su “Milano Industriale. Storia, archeologia e architettura” (Hoepli, 2025, 256 pagine, 42,90 €) che, insieme al suo hinterland, dalla metà dell’Ottocento fino alla fine del XX secolo, era costellata di fabbriche di varie tipologie, molte delle quali oggi sono diventate patrimonio archeologico. 

Un lavoro di censimento e di sopralluoghi in prima persona che ha portato alla catalogazione, in schede, dei più importanti edifici produttivi della capitale industriale italiana: dal tessile al chimico, dal siderurgico all’alimentare, dalle distillerie ai tabacchi, fino alle centrali e alle sottostazioni elettriche, lasciando ponti, scali e stazioni a una prossima pubblicazione. Cinquanta edifici, corredati da grandi fotografie in bianco e nero, frutto anche di un lavoro di archivio, sono raggruppati in percorsi geografici, dentro e fuori città.

A inquadramento di una tale fioritura di insediamenti con stili e tecniche costruttive diverse, alcuni sopravvissuti, altri abbandonati oppure riconvertiti a nuova destinazione, la prefazione di Luca Doninelli che riconosce a Milano il primato del lavoro a cui ha dato “una forma esteticamente determinata, comprensibile nei due sensi della parola estetica, e quindi non soltanto capace di produrre bellezza (e tanta) ma capace di generare, nella percezione di chi la abita, una consuetudine affettiva, una sorta di reciprocità degli sguardi”.

Un riconoscimento che parte dalle prime fabbriche, perlopiù in mattoni, sorte appena fuori dalle mura spagnole, fino alla nascita dei grandi stabilimenti lungo gli assi periurbani, come quello che collega la città a Sesto San Giovanni o alla zona dell’alto milanese (Legnano-Busto Arsizio). Un territorio ricco di acqua utilizzata per produrre energia elettrica non solo in città ma anche, con la successiva industrializzazione, nella valle dell’Adda. Fra i tanti edifici della Milano industriale alcuni facilmente riconoscibili come Campari e Pirelli tra Sesto San Giovanni e Bicocca, Richard Ginori a Milano Est, l’Officina del Gas della Bovisa fino al Cotonificio Crespi sull’Adda e altri appena riscoperti come la SNIA Viscosa a Varedo (Monza Brianza). Una guida per riappropriarsi della città e del suo territorio come memoria viva. 

 

La città che educa

A 9 anni dalla prima edizione, Alberto Rollo aggiorna “Un’educazione milanese” (Ponte alle Grazie, 320 pagine, 20 €) con una disamina sui recenti progetti urbanistici e le trasformazioni dello skyline. Tutto ruota attorno al corpus di una ricognizione autobiografica della città a partire dagli anni Cinquanta, ovvero gli anni del boom economico. La storia “dell’unica metropoli che può dirsi tale in Italia” viene esplorata attraverso la memoria, il cammino, le ricognizioni con il padre ma anche attraverso l’architettura – da Piero Portaluppi a Piero Bottoni, da Aldo Rossi a Grafton Architects – di cui è parte integrante: “Ho vissuto sempre a Milano e non conosco un’altra città – né posto diverso da una città – in cui potrei vivere. Credo abbia a che fare con una specie particolare di educazione sentimentale nel mio caso dalla educazione milanese operaia che dipende dalla fisionomia culturale della mia famiglia”.

Una famiglia proletaria di operai e artigiani. Dall’officina del padre fra Dergano e Bovisa, prima operaio in via Savona e poi capo-officina alla ditta Anceschi di viale Certosa, alla casa popolare di via Grigna e poi a quella appena costruita di via Mac Mahon, centro degli affetti, fino all’oratorio, centro delle amicizie e frequentazioni dell’adolescenza. È la ricostruzione di una città di fabbriche, laboratori grandi e piccoli e della sua espansione a partire dall’area attorno al ponte della Ghisolfa fino alle gite didattiche domenicali con il padre per vedere “quel che restava della guerra”, ma anche una lettura estetica di Milano attraverso le fabbriche dell’Alfa, della Falck, della Pirelli, dell’area della Montecatini come veri monumenti della città.

Lo sguardo si allarga poi oltre i ponti fino agli scali ferroviari, non più luoghi di scambi commerciali ma “il vero nodo, politico ed economico, della metamorfosi metropolitana”, alla rete tramviaria, ai capolinea dei quartieri del proletariato dalla stazione di San Cristoforo in fondo a via Giambellino, a quello di viale Ungheria (la Milano dei primi anni Sessanta) a quello in fondo a via dei Missaglia. Il racconto attraversa poi la fase formativa della giovinezza e delle sue amicizie con lo sfondo delle grandi lotte operaie, della nascita dei gruppi extraparlamentari, il costituirsi di quel melting pot sociale che ha portato la generazione dell’autore a vedere con occhi diversi.

Ma è nel lascito della Milano delle officine che l’autore sembra poter riconoscere il germe di una diffusa educazione milanese, magari filtrata da ulteriori esperienze, ma tuttora viva. Una testimonianza per capire meglio la complessità di questa città.

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Tag: , , , , , , Last modified: 28 Dicembre 2025