Nel Mare interno di Seto un arcipelago di architetture, esito di una visione creativa e stupefacente. Tadao Ando è il grande protagonista ma ci sono opere anche di Kazuyo Sejima e di Hiroshi Sambuichi
NAOSHIMA (Giappone). Solcare il mare azzurro in una bella giornata di sole navigando fra le numerose isole ed isolette dell’arcipelago a est di Osaka e Kobe ti fa sentire quasi come un novello esploratore alla scoperta delle terre del Sol Levante.
Una nuova economia culturale
In verità sei a bordo dei puntualissimi mezzi di navigazione che servono un mondo ricco di una notevole offerta culturale che coniuga arte e architettura contemporanee, cosa che non ti aspetteresti in una regione così decentrata dai grandi flussi globali. Ma proprio in questo sta la ragione di questi luoghi “altri”. Il Mare interno di Seto, questa a denominazione geografica, era, fino agli anni Settanta, luogo destinato alle necessità dell’industria pesante con le sue molte isole destinate a spopolarsi, vista la vicinanza delle grandi conurbazioni urbane giapponesi dimentiche della bellezza naturale del luogo.
Grazie ad un’intuizione e ad una visione folle e utopistica del magnate Fukutake Soichiro, a capo del gruppo editoriale Benesse, l’inquinamento lascia il posto all’arte contemporanea celebrata in straordinari musei disegnati da Tadao Ando collocati sulle isole in armonia con la natura. Si crea così una vera e propria nuova industria che negli anni occupa nella sola isola di Naoshima circa 4.000 persone, crea un flusso turistico di alto livello, dà vita ad un vero e proprio laboratorio che studia e realizza musei totalmente innovativi, nati in coerenza con le opere d’arte contemporanee che ospitano
La prima e più importante è l’isola di Naoshima, poco al largo della costa di Honshu, con il porto di Miyanoura che oggi ospita la quasi immateriale stazione marittima di SANAA dal disegno super minimal e tagliente che annuncia, assieme alla zucca rossa e nera di Yayoi Kusama (instagrammatissima, anche perché una delle poche opere fotografabili sull’isola) quello che ci attende. La Benesse House, del 1992, ti sorprende con una tipologia del tutto nuova, museo e hotel organicamente inseriti nel promontorio che li accoglie insieme ad un organismo complesso che chiama gli ospiti, alto spendenti e amanti dell’arte contemporanea il prerequisito, ad una immersione totale in un ambiente che, indubbiamente, è una sorta di assaggio del paradiso, almeno per come potremmo immaginarcelo. Il segno di Tadao Ando, pur riconoscibilissimo, è qui ancora legato ad una visione del museo come contenitore, se pure è già chiara la sua aspirazione a creare un percorso vocazionale e ambientale.
Si distingue la Hiroshi Sugimoto Gallery, addizione del 2022 dedicata all’omonimo artista che ha dedicato molta parte della sua vita all’isola, nella quale il tema del corridoio del tempo, in una felice connessione fra spazio fisico e mentale mediato dall’opera artistica, permette al visitatore di scoprire sempre nuove connessioni fra spazio costruito e ambiente naturale.
L’ultimo museo inaugurato a primavera
Nel Chichu Art Museum, 2004, la coesione fra arte e architettura, fra contenuto e contenitore, è già assoluta e non importa se abbiamo di fronte un’opera di Claude Monet, Walter De Maria o James Turrel, ma opera e spazio diventano indissolubili: non è possibile pensare l’una senza l’altro e viceversa. In questo processo il visitatore si trasforma da ospite, ancora padrone del suo incedere, ad adepto chiamato a percorrere gli spazi ora scalzo, ora in silenzio, fra luce, buio, sole e pioggia, salite e discese, in un empireo che non ammette giudizio, ma solo ammirazione. Più che dovuta, del resto, di fronte ad opere d’arte totali come quelle che vediamo.
Il Lee Ufan Museum, del 2010, ci chiama ad un introibo ambientale che prima ci tramortisce con l’arco assoluto che da un grande prato verde incornicia il mare e il cielo, e poi ci annichilisce di fronte all’altissima asta conficcata nella corte quadrata, rendendoci così abbastanza umili da approcciare gli spazi ipogei del museo dedicato al protagonista della Mono-ha School, movimento artistico giapponese degli anni ’60 e ‘70.
Se il villaggio di Honmura, il più grande dell’isola, ti accoglie con l’Art House Project, una mezza dozzina di case tradizionali giapponesi trasformate in installazioni d’arte moderna, la sorpresa più grande viene dall’Ando Museum, del 2013, che ad un’accoglienza fatta di elementi tradizionali, una casa in legno con tetti a falde in tegole, fa seguire un’articolazione degli spazi interni realizzata con la consueta cifra del setto in cemento armato per presentare i progetti realizzati a Naoshima e in altri luoghi del Giappone, come la famosa Church of Light, manifesto della poetica modernista del nostro.
Ultimo arrivato il Nahoshima New Art Museum che, dall’alto di una collina del distretto di Honmura, domina, dalla primavera di quest’anno, la baia offrendo un panorama mozzafiato che l’architettura, articolata da un tetto a falde dalla geometria spezzata, accompagna con una concessione alla tradizione che sembra contraddistinguere questa ultima fase dei progetti di Tadao Ando.
Non solo Naoshima
Nelle altre isole, Teshima e Inujima, il tono di voce cambia leggermente, più pacato e minuto, anche se con episodi di non minore eccezionalità. In particolare, nella seconda, una piccola isola di pescatori a “forma di cane” – questo il significato di Inujima – appartenente alla città di Okayama, l’Art House Project curato da Yuko Hasegawa con l’architettura di Kazuyo Sejima, realizzata a partire dal 2010, si fa un poco più estetizzante e forse meno convincente.
Straordinario è, invece, il Seirensho Art Museum, completato nel 2008, struttura che ospita le opere di Yukinori Yanagi grazie al progetto di Hiroshi Sambuichi che recupera l’architettura di un’antica fabbrica di raffinazione del rame, reperto di una prima industrializzazione che aveva trovato in questo luogo la possibilità di produrre inquinando liberamente. Il concetto di riuso di “ciò che si trova per realizzare ciò che si deve” permette di realizzare un affascinante percorso che alterna momenti da percorso in miniera a stupefacenti paesaggi che si godono immersi nel verde e nella natura.
Le isole mantengono un assetto quieto e totalmente non sovraffollato anche durante i 100 giorni della Setouchi Triennale, conclusa ad inizio novembre, che ogni tre anni in primavera, estate e autunno, coinvolge tutte le 12 isole del Mare interno di Seto, interessando le istituzioni presenti e dando vita ad installazioni che, in parte, rimangono ad arricchire il patrimonio artistico della regione. La filosofia alla base dell’intervento iniziato decenni fa è stata chiara fin dall’inizio: “Se l’arte foriera di un messaggio alla società moderna fosse collocata sulle isole del Mare interno di Seto, dove ancora oggi persiste il paesaggio incontaminato del Giappone, questo potrebbe cambiare una regione che sta perdendo la sua vitalità”.
Quaranta anni di storia: ciclo virtuoso ma difficilmente replicabile
Il modello delle isole dell’arte e dell’architettura si è rivelato vincente sia per aver contribuito alla conservazione dei luoghi, sia per averli dotati di opere di arte e di architettura che oggi, a quasi 40 anni di distanza, si apprezzano per la qualità di un programma che non si è ancora esaurito e promette, anzi, di proseguire allargando il gruppo dei protagonisti e delle occasioni offerte ai visitatori.
Non possiamo, però, nasconderci che tutto ciò è stato reso possibile da ingenti finanziamenti e che il modello potrà sostenersi e svilupparsi solo in continua presenza di questi, capacità economiche che, in senso lato e generale, sono state generate proprio dal sistema che aveva sfruttato e messo in pericolo l’esistenza delle isole e dei suoi abitanti.
Questa considerazione non toglie nulla alla bontà dell’operazione, alla quale va ogni plauso anche per il livello assoluto dei risultati raggiunti, ma crediamo sia doverosa se vogliamo interrogarci sulle reali possibilità di riconversione di luoghi ex industriali e non – magari non tutti così affascinanti come questi del Giappone microinsulare – che la tumultuosa storia del Novecento ha lasciato sulla propria strada in ogni angolo del mondo. Grazie a benefattori illuminati, ad architetti di grande visione e ad artisti di altro profilo si è dimostrato di poter rispondere con la qualità eccezionale agli errori eclatanti dello sviluppo industriale.
Siamo, però, ancora lontani dall’aver capito come risolvere la mediocrità banale delle nostre città, luoghi e territori afflitti da un male che investe tutti quotidianamente, soprattutto quando non possiamo intraprendere affascinanti viaggi alla ricerca del bello e del sublime.
Immagine di copertina: Seirensho Art Museum, Hiroshi Sambuichi, Inujima (© Matteo Vercelloni)
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Last modified: 18 Novembre 2025

































