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Written by: Forum Patrimonio

Jean Prouvé double face: tra valorizzazione e conservazione

Jean Prouvé double face: tra valorizzazione e conservazione
Le maisons industrialisées di Meudon diventano una architecture remarquable: l’occasione per riflettere criticamente sul recupero del moderno in Francia

 

MEUDON (Francia). Jean Prouvé è stato un grande sperimentatore di materiali, soprattutto alluminio, ferro e acciaio, con cui ha messo al centro l’idea di rendere gli edifici prefabbricabili e, di conseguenza, ridurre tempi e costi di costruzione. Ha molto lavorato e sperimentato sia prima che dopo la seconda guerra mondiale, in una nazione, la Francia, che nonostante uscisse sconfitta dal conflitto, ha saputo innovare l’architettura per poi cadere, come avvenuto in Italia, in una speculazione di edilizia economica e popolare, un po’ becera, fuori controllo.

Prouvé ha avuto un percorso formativo articolato. Nato dall’apprendistato artigianale della lavorazione del metallo, ha successivamente sperimentato in diverse direzioni, avendo sempre cura dell’abitare. Un abitare modulare, veloce da montare, per rispondere in modo efficace ai problemi abitativi del dopoguerra.

I progettisti che innovarono sperimentando con i materiali e disegnando gusci e scocche che tenevano insieme tecnica e architettura non furono molti. Uno dei principali fu Richard Buckminster Fuller e, guardando all’Italia, Eduardo Vittoria e Angelo Mangiarotti che hanno indagato le potenzialità dell’acciaio, soprattutto in ambito industriale.

 

Sans souci, un villaggio di metallo

Prouvé usa acciaio e l’alluminio per fare case, che sono realizzate per gli operai a Meudon, sobborgo di Parigi, nel villaggio “Sans souci” (1949-52), insignito durante le giornate europee del patrimonio del riconoscimento di “architecture remarquable” da parte della Directions Régionales des Affaires Culturelles (DRAC), l’equivalente della Soprintendenza italiana, grazie al lavoro della associazione degli abitanti e del suo presidente Philippe Divine. Sono architectures remarquables gli edifici, i complessi architettonici, le opere d’arte e gli interventi realizzati da meno di 100 anni, la cui progettazione presenta un interesse architettonico rilevante ed erano precedentemente classificati come “Patrimonio del XX secolo” e non sono monumenti storici.

In questo piccolo quartiere autonomo immerso nel verde Jean Prouvé sperimenta con le tipologie progettando in maniera modulare. Due moduli di 8×8 metri e 8×12 metri, messi a punto nel 1940 con Pierre Jeanneret, diventano la base per 14 case prefabbricate pensate per essere montate in breve tempo da due sole persone in un lotto 14.000 metri quadrati. In tutte si delinea una capacità di costruire involucri a scocca, in cui la struttura portante in portali di acciaio è separata dal rivestimento esterno in alluminio. Le case sono sollevate da terra da pilotis trapezoidali in pietra oppure poggiano su terrazzamenti a stretto contatto con una natura che diventa elemento fondamentale del progetto, al pari del rapporto con la luce enfatizzato dalle grandi superfici vetrate.

La serialità ripetibile di fabbricati che devono essere costruiti nell’atelier e poi montati facilmente in loco è un tema progettuale ricorrente nella ricerca di Prouvé, che, in uno sguardo più allargato, avrebbe potuto avere uno sviluppo maggiore per affrontare ad esempio le problematiche abitative dei ceti meno abbienti e, oggi, delle giovani famiglie, di studenti e anche dei ricoveri post disaster. Purtroppo questo in Francia non è avvenuto, per il disinteresse del mondo dell’edilizia e la prevalenza dei grands ensembles degli anni settanta e ottanta.

 

Ipocriti o indignati

La Francia rimane imbattibile nella valorizzazione del moderno e del contemporaneo, ma nel restauro alcune modalità di approccio devono essere universali e, anche qui, non sempre lo sono. Proprio Prouvé, nella Maison du Peuple (1935-1939) a Clichy realizzata con Marcel Lods, Eugène Beaudouin, e l’ingegnere Vladimir Bodiansky e nata come spazio in cui il popolo si è riconosciuto nel tempo, vedrà una profonda alterazione dell’architettura trasformata in laboratorio e boutique del cioccolato dal gruppo fondato dallo chef Alain Ducasse.

Anche il recente restauro delle facciate dell’Immeuble Molitor di Le Corbusier (ne avevamo parlato qui), rappresenta bene quello che accade e una incapacità totale di riconoscere la modernità architettonica come un valore universale da parte di tutti, cittadini, professionisti e istituzioni. Dove abita quindi il senso della tutela e della conservazione per la cultura francese?

Oggi abbiamo due opzioni: l’ipocrisia, con cui continuare a parlare di tutela in una dimensione teorica per poi non attuarla, o l’indignazione, con cui investire più risorse ed energie nel costruire consapevolezza di questi capolavori del XX secolo. Ne saremo capaci?

Immagine di copertina: Le maisons industrialisées (© Emanuele Piccardo)

 

Autore

  • Architetto, critico di architettura, dirige la webzine archphoto.it e fonda l'associazione culturale plug_in. Dal 2005 al 2015 si è occupato di Architettura Radicale. Nel 2013 vince il Graham Foundation Grant. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship. Nel 2019 cura la mostra per il centenario di Paolo Soleri nell'ambito di Utopian Hours. Nel 2021 fonda insieme agli architetti GRRIZ, la Petites Folies School, l'autocostruzione di spazi pubblici nelle aree interne. Nel 2023 plug_in riceve il Premio Bruno Zevi da Inarch/Liguria; nello stesso anno la sua ricerca sull'Architettura Radicale è entrata nella collezione del Canadian Centre for Architecture di Montréal, è curatore del festival “Abitare la Vacanza”. Nel 2024 cura la mostra al Museo di Arte Contemporanea di Genova “Alberto Ponis. Costruire nella natura”.

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Last modified: 5 Novembre 2025