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Veronica RodenigoWritten by: Interviste

La Biennale di Carlo Ratti: Installazione? No, necessaria sperimentazione

La Biennale di Carlo Ratti: Installazione? No, necessaria sperimentazione
A colloquio con il curatore (primo italiano dopo 25 anni) che ci racconta, in anteprima, tutta la sua 19° Mostra Internazionale di Architettura di Venezia

 

VENEZIA. Inquietanti quesiti agitano il nostro presente. Come sarà il clima di domani? Cosa accadrà nell’oscillazione tra picco e crollo demografico? Come rispondere alla sfida di elaborare soluzioni sostenibili in un mondo da una parte consapevole di essere prossimo ad un punto di non ritorno eppure in continua accelerazione? La 19° Mostra Internazionale di Architettura di Venezia curata da Carlo Ratti (che aprirà al pubblico il prossimo 10 maggio), prova ad affrontare l’attualità del nostro tempo, non senza un approccio ottimistico.

Il concept elaborato da Ratti parte dall’emergenza climatica e prova a reagirvi portandoci nell’era dell’adattamento. L’architettura, è “al centro”, unica  disciplina in grado di ricostruire e riadattare ma non da sola. Le voci diverse provengono dal mondo della scienza, dell’ingegneria, delle nuove tecnologie e da una molteplicità di discipline di cui oramai, non è più possibile non servirsi.

L’architetto, così coadiuvato, si fa agente mutageno. Il pubblico si prepari a nuovi materiali ma sorti da riutilizzo e scarto, a robot umanoidi e avveniristiche visioni in un allestimento frattale fatto di sperimentazioni (vietato chiamarle installazioni!) pensato come “un grande organismo animale che colonizza le Corderie”.

E a progetti che, fuoriuscendo dai consueti confini, abiteranno anche una parte di Piazza San Marco ed altri spazi pubblici veneziani per “entrare in collisione” con pubblici diversi.

 

Architetto, in questa 19° edizione lei porta gli esiti delle sue ricerche: la città è concepita come un organismo vivente e i diversi tipi di intelligenza sono il mezzo per poterla leggere e comprendere. Centrale è il tema della sostenibilità ma per affrontarlo lei afferma non essere più sufficiente la mitigazione bensì l’adattamento. Quali sono le priorità di questo processo?

Quando si parla di cambiamento climatico, mitigation e adaptation sono le due parole chiave. Mitigare significa ridurre il peso dell’architettura sul pianeta, ridurre le emissioni. È un tema con cui l’architettura si è cimentata da molto tempo, anche prima degli anni Novanta. Creare edifici più sostenibili è ancora molto importante però dobbiamo essere consci che l’architettura non è che uno tra i tanti attori quando si tratta di mitigare un’emissione. Arrivati a questo punto, molti aspetti del clima stanno sfuggendo di mano. Basti pensare a quanto è recentemente successo a Los Angeles, a Valencia, negli ultimi anni in Sicilia. A Rio de Janeiro, nel nostro ufficio, qualche mese fa la temperatura percepita era di 60 gradi. Dobbiamo rispondere a tutto questo. E la risposta è tutta nell’architettura, in chi si occupa di costruire e ricostruire. L’architettura dev’essere in questo caso, disciplina centrale che, insieme all’ingegneria, alla scienza e ad altre discipline deve replicare ai cambiamenti in corso, alla priorità di ripensare e riadattare ciò che costruiamo. Per farlo deve anche chiamare a raccolta diversi tipi di intelligenza: naturale, artificiale e collettiva, quelle che esploreremo quest’anno.

Venendo al ruolo dell’architetto, per Lesley Lokko questa figura rientrava in una più vasta compagine, quella dei practictioners. Per lei in questa edizione l’architetto si fa “agente mutageno”. In che modo?

Sono partito da una constatazione su cui molti hanno scritto, penso ad esempio a Samuel Butler quando, a metà ottocento, pubblica Darwin among the Machines. Il modo in cui si sviluppa ed evolve il mondo dell’artificiale è molto simile ai meccanismi che stanno alla base del mondo naturale. Che cosa può fare l’architettura (intesa senso lato) in questo caso? Può permettere di testare soluzioni nuove. Questo è quello che vedremo in Biennale chiamando a raccolta discipline e figure diverse (ci saranno molti premi Nobel, premi Pritzker ma anche giovani laureati, ricercatori e progettisti). Si tratta di una varietà per sviluppare soluzioni rispetto ad un contesto in cambiamento. Certo non troveremo una soluzione per tutto il mondo ma soluzioni locali che andranno declinate in modo diverso in varie parti del mondo.

Tornando a quanto anticipato in conferenza stampa, l’allestimento sembra prediligere le installazioni

Più che di installazioni, a parte le prime due, parlerei di test da laboratorio, come degli elementi, dei frammenti del mondo costruito (che chiaramente non possono entrare nelle Corderie a scala completa) su cui si sperimenta. Pensiamo ad esempio al lavoro di Kengo Kuma e del suo team: ci dice come possiamo costruire un edificio che usi la complessità della natura di un albero e parte da quello, anziché doverlo segare e ridurre ad assi squadrate. Non le chiamerei quindi tanto installazioni quanto sperimentazioni.

Come reagirà secondo lei il pubblico a queste sperimentazioni? Il rischio a volte è quello di non riuscire a dialogare, di creare un gap

Di solito gli architetti non sono tanto propensi a chiedere al pubblico cosa ne pensi…in questo caso possiamo solo attendere i commenti. Del resto mi attendo un pubblico molto più vasto ed eterogeneo. Il tema tocca tutti noi e coinvolge molte comunità. Mi riferisco anche agli incontri di People meet in architecture e a mondi diversi come COP 30 (con un progetto su come utilizzare il design in maniera più sostenibile nell’Amazzonia) e UN-Habitat (il programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani, nda). La soluzione allestitiva sviluppata con Studio Sub (Berlino), pensata come grande organismo, un grande animale che colonizza le Corderie, spero aiuti a rendere il tutto più comprensibile. Si tratta di un meccanismo frattale che premette di riconciliare le diverse fruizioni. Anche in una possibile fruizione veloce spero possa essere chiara la gerarchia nell’allestimento. Mi è sempre piaciuta l’idea di quel film di Jean-Luc Godard Bande à part, quel gioco di vedere il Louvre in pochi minuti…

La sua sarà anche una Biennale partecipata e diffusa al di fuori dei consueti confini per supplire alla chiusura del Padiglione Centrale. Non ci ha detto però dove disseminerà questi contenuti…

Diverse cose troveranno collocazione ai Giardini, altre all’Arsenale e altre ancora saranno sparse per Venezia. Molto è ancora sotto embargo ma posso fare una piccola anticipazione: si tratterà di spazi pubblici e non privati, accessibili a tutti. Avremo anche un progetto in Piazza San Marco e in uno spazio di libero accesso allo IUAV. È vero che la Biennale d’Architettura non è il magnete che attrae coloro che scendono dalle grandi navi. E allora quello che cercheremo di fare sarà interagire con questi pubblici diversi che a Venezia ci sono e che spesso non entrano in collisione. A questo si presterà Busting Bubble ma non posso ancora dire molto…Un altro progetto verrà portato per una settimana a Venezia e poi veleggerà a Belém in Brasile per restarvi come pezzo d’infrastruttura culturale.

Alla fine, come vorrebbe venisse ricordata la sua Biennale?

Direi con due concetti: architettura al centro e adaptation. Ossia preoccupiamoci di come adattarci ad un pianeta che sta cambiando.

 

Immagine di copertina: Carlo Ratti a Venezia, (foto di Andrea Avezzù, courtesy La Biennale di Venezia)

Autore

  • Si laurea nel 2002 in Lettere Moderne (indirizzo storico-artistico) all’Università degli Studi di Trieste con una tesi di ricerca in Storia Medievale. Dopo un master in Art and Culture Management al Mart di Rovereto e uno stage presso “Il Giornale dell’Arte” (Società Editrice Umberto Allemandi & C, Torino) alterna didattica e collaborazioni editoriali ad attività di comunicazione e ufficio stampa. Attualmente svolge attività giornalistica occupandosi di temi artistico-culturali. Dal 2008, a seguito di un’esperienza in redazione, collabora con "Il Giornale dell'Architettura" per il quale segue fiere di settore e format speciali. Nel 2016, in occasione della 15. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, ha ideato e gestito il progetto “Speciale Biennale Live”. È corrispondente de "Il Giornale dell’Arte” e curatore del supplemento “Vedere a Venezia”

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Last modified: 12 Febbraio 2025