Bilancio e critica dell’attuazione della Convenzione Europea, siglata nel 2000, da parte di Luigi Latini, direttore della Fondazione Benetton. Tra concetti mutevoli e nodi irrisolti
La Convenzione Europea del Paesaggio, adottata dal Consiglio d’Europa il 20 ottobre 2000 a Firenze, rappresenta un primo strumento internazionale giuridicamente vincolante dedicato interamente al paesaggio. Una parola e un concetto che qui si fanno strada nella lunga marcia della loro percezione unitaria oltre i confini dei singoli paesi.
Non solo estetica
La parola paesaggio sottende a un concetto di per sé mutevole, in costante evoluzione nel suo compito di offrire una spiegazione comprensiva e operante del nostro rapporto con la natura, del suo svelarsi rispetto a questioni sociali e politiche, all’intreccio di valori etici ed estetici, al formarsi di una imprescindibile strumentazione progettuale.
Se solo guardiamo, nell’arco di questi 5 lustri, all’impennata che ha caratterizzato la produzione di pubblicazioni in questo campo, è facile smarrirsi. Tra le molte definizioni di paesaggio che emergono dalla miriade di angolazioni disciplinari che si sono cimentate in questa impresa, la Convenzione Europea del Paesaggio ha sentito l’esigenza di dovere tracciare, per esempio, una definizione della parola recuperando la sua relazione con il lemma “paese”. Questo è avvenuto parlando di paesaggio come “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (articolo 1 della CEP).
Basterebbe anche solo questo primo articolo per ricordare come i contenuti della Convenzione siano stati rivoluzionari, capaci di orientare correttamente l’uso di questa parola, sciogliere molte ambiguità rispetto alla sua vicinanza alla sfera della mera percezione, segnare nuove traiettorie di ricerca, cercando di eliminare, nella visione comune e nelle pratiche di salvaguardia, il campo ristretto e consolatorio della sua accezione estetica. Ma la Convenzione è riuscita anche a trovare un terreno di convergenza e un tentativo di linguaggio comune che potesse legare la dimensione paesaggistica, le politiche urbanistiche e ambientali, gli aspetti culturali ed economici (articolo 5, lettera d), incoraggiando un legame stretto tra processi partecipativi e decisioni pubbliche (stesso articolo, lettera d) e stimolando, così come Franco Zagari ha più volte ricordato, un salto di qualità, affermando la centralità del “progetto del paesaggio”, inteso come momento di sintesi tra passaggi come quelli della protezione, della gestione e della pianificazione, di norma separati.
E in modo analogo il protocollo aggiuntivo dell’agosto 2016 (CETS 219) sottolinea l’importanza e il valore di un documento capace di rompere i confini europei e i campanilismi per poter ridisegnare una geografia internazionale di confronto su temi comuni, nella ricerca di una concreta “International Landscape Convention”.
Manca un pieno riconoscimento culturale
Se è evidente, da un lato, l’insieme dei meriti della Convenzione, è altrettanto vero che un bilancio di questi 25 anni deve essere occasione per mettere a fuoco questioni in sospeso o irrisolte. Seppur con un impatto normativo rilevante – si pensi al Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto Legislativo 42/2004) che in Italia recepisce i principi della CEP –, non sempre gli strumenti legislativi previsti, come i Piani Paesaggistici Regionali (normati dall’articolo 143 del Codice), hanno trovato nel contesto nazionale una forte volontà di attuazione.
Il paesaggio è ancora oggi visto come un vincolo, un limite alla logica della crescita continua, raramente come un’opportunità di sviluppo.
E ancora di più, come bene sottolinea la società IASLA nel suo “Paesaggio Europa. Linee guida per l’attuazione della Convenzione europea del paesaggio”, la lista dettagliata di strumenti per l’attuazione delle politiche proposte dalla CEP dimentica una delle azioni strategiche più importanti, e cioè il riconoscimento del ruolo del progetto di paesaggio come strumento operante e di indirizzo culturale. Non si tratta di mero strumento attuativo ma, in primis, di una forma mentis che accompagna ogni processo di trasformazione e gestione del paesaggio.
Partecipazione e formazione i nodi irrisolti
Anche i processi di partecipazione pubblica (nell’articolo 5, lettera c della CEP o nelle Linee guida per l’attuazione della Convenzione, Parte I – Principi generali, lettera G) rimangono un ottimo veicolo “pubblicitario” più che uno strumento di condivisione e appartenenza alla cura di una casa comune.
La Convenzione, infatti, citando ancora Franco Zagari, per certi versi è stata limitata, soprattutto in campo politico e in Italia, da un’azione di riconoscimento di merito, una sorta “di saluto istituzionale il cui effetto [è] regolarmente solo il compiacimento di far parte di un mondo buonista, che ama il paesaggio perché questo è istintivamente un valore che appartiene alla nostra educazione”.
Il tema centrale dell’educazione conserva ancora aspetti irrisolti. Molto è stato fatto sul piano degli studi e della ricerca sui temi che la CEP stimola rispetto all’ambito accademico, e non solo: si pensi alla nascita nel 2008 a Firenze di UNISCAPE, la rete europea delle università dedicate allo studio e alla formazione sul tema del paesaggio, in coerenza con i principi espressi nella Convenzione, una rete alla quale aderisce anche la Fondazione Benetton.
È importante, però, sottolineare come molto ci sia ancora da fare in ambito di formazione e istruzione nelle scuole primarie e secondarie. Nelle Linee guida per l’attuazione della Convenzione si scrive che “se la formazione paesaggistica esiste già in alcuni Stati all’interno di istituti scolastici, è necessario consolidarla al fine di sviluppare nei bambini una sensibilità alle domande relative alla qualità del loro ambiente di vita, che è anche un modo per raggiungere la popolazione attraverso le famiglie. Ciò può avvenire tramite l’insegnamento di diverse discipline, che provengano da geografia, storia, scienze naturali, economia, letteratura, arte, architettura, ingegneria civile ed educazione civica”.
Vale la pena ricordare, in chiusura, come 38 anni or sono, nel 1987, in anni di attesa e di scarsissime occasioni di crescita e formazione in questo campo in Italia, la Fondazione Benetton iniziava con spirito pionieristico il suo paziente lavoro. Un lavoro che oggi trova molti punti di contatto con i contenuti espressi dalla Convenzione.
Immagine di copertina: paesaggio in Valle Laghi, Trento, 2024
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CEP , convenzione europea del paesaggio , Fondazione Benetton , formazione , franco zagari , iasla , paesaggio
Last modified: 12 Novembre 2025






















