Nella confusione della Milano del Fuorisalone alcuni programmi culturali con firme eccellenti
MILANO. Nel rutilante mondo della Design Week è possibile scoprire (anche) piccole mostre di alto profilo.
Robert Wilson, Mother. Per conoscere la luce bisogna sperimentare il buio.
Dall’oscurità silente nasce la performance che Robert Wilson ha immaginato dialogando con la pietà Rondanini, circondata dalla musica dello Stabat Mater di Arvö Part.
Una lunga introduzione fatta di buio assoluto e silenzio profondo introduce, prendendo tutto il tempo necessario, alla luce che fa il suo ingresso nello spazio, che ha ormai perso le dimensioni usuali, da una finestrella che i secoli hanno lasciato sulla parete di fondo dell’antico Ospedale Spagnolo, collocato al piano terra dell’ala sud-occidentale del Castello Sforzesco.
Dalla finestrella la luce entra, introdotta dal suono sottile delle voci e degli archi, ed inizia e disegnare e a svelare l’opera di Michelangelo, partendo dai volti appena intelleggibili della Madre che sorregge il Figlio morto.
Il tempo scorre e con esso i pensieri degli spettatori che, correttamente seduti in una posizione frontale, osservano la luce farsi strada nell’oscurità, e il disegno apparire per diventare volume. Non si tratta di una performance, ma di un tempo di riflessione dato a tutti per raccogliersi di fronte ad un’opera che, prima che sacra, è umana nel ritrarre il dolore di una madre per la morte del proprio figlio, facendo di questo sentimento un valore universale e, forse solo a questo punto, religioso.
L’uso del buio, e parimenti della luce, restituisce la Pietà Rondanini a quell’abbraccio, a quella protezione che l’abbandonato allestimento dei BBPR così bene aveva realizzato all’indomani della felice acquisizione della scultura di Michelangelo da parte del Comune di Milano nel 1952.
Un’occasione da non perdere, per godere del buio, leggere la luce, riflettere accompagnati dal disegno, dalla scultura e dalla musica che qui trovano il tempo e lo spazio a loro e a noi congeniali.
Gio Ponti e l’Enrico IV di Pirandello. Un rotolo e una scena
Nel 1941, in una Milano già segnata dal conflitto mondiale, Gio Ponti affida ad un lungo rotolo di carta da spolvero le sue idee per una scenografia dell’Enrico IV di Pirandello.
Si tratta di un manoscritto, ma anche di un abaco – potremmo dire uno storyboard sui generis – che percorre tutti i momenti della rappresentazione ed è ricco di indicazioni di regia come di commenti e suggerimenti per la messa in scena, oltre alle ovvie indicazioni di progetto per le scene. Un reperto straordinario, gelosamente custodito dal nipote, Salvatore Licitra, nei Gio Ponti Archives che hanno sede, naturalmente, in quell’edificio di Via Dezza a Milano nel quale l’architetto abitò sino alla scomparsa.
L’idea alla base di una piccola, ma preziosa mostra curata da Margherita Palli con l’aiuto di alcune studentesse dell’Accademia, nel campus NABA, è quella di ricostruire l’episodio iniziale dell’ingresso di Bertoldo seguendo le indicazioni dello stesso Ponti, ed utilizzando come materiale di scena il rotolo di carta che, dispiegandosi, prende forma e costruisce lo spazio.
Una bella prova di come si possa entrare nell’offerta culturale delle settimane dell’arte e del design di Milano anche con i non infiniti mezzi di una Accademia che guarda al progetto nella sua globalità dimostrando che, come afferma Margherita Palli, “disegnare una scena, un costume, scattare una fotografia, progettare un tavolo o un edificio, rientra tutto nella medesima estetica definendo una linea di continuità artistica. Insieme agli studenti del Triennio in Scenografia, con i suoi indirizzi di Teatro e Opera, e Media ed Eventi, abbiamo accolto la sfida di scardinare le discipline e abbattere i compromessi per abbracciare lo spirito umanista di Ponti”.
Oscar Niemeyer. I progetti italiani
13 proposte, 4 realizzate e 9 no, costituiscono una mappatura ed un inventario dei progetti italiani, illustrati dai piccoli e preziosi disegni autografi, riprodotti in copia espositiva, del grande architetto brasiliano.
Presentati in raffinate sequenze che, con poco clamore ma molta sostanza, illustrano precisamente il pensiero e l’approccio progettuale, sono edifici noti e notissimi, la Mondadori di Segrate (nel 50esimo anniversario della sua costruzione), l’Auditorium di Ravello, come proposte quasi sconosciute, dal World trade Center di Milano al Complesso polivalente di Este.
Su tutti spicca il segno sicuro del ponte dell’Accademia, tracciato con un arco coperto a collegare le due sponde del Canal Grande. Ed è proprio il tratto essenziale, sintetico, ma perfettamente adatto a collocare le forme nello spazio, ciò che più colpisce nei disegni.
Ancora oggi, a decenni di distanza, impressionano come quando si assisteva alle sue conferenze dove (su un grande blocco di carta sempre insufficiente a raccogliere le volute tracciate col pennarello nero) la mano e la parola di Niemeyer rendevano il percorso dall’idea alla realizzazione di ogni progetto di una disarmante ed inevitabile semplicità.
Oscar Niemeyer in Italia, a cura di Francesco Perrotta-Bosch, Galleria ETEL
Immagine copertina: Robert Wilson. Mother – Museo della Pietà Rondanini Castello Sforzesco Salone del Mobile.Milano 2025
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design , gio ponti , Milano , oscar niemeyer , pieta rondanini BBPR , Robert Wilson
Last modified: 16 Aprile 2025