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Alessandro ColomboWritten by: Progetti Reviews

Fondation Cartier, con Jean Nouvel nel cuore di Parigi

Fondation Cartier, con Jean Nouvel nel cuore di Parigi
Le prime immagini, e un racconto tra storia urbana e dettagli architettonici, della nuova sede museale parigina che inaugura con una grande mostra sabato 25 ottobre 2025

 

PARIGI. Per chi guarda dalla Place Royal, l’impronta della scritta Grand Hotel du Louvre sulla pietra lascia il posto al carattere dorato di Fondation Cartier pour l’Art Contemporain sulla balaustra dei balconi. 

 

Tra il Louvre e il Barone Haussman

Nella staffetta fra insegne, forse non voluta, sulla facciata che con il Conseil d’État, il Musée du Louvre e l’attuale Hotel, racchiude la piazza è riassunto tutto il senso di un’operazione che ha visto l’enorme isolato voluto dal disegno del Barone Haussman passare da Grand Hotel (inaugurato nel 1855 per L’Esposizione Universale di quell’anno) a Grands Magasins, per lunghi decenni, e poi a Louvre des Antiquaires, fino ad anni recenti, per arrivare oggi ad essere consacrato a sede dell’arte contemporanea, in particolare per la collezione della Fondation.

Prende così corpo e realtà l’operazione già annunciata con dovizia di mezzi a Venezia, in concomitanza con l’apertura della Biennale di Architettura, e che segna un radicale cambio di direzione nelle attività dell’istituzione privata. 

Nata nel 1984, e dal 1994 dotata di una propria sede, con un grado di sperimentazione e di innovazione che il progetto leggero ed elegantemente tecnico di Jean Nouvel ben interpretava nel giardino su Boulevard Raspail, la Fondation ora si pone senza timore ad occupare un pezzo di città, il più grande edificio /isolato della rue de Rivoli che fronteggia il più grande museo del mondo, il Louvre. Molte le interpretazioni che si potrebbero dare alla collocazione, ma fermandoci alla dimensione del progetto, anche in questo caso l’Atelier Jean Nouvel ben interpreta la propria committenza, ormai matura per “la più grande sfida” come dichiarato dal direttore Chris Dercon, riferendosi al più che ingombrante museo dirimpetto. 

 

Una lunghissima tettoia, affilata come un rasoio

Perché se le grandi sedi dell’arte moderna nella capitale francese vengono da un lungo percorso iniziato con il Centre Pompidou di Renzo Piano e Richard Rogers, eroe incontrastato della sperimentazione per decenni, ma pur sempre istituzione pubblica, l’avvento dei grandi gruppi della moda segna un primo momento di rottura con la realizzazione di iconici oggetti decentrati, come la Fondation Vuitton di Frank O. Gehry, e poi con l’acquisizione di antiche istituzioni ormai prive di funzione, la Bourse de Commerce di Tadao Ando. 

Mai si era arrivati al cospetto dell’autorità museale statale indiscussa e riconosciuta nel mondo, quel Musèe du Louvre che, purtroppo, soffre oggi di qualche disavventura in attesa del grande progetto di ristrutturazione che verrà assegnato a breve.       

Sotto queste premesse il concept rispetta la volumetria del grande edificio in pietra calcarea ripensando radicalmente gli interni che, in verità, erano già stati pesantemente manipolati con la realizzazione del Louvre des Antiquaires nel 1978. I segni del nuovo progetto sono riconoscibili all’esterno per le grandi vetrate, cristalli a luce unica con serramenti in acciaio nascosti nella muratura, e per la tettoia in vetro “più lunga del mondo” dal lato rue Saint Honoré. Quest’ultima tradisce all’esterno, verrebbe da dire, la forte modernizzazione realizzata all’interno. Una lama sottile come un rasoio, mirabile la realizzazione tecnica, sembra voler offrire riparo ai passanti, forse curiosi di sbirciare dalle grandi vetrate le opere d’arte contemporanee collocate all’interno, ma più probabilmente rappresenta una manifesta necessità di affermare un segno del rinnovamento architettonico che il rispetto formale del grande volume urbano rischiava di non rendere evidente.

Resta la pietra, all’interno è una rivoluzione

Il progetto dell’Atelier Jean Nouvel è comunque andato ben oltre, scavando in profondità l’edificio e rendendolo definitivamente moderno, o contemporaneo se preferiamo, nel suo voler essere macchina per esporre sia l’arte, sia la Fondazione che l’ha voluta. 

La struttura a corti diventa l’occasione per pensare una sorta di macchina teatrale continua in grado di adattarsi, cambiando le quote dei praticabili come in un teatro, alle più disparate esigenze che si dovessero presentare. Entrando nell’edificio la prima corte trasformata a grande palco mobile su cavi e pulegge è sovrastata da una pesante copertura in metallo e vetro sulla quale trovano posto alberelli che, per la grand overture, dispensano un foliage d’autunno a decorare, delicatamente, i lunghi e stretti vetri. 

Non mise en scene, ma mise en regard, sostiene il direttore Dercon nella sua presentazione alla stampa dell’esposizione dei 600 pezzi scelti fra i 4.500 che costituiscono il patrimonio della collezione qui ospitata dei quali, orgogliosamente, si rivendica la primogenitura in qualche modo, essendo la Fondazione un’istituzione che ha sempre promosso la produzione artistica e che qui, rimossi tutti i vincoli, così si sostiene, permetterà agli artisti di esprimersi con ancora maggiore libertà. Questa “machine a voir sur le quartier”, sempre nelle parole del direttore, si misura con una nuova scala, quelle urbana, con una grande esposizione (“Exposition générale” è stata chiamata a ricordare le vendite dei Grands Magasins), con un nuovo edificio, tale è l’isolato in pietra calcarea che mantiene dell’originale solo le fattezze esterne. 

 

 

Una fluidità fragile e qualche défaillance

Sono 6.500 metri quadrati, su 8.500 totali, dedicati all’esposizione e caratterizzati dalle 5 piattaforme mobili. 

Uno spazio libero attraversabile, si dichiara, ma forse più con lo sguardo che con il corpo; tali sono le grandi vetrate che permettono sì un gioco di rimandi visivi fra chi cammina all’esterno e chi all’interno, ma ribadiscono l’impenetrabilità dello stesso, a meno di essere dotati del fatidico biglietto d’ingresso, benintesi. Lo spazio è grande e indifferenziato, in qualche modo, e la possibile variabilità delle altezze non rimanda mai ad una possibile idea di leggerezza e libertà, vista la potenza e la dimensione della macchina scenica che rischia, in più modi, di sovrastare le opere che sono collocate nello spazio liberamente, quasi senza allestimento se non dove necessario per la loro natura e dimensione (quadri, fotografie), risolto con strutture fragili e che riportano ad anni passati ad opera di Formafantasma. 

Il nero è il colore predominante e, anche se si dichiara un grande possibile uso della luce naturale e una avversione al white cube, spesso ci si ritrova al buio in questa versione iniziale dell’esposizione generale che sfrutta anche piccole salette laterali – coperte di ricca moquette e con l’impianto di illuminazione tanto basso da poter essere toccato – e il lungo camminamento sotto il porticato esterno, brutalmente tagliato nel suo soffitto a voltine in mattoni e dedicato ad una lunga opera visiva e sonora. Senza entrare nella complessità del taglio curatoriale e delle opere esposte, ognuna con la propria storia meritevole di approfondimento, la grande macchina denuncia uno spirito sostanzialmente enciclopedico, tornando così ad una visione di catalogazione, lettura, comprensione e controllo del mondo sensibile che proprio sulle rive della Senna vide una delle sue espressioni più alte con l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert. 

Speriamo che dall’età di Lumi si tragga anche un po’ di (auto) ironia e che lo spirito di Voltaire e Jean-Jacques Rosseau scenda a creare dibattito, discussione, confronto e non solo esposizione. 

Immagine di copertina: Fondation Cartier pour l’art contemporain, Parigi, 2025 (© Alessandro Colombo)

Exposition générale

25 ottobre 2025 – 23 agosto 2026

Fondation Cartier pour l’art contemporain

2, place du Palais-Royal, Parigi

Informazioni

Autore

  • Alessandro Colombo

    Nato a Milano (1963), dove si laurea in architettura al Politecnico nel 1987. Nel 1989 inizia il sodalizio con Pierluigi Cerri presso la Gregotti Associati International. Nel 1991 vince il Major of Osaka City Prize con il progetto: “Terra: istruzioni per l’uso”. Con Bruno Morassutti partecipa a concorsi internazionali di architettura ove ottiene riconoscimenti. Nel 1998 è socio fondatore dello Studio Cerri & Associati, di Terra e di Studio Cerri Associati Engineering. Nel 2004 vince il concorso internazionale per il restauro e la trasformazione della Villa Reale di Monza e il Compasso d’oro per il sistema di tavoli da ufficio Naòs System, Unifor. È docente a contratto presso il Politecnico di Milano e presso il Master in Exhibition Design IDEA, di cui è membro del board. Su incarico del Politecnico di Milano cura il progetto per il Coffee Cluster presso l’Expo 2015

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Last modified: 22 Ottobre 2025