Una mostra sui temi urbani al Maxxi. Curata da Ricky Burdett con Paola Viganò, è una riflessione necessaria, duplice e interferente, sulla capitale alla chiusura del Giubileo
ROMA. In una città invasa dai cartelli “Caput Mundi” (lo slogan degli interventi targati PNRR), il Maxxi si avventura in una riflessione, dotta e sfidante. Si discute di Roma, e di urbanistica. “È la prima volta per il Museo nazionale delle arti del XXI secolo”, dice Maria Emanuela Bruni che presiede la Fondazione Maxxi introducendo la mostra “Roma nel Mondo”.
Confronti e densità
A curarla è Ricky Burdett, professore di Urban Studies alla London School of Economics and Political Sciences. Una ricca e solida esperienza di ricerca sulle città (oltre a una intensa frequentazione con Roma) che lo rende la figura ideale per “ribaltare il punto di vista”, come lui stesso dice. Non più Roma al centro (con tutta la retorica che va da Roma caput mundi, appunto, agli appellativi di Città Eterna o ai modi di dire simil-Tutte le strade portano a Roma) ma una piattaforma quantitativa, di dati e di numeri, che permette un confronto globale su scala planetaria. Non solo metropoli occidentali (quelle che ti aspetti, insomma: da Londra a New York), le 17 realtà urbane emblematiche vanno da Mumbai a San Paolo.
Per certi versi un esame, sicuramente un modo meno autoreferenziale di pensare e di pensarsi. In una fase a suo modo cruciale per la capitale, al tramonto della sbornia dei fondi PNRR e dell’anno giubilare, serve una riflessione nuova, come sintetizza Antonio Ciucci, presidente di Ance Roma – Acer, nel ruolo di sostenitore del Maxxi e di sponsor della mostra: “Siamo abituati a vedere Roma confrontarsi con Milano. È venuto il momento di mettere la città al centro della discussione in un modo diverso”.
E qui sta la sfida del Maxxi e di Burdett. La introduce Lorenza Baroncelli, direttrice del Dipartimento di Architettura e design contemporaneo. “Il museo ha già raccontato, e molto, Roma in passato. Ma mai così. È una mostra che non vuole dare risposte, ma porsi domande, guardando al futuro – dice confessando la sua attesa – Sono curiosissima di vedere come il mondo dell’architettura romana accoglierà questo approccio”. Perché effettivamente parlare di Roma, in un tempio dell’architettura contemporanea, senza mostrare architetture, è parte della sfida.
Come quella di “dare forma ai numeri”, come spiega Francesco Stocchi, che al Maxxi è il direttore artistico. Ed è un tema decisivo a livello allestitivo. Con il racconto di numeri e statistiche la cultura urbana ha una certa consuetudine, forse anche eccessiva per alcune derive. Meno con rappresentazioni efficaci, ed esteticamente gradevoli, della dimensione statistica. Compito affidato a Claudia Reale che ha lavorato con una doppia strategia. Innanzitutto i grafici si fanno materia con colorate, e grandi, forme a modellare la geografia del percorso nella semi-curva della Galleria KME.
E poi alle pareti ci sono tante fotografie, d’autore, a costruire il legame con i luoghi. Ci sono quelle che ritraggono le città globali, nella prima sala. Si tratta di un’immersione visiva in quello che è il confronto sviluppato dal team di Burdett, organizzato in 4 sezioni che corrispondono ad altrettante stanze (Spazio, Mobilità, Ambiente, Società). Restituiscono una Roma inattesa (l’aggettivo è di Maria Emanuela Bruni): verdissima (il più grande comune europeo per superfici agricole), piena di automobili (solo a Mumbai si fa peggio) e di stanze su Airbnb, con una crescita di popolazione infinitesima, inquinata ma non troppo, non abbastanza densa. Punto su cui, provando una complessa sintesi, Burdett si concentra: “Roma ha tutte le risorse per costruire un futuro sostenibile così da dare risposta ai cambiamenti climatici e alla crisi demografica. Ma serve densificare”.

Terracotta e immaginari
Le fotografie tornano nella parte finale della mostra, Il DNA di Roma, curata di Keti Lelo. La parte più suggestiva, sicuramente la più instagrammabile, è l’installazione – costruita con quasi mille formelle in terracotta – che costituisce non solo un grande modello fisico del territorio romano (circa 7 x 7 metri, in scala 1:7.500 pensato da Burdett con Marco Galofaro con progetto visivo di ULTRA), ma una base su cui vengono proiettati e raccontati i temi, con il rosso terroso del materiale che assume colorazioni e luci cangianti. Affascinare per comunicare. Intensa e originale, nella stessa sezione, è la serie fotografica di Marina Caneve, un progetto recente destinato alla collezione del Maxxi. Si chiama Roma quarto giorno, quello in cui i turisti cercano qualcosa di diverso dall’immaginario usuale: il quotidiano, il dietro le quinte, l’inaspettato, il selvatico.
Immagini che proiettano, a proposito di confronti, in luoghi altri. Come altri sono gli immaginari, parola chiave della seconda parte della mostra, fisicamente collocata al centro. Il cuore, la parte più intima, quella pensata per ricollegarsi alle visioni consolidate. Difficile rinunciarci, come sembra dire chi attraversa i suoi spazi canticchiando Antonello Venditti e la sua “Roma, Roma, Roma. Core de ‘sta città”.
Nulla di popolare in realtà, ma una colta, e necessaria, immersione curata da Paola Viganò (con Maria Medushevskaya) che dice: “Forse nelle classifiche Roma non emerge. Ma se pensiamo all’immaginario planetario, non ci sono confronti che reggano”. Perché certe immagini non se ne vanno dalla cultura urbana (hanno inerzia, spiega Viganò).
Roma è stata vista nei secoli come punto di contatto tra urbanità e naturalità. Impossibile non parlare di città senza passare da qua. E allora la sezione (che rende omaggio anche a Martin Parr, da poco scomparso, con una serie di inconfondibili fotografie) dispensa, con misurata selezione, mappe, interpretazioni, citazioni. Racchiuse in 3 parti, i titoli sono già l’articolazione di un pensiero (Il rimpatrio dello spirito, Il grande collage, Splendida preparazione per il futuro) fino alla Roma socchiusa. Definizione che non sembra la conclusione, bensì l’apertura (quasi in punta di piedi) di un percorso che fluttua davvero (e le forme di Zaha Hadid aiutano) tra visioni globali e carotature ancorate nella pietra, nella storia, nell’anima.
“Roma nel Mondo”
17 dicembre 2025 – 6 aprile 2026
Maxxi, Roma, Galleria KME
A cura di: Ricky Burdett
Informazioni
Il catalogo “Roma nel Mondo” è curato da Ricky Burdett e Izabela Anna Moren, Maxxi, Corraini Edizioni, 2025, 176 pagine, 25 euro
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Prefigurazioni come appendice
Spalla ideale per questo racconto ibrido su Roma è l’esposizione che chiude il percorso, nell’area degli Archivi. Protagoniste sono le prefigurazioni di Luigi Pellegrin, architetto romano, il cui lavoro viene valorizzato con grandi, suggestive e colorate tavole in grande formato, via di mezzo tra visioni e progetti.
L’occasione è triplice: una evidente coerenza con l’impostazione del percorso di “Roma nel Mondo”, la disponibilità del fondo Pellegrin (ceduto in comodato al Maxxi nel 2017) e il centenario della nascita (1925-2001) di un autore che, si legge nei materiali in mostra, “vede Roma non come città da conservare ma come base da trasformare”.
Curatore del percorso insieme ad Angela Parente, Sergio Bianchi sottolinea la visionarietà di Pellegrin: “Dal suolo alle infrastrutture, progettava con attenzione e sensibilità alle crisi attuali”. Prefigurazioni allora, temi necessari oggi.
Immagine di copertina: Mostra Roma nel Mondo, Maxxi, 2025
“Luigi Pellegrin. Prefigurazioni per Roma”
17 dicembre 2025 – 6 aprile 2026
Maxxi, Roma, Centro Archivi Architettura
A cura di: Sergio Bianchi e Angela Parente
Informazioni
































