Una recentissima modifica tecnologica al Rifugio Pirovano di Franco Albini a Cervinia sollecita una riflessione sulla conservazione dell’architettura moderna
CERVINIA (Aosta). Alcuni edifici riescono a trasformare le forme tradizionali in qualcosa di originale, aprendo possibilità prima non immaginabili. È il caso del Rifugio Pirovano di Franco Albini, completato nel 1951 con Luigi Colombini, che non si limita a reinterpretare la baita valdostana ma inventa una nuova tipologia, un dispositivo architettonico complesso dove il rapporto con la strada, con la stratificazione dei diversi livelli della casa, e con la topografia diventa parte integrante del progetto.
Pluviali irrispettosi
Una recente modifica ai prospetti principali – che ha visto la sostituzione degli originali doccioni con grondaie a vista – solleva nuovamente il problema della conservazione, sua e dell’architettura moderna in generale. La questione della durabilità non è semplice per gli edifici esposti ai turbamenti ideologici del secolo breve e all’aleatorietà di tecnologie industriali sottoposte a degrado in breve tempo da un mercato in continuo cambiamento. Nati quasi involontariamente per collocarsi in un “eterno presente”, questi manufatti sono stati sottoposti a un’obsolescenza accelerata che li ha ridotti spesso a rovine parcellizzabili secondo le parti specialistiche in cui erano stati scomposti. Alcuni di essi dichiarano oggi uno stato di “frammento composito” coerente con la loro natura iniziale e sono oggetto di modificazioni spontanee attuate per parti e, a volte, completamente incongrue con le premesse originali. Per questa intrinseca fragilità, il loro adeguamento a nuovi standard deve operare con cura nel valutare cosa mantenere, cosa trasformare e in che modo risanare.
Ogni intervento sull’esistente richiede quindi estrema cautela: non si tratta, infatti, solo di conservare un’immagine ma piuttosto di rispettare un pensiero. È per questo che anche un dettaglio apparentemente marginale – come la sostituzione dei doccioni originari con pluviali incongrui – rischia di incrinare l’identità dell’opera. Se Albini ha saputo mettere in gioco un pensiero radicale per progettare una nuova forma di abitare la montagna, perché oggi, nel restaurare o adeguare edifici pionieristici come questo, ci si limita a soluzioni tecniche indifferenti al progetto originario? La questione non è di intangibilità del manufatto ma di metodo: prima di intervenire su un’architettura di valore bisognerebbe chiarire se si tratta di un caso da conservare nella sua integrità o se invece occorra un “adeguamento ragionato” alle nuove esigenze. Solo dopo questa scelta preliminare ha senso progettare restando fedeli allo spirito dell’opera, con cura e originalità. Nel caso del Rifugio Pirovano non è difficile concludere che siamo di fronte a un edificio che meriterebbe la prima opzione: una tutela piena e rigorosa.
A Cervinia un’opera esemplare di Franco Albini
L’Albergo-Rifugio per Ragazzi Pirovano rappresenta una decisa alternativa all’edilizia di condomini alti che hanno segnato il massimo sviluppo di Cervinia durante il boom economico. Diventa termine di paragone per capire la natura di un luogo nato moderno e condannato a decadere con la crisi del turismo di massa.
Nel 1946 Giuseppe Pirovano, celebre guida alpina e maestro di fiducia di Albini, commissiona all’architetto una casa per la sua famiglia con annessa sede della scuola di sci. Da questo incarico nasce invece un progetto di respiro più ampio: un albergo-rifugio per ragazzi in cui il privato diventa collettivo. L’edificio sorge su un ripido declivio, raggiungibile dalla strada che risale con tornanti i due fronti. Albini parte dalla tipologia semplice della baita in legno dell’arco alpino (alcuni storici hanno riconosciuto anche il rimando alla cultura Walser), ma la trasforma attraverso un esercizio di scomposizione e invenzione. Sul lato ovest, affacciato verso Cervinia, un basamento funzionale accoglie i negozi, il locale caldaia al piano terreno, l’ingresso, i ripostigli e la cucina al primo piano, collegati da un sentiero pedonale. Sopra, un primo deck ligneo sorretto da quattro colonne cilindriche giganti in pietra segna il passaggio al livello del soggiorno, proiettato a sud in un ampio solarium. Le camere e i dormitori comuni si trovano al terzo piano e nel sottotetto, circondati anch’essi da un terrazzo ligneo a sbalzo che si connette al retrostante ingresso a monte.
Se la forma generale richiama un parallelepipedo in legno con tetto a due falde, Albini la articola in tre campate angolate a zig-zag sui fronti. Anche il tetto si inclina lungo le linee di colmo e di gronda, creando un ibrido tra la copertura tradizionale e degli shed moderni. Le proiezioni del fronte ricordano bow-window, formando nicchie che accolgono le colonne in pietra staccate dalla facciata. In ognuna di esse le aperture alternano una finestra con soprafinestra e una porta vetrata a tutta altezza. Colonne in pietra, legno e scandole provengono dall’architettura tradizionale valdostana, ma la citazione è solo apparente: il rifugio è in realtà una macchina complessa che unisce molteplici funzioni in un guscio che a prima vista si presenta familiare. Albini rifiuta l’idea che il condominio multipiano sia l’unico modello di sviluppo turistico. Parte dalla casa singola come matrice che sviluppa in un linguaggio capace di dialogare con il paesaggio senza cadere nel folclore vernacolare.
Il rifugio è al tempo stesso baita, case a schiera, grattacielo in miniatura e infrastruttura che “contiene” il declivio con colonne e deck: abitato in basso dalle parti funzionali e in alto da una casa sospesa. Temi come la levitazione verticale, la proiezione verso il paesaggio, il contrasto tra pesante e leggero sono orchestrati in una sintesi originale che apre la strada a molteplici letture. Nel suo protendersi verso l’esterno si legge un dialogo con la piccola realtà urbana di Cervinia del tutto assente nei coevi condomini a grande scala.
Patrimoni da rispettare
Oggi questo equilibrio è stato compromesso: i doccioni originali che scaricavano l’acqua dai tetti sfalsati sul fronte strada sono stati sostituiti da una grondaia diagonale collegata a tre discendenti verticali in rame che scendono davanti ai terrazzi e alle colonne di pietra, ignorando completamente la logica compositiva di Albini. Due sono identici mentre quello d’angolo segue persino un percorso diverso. Il risultato? Il fronte principale del Rifugio Pirovano è stato alterato in modo evidente. Era davvero necessario? E, se sì, non era possibile intervenire con un progetto rispettoso delle linee di un capolavoro dell’architettura alpina moderna? Qui sembra non esserci stato nemmeno un progettista: solo una ditta di lattonieri.
Così si tutela l’architettura in Italia? Sembra nuovamente indispensabile ricordare, anche in vista delle prossime Giornate Europee del Patrimonio del 24-25 settembre, che ogni modifica deve essere il risultato di un progetto consapevole, capace di rispettare l’identità e la materia di un edificio. Non basta “riparare”: occorre avere la stessa cura e lo stesso coraggio progettuale che Albini ebbe nel reinventare con sensibilità e visione la casa di montagna.
Immagine di copertina: il Rifugio Pirovano di Cervinia, con i nuovi pluviali in facciata, 2025 (@Pietro Valle)
About Author
Tag
architettura montana , cervinia , conservazione , Franco Albini , patrimonio , restauro , restauro del moderno , rifugio pirovano
Last modified: 2 Settembre 2025