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Laura MilanWritten by: Patrimonio

Slittovia al Lago Nero di Carlo Mollino, la vendetta del folklore

Slittovia al Lago Nero di Carlo Mollino, la vendetta del folklore
La recentissima e discutibile trasformazione del celebrato edificio a Sauze d’Oulx (ri)apre molti interrogativi sulla tutela dell’architettura contemporanea

 

SAUZE D’OULX (TORINO). In un tiepido pomeriggio di febbraio, dalle piste da sci sopra Sauze d’Oulx, finalmente un poco innevate nell’ennesimo inverno caldo e senza precipitazioni, giungono dall’architetto Enrico Giacopelli alcune immagini dell’ex slittovia al Lago Nero di Carlo Mollino, da qualche anno tornata a nuova vita come chalet punto di ristoro sulle piste grazie anche all’impegno del Comune.

Rispetto al progetto originale, completato nel 1947 e filologicamente restaurato tra 1999 e 2005 da Giovanni Brino e Giorgio Raineri dopo decenni di grave abbandono, la nuova funzione aveva richiesto qualche, accettabile, modifica. Lo spazio sottostante la terrazza solarium posteriore, sorretto dai due candidi e plastici pilastri a sezione variabile in cemento armato, era stato chiuso per incrementare la superficie protetta a disposizione. Necessaria mediazione con le esigenze contemporanee sono stati pannelli di vetro trasparente ritratti anche nelle immagini dell’Atlante Architettura contemporanea della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura (2018). Chiudevano nel modo meno invasivo possibile uno spazio minimale e aperto alla vista, dall’interno e verso l’esterno, in cui continuavano a dominare la luce naturale, il bianco della neve e delle superfici cementizie e il colto opus incertum in pietra naturale della pavimentazione, esteso alle due basi di appoggio dei pilastri.

 

Più legno per tutti

E adesso cosa succede? Più legno per tutti. Sembra questo il leitmotiv di un recentissima trasformazione che tradisce l’edificio, vanifica i risultati di un attento restauro e delle moderate modifiche, finora rispettose, portate dalla nuova funzione.

Una rozza, alta e visibilissima staccionata di legno, funzionale al passaggio di reti che aiutano la ricarica dei dispositivi elettronici, è stata posizionata dietro ai vetri, schermando uno spazio interno che, accessibile lato pista da una nuova porta dal pesante telaio, è oggi completamente cambiato: poca vista, poca luce, zero dialogo con l’esterno e nessun minimalismo.

Sotto nuovi set di sedie e tavolini, superfici in legno effetto “Pinterest alpino” dominano ovunque, annegando anche i pilastri su cui si regge una parte importante dell’idea progettuale: perché lasciarli a vista quando possono essere messi, anche loro, a servizio? Trasformati in sedute per una pausa veloce o inglobati da un invadente nuovo bancone che chiude la vista quasi da pavimento a soffitto.

Cosa avrebbe detto un Mollino spesso caustico che, deluso e amareggiato, definisce “capponaia” addirittura il Palazzo del Lavoro di Pier Luigi Nervi? E cosa avrebbe fatto se gli fosse stato chiesto di impostare un intervento che, ne siamo quasi certi, avrebbe accolto con favore? Del resto il volume superiore già era nato come un bar ristorante servito dalla grande terrazza esposta al sole…

Tutto sembra completamente reversibile. Ma lo è anche la nuova canna fumaria che, sbucando dal basamento, sta annerendo il blockbau di tronchi massicci di legno che Mollino volle all’esterno della baita superiore? Si potrà poi ripristinare la superficie senza danneggiarla? E perché ripristinare quando si può evitare il danno?

 

La necessità di una vera tutela

Il fatto, inconfutabile, è che l’ex slittovia che oggi si presenta agli occhi di sciatori e appassionati di trekking montano è molto cambiata. La completa assenza di un progetto zavorra pesantemente a terra la leggerezza e lo slancio caratteristici delle architetture di Mollino, compiendo poche scelte sbagliate, sciatte e di gusto discutibile, sebbene interne e reversibili.

E solleva, con forza, non pochi quesiti sulla conservazione dell’architettura contemporanea, sui suoi usi e riusi, auspicati e necessari, e sul difficile equilibrio tra nuove funzioni e rispetto per il patrimonio.

L’ex slittovia al Lago Nero è leggerezza e grazia, eleganza nelle proporzioni, nuovo dialogo tra tradizione e modernità, scelta e utilizzo dei materiali, attenzione precisa e perfetta al complesso incastro tridimensionale di volumi frutto di un lungo lavoro progettuale. Dà forma a capacità immaginativa e a un lungo ed elaborato percorso di ricerca per nuove architetture che devono essere in grado di rispondere alle richieste di contesti alpini in trasformazione, in cui sorgono rapidamente nuove stazioni per gli sport invernali, piste da sci, strade, spettacolari funivie e nuovi edifici a servizio di una vita sulle vette tutta da inventare.

Subito celebrata come “trasfigurazione della baita intesa non in senso folkloristico ma in sintesi con il senso dell’architettura d’oggi”, ha avuto una fortuna critica quasi eccezionale, che l’ha resa universale icona di una nuova stagione dell’architettura montana.

 

Codice dei Beni Culturali, è stato applicato?

È un patrimonio che deve essere rispettato, difeso e tutelato. È stato applicato il Codice dei Beni Culturali, che impone automaticamente la tutela degli edifici pubblici (lo chalet lo è, secondo la scheda del Censimento delle architetture italiane dal 1945 a oggi del Ministero dei Beni Culturali), costruiti da più di 70 anni da autori non più viventi? La Soprintendenza è stata interpellata per un parere?

La sorpresa infoltisce le domande su un edificio che anche lo stesso Comune di Sauze d’Oulx definisce sul suo sito “una delle più importanti opere d’architettura moderna presenti nel nostro paese”.

Qual è il limite da non superare quando per l’architettura cambiano contesti e richieste? Poteva essere considerata (o richiesta) una soluzione alternativa per i nuovi spazi di un’attività commerciale che innegabilmente tiene in vita l’edificio? Quale sensibilità e cultura sarebbero necessarie, da parte dei progettisti ma anche delle amministrazioni locali e dei committenti, per edifici tanto celebrati quanto delicati? Come dimostra anche l’esempio torinese della più recente sala danze Attilio Lutrario, progettata da Mollino con Carlo Alberto Bordogna tra 1959 e 1960 e mantenuta in vita dai gestori con il maggior rispetto possibile e ben pochi aiuti, servono riconoscimento e maggiori supporti perché anche un vincolo, in sé, serve a poco.

Come si può guidare e sostenere i privati nella realizzazione degli interventi più corretti? Senza questo, il rischio è che il patrimonio contemporaneo rimanga sempre sospeso tra un futuro museale, lo svilimento e la perdita.

 

 

 

Autore

  • Laura Milan

    Architetto e dottore di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica, si laurea e si abilita all’esercizio della professione a Torino nel 2001. Iscritta all’Ordine degli architetti di Torino dal 2006, lavora per diversi studi professionali e per il Politecnico di Torino, come borsista e assegnista di ricerca. Ha seguito mostre internazionali e progetti su Carlo Mollino (mostre a Torino nel 2006 e Monaco di Baviera nel 2011 e ricerche per la Camera di Commercio di Torino nel 2008) e dal 2002 collabora con “Il Giornale dell’Architettura”, dove segue il settore dedicato alla formazione e all’esercizio della professione. Dal 2010 partecipa attivamente alle iniziative dell’Ordine degli architetti di Torino, come membro di due focus group (Professione creativa e qualità e promozione del progetto) e giurata nella nona e decima edizione del Premio architetture rivelate. Nel 2014 costituisce lo studio associato Comunicarch con Cristiana Chiorino

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Last modified: 5 Marzo 2025