Due libri paralleli, di LetteraVentidue, dedicati a due protagonisti della storiografia in architettura. Dalle interviste emergono esperienze e visioni
La collana “Loqui” di LetteraVentidue offre un’occasione di confronto indiretto tra due protagonisti della storiografia del Novecento come Giorgio Ciucci e Kenneth Frampton, con le pubblicazioni: “Leggere l’architettura, scrivere la storia. Intervista a Giorgio Ciucci” (di Manuel Orazi e Gabriele Mastrigli, 2025, 200 pagine, 9,90 €) e “Memoria come palinsesto. Intervista a Kenneth Frampton” (di Federica Doglio e Gaia Caramellino, 2024, 120 pagine, 6,90 €).
Entrambi intervistati da una coppia formata da un critico e da uno storico dell’architettura, Giorgio Ciucci e Kenneth Frampton ripercorrono nel dettaglio due traiettorie culturali e personali significativamente distanti, ma con diversi punti di contatto: la frequentazione dell’ambiente americano, e in particolare la partecipazione, negli stessi anni, alla redazione di “Oppositions”, la rivista dell’Institute for Architecture and Urban Studies di New York, il ruolo cruciale di Peter Eisenman come promotore di relazioni culturali e il particolare interesse di Frampton per l’Italia, la consuetudine con il progetto come pratica ineludibile del “fare storia” da architetti. Entrambi sono stati infatti progettisti prima di intraprendere la carriera di storici e docenti nelle più prestigiose università internazionali: Ciucci come fondatore dello studio STASS insieme a Mario Manieri Elia e Massimo D’Alessandro, con cui ha realizzato diversi progetti a Roma, dalle residenze alla Camilluccia (1967-70) e a Serpentara (1968-70), passando per il Liceo Plauto a Spinaceto (1967-70); Frampton collaborando con diversi studi londinesi tra cui Douglas Stephen & Partners, per cui è responsabile del progetto di edificio residenziale Corringham a Bayswater nei pressi di Hyde Park (1960-62).
Nel raccontare le loro vicende personali, Ciucci e Frampton forniscono dettagli inediti e illuminanti su ambienti culturali e momenti cruciali per la storia dell’architettura del secondo Novecento, italiana e internazionale. Per lo storico italiano le tappe più importanti sono gli studi alla Facoltà di Architettura di Roma tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta, la chiamata a Venezia nel 1968 dove entra a far parte di un gruppo di architetti e storici che avrà grande influenza internazionale, la partenza per gli Stati Uniti nel 1976 e i periodi al MIT di Boston, poi ad Harvard e infine all’IAUS di New York invitato da Peter Eisenman (dove incontra tra i vari personaggi anche Frampton), il lavoro alla redazione di Casabella con Tomás Maldonado e Vittorio Gregotti e il ritorno nella capitale con la chiamata a Roma Tre. Per lo storico britannico sono fondamentali l’ambiente dell’Architectural Association di Londra all’inizio degli anni Cinquanta, il lavoro alla redazione di “Architectural Design”, il trasferimento negli Stati Uniti, anche lui invitato da Eisenman a Princeton e allo IAUS, e a Columbia nel 1972, il Berlage Istitute con Herman Hertzberger e l’Accademia di Mendrisio con Mario Botta.
Nonostante la sorprendente comunanza di esperienze, le domande mirate di Manuel Orazi e Gabriele Mastrigli a Ciucci e di Federica Doglio e Gaia Caramellino a Frampton fanno emergere con chiarezza la distanza delle posizioni culturali.
Se il primo è un protagonista della stagione della critica all’ideologia tafuriana, il secondo risulta più vicino alle forme di “storia operativa” di Bruno Zevi, Leonardo Benevolo o Richard Rogers. Da una parte il disincanto di Manfredo Tafuri finirà con il sancire la separazione tra storia e progetto, dall’altra l’insegnamento di Frampton rivendica il superamento del divario tra laboratori di progettazione e corsi di teoria e storia, costruendo chiavi interpretative e paradigmi teorici utili ai progettisti per collocarsi e dare senso al proprio agire. E questo ne spiega l’influenza internazionale e l’enorme successo delle sue categorie interpretative, come il regionalismo critico o la poetica della costruzione, orientate a valorizzare alcune affinità elettive tra architetti e contesti e una cultura progettuale fondata sull’identità locale, espressione di una posizione ideologica che tende a promuovere forme di resistenza di fronte ai processi di globalizzazione del capitalismo neoliberista che interessano anche l’architettura.
Se Frampton sembra sempre impegnato a dimostrare una tesi, Ciucci assume una posizione più distaccata rispetto all’oggetto di cui si occupa, atteggiamento che emerge anche nelle sue risposte velate di disincanto. Dalla città americana, ai grandi protagonisti del Novecento come Frank Lloyd Wright e Le Corbusier, fino alle vicende della cultura architettonica italiana del Novecento, i suoi contributi sono sempre dotati di una lucidità che lascia poco spazio all’ideologia. Una precisione che si può ricondurre alle origini svizzere e che nell’intervista si vela di un’ironia molto romana.






















