Uno dei film dell’anno racconta la storia (verosimile ma non reale) di un architetto moderno ungherese. Tanti riconoscimenti e altrettanti dubbi sulla ricostruzione storica
Arriva ad inizio febbraio nei cinema italiani The Brutalist. Il film di Brady Corbet è, con le sue 10 nomination, tra i grandi favoriti dei premi Oscar, gli Academy Award, che si assegnano ad inizio marzo. La storia dell’architetto László Tóth (Adrien Brody) ha incantato pubblico, critici e accademici in maniera inversamente proporzionale a quella di Cesar Catilina (Adam Driver) del film Megalopolis di Francis Ford Coppola, uscito quasi in contemporanea (qui la nostra recensione).
Gli USA degli anni ’50, in Ungheria
Festival di Cannes (Megalopolis) contro Mostra d’arte Cinematografica di Venezia (The Brutalist, Leone d’Argento per la miglior regia). Due progetti diversi che hanno in comune una complicata gestazione, parti difficili con molti ripensamenti, riscritture, cambi di protagonisti e luoghi di ripresa. Per ricreare l’America degli anni ’50 i produttori di The Brutalist hanno scelto l’Ungheria, Budapest in particolare. Curioso, visto che il protagonista è proprio un ebreo ungherese sopravvissuto all’Olocausto in fuga negli Stati Uniti. Le vie del cinema sono infinite.
Nel film aleggia, ma non più di tanto, la Bauhaus, la scuola di arte e design chiusa nel 1933 a Berlino perché invisa al nazionalsocialismo. La generazione degli architetti figli di quella cultura si è sparsa in tutto il mondo e proprio in America più che altrove ne sono stati rielaborati i principi.
Tra progetti e migrazioni, quei racconti eroici
La scelta del protagonista di lavorare negli USA e non in Israele, meta di tanti suoi colleghi dopo la guerra, è la chiave della trama e della sua personalità. Qualche critico ha richiamato alla memoria The Fountainhead (King Vidor, 1949) e per certi versi il paragone regge.
L’America che accoglie l’immigrato in cerca di fortuna e pace è la stessa. L’architetto è paladino di sé e delle proprie idee. Un Don Chisciotte geniale contro i mulini a vento dell’affare, dell’opportunismo, della morale. László Tóth combatte, perde, fugge, ritorna, vince, riperde, rivince. Lo fa in un paese che rimane a lui straniero, che gli restituisce il sentimento di immigrato.
Per tema e affinità storiche, ma anche professionali, mi piace citare due film di Amos Gitai che rappresentano l’altra faccia della stessa medaglia, quella cioè degli architetti che scelsero di tornare in Israele alla sua formazione nel 1948. La storia del padre del regista, architetto, raccontata nel docufilm Lullaby to my father (2011) e nel lungometraggio Eden (2001), è allo stesso modo eroica, idealista, così dannatamente architettonica.
Ricostruzioni approssimative
Il termine brutalista del titolo non è solo riferito al béton brut delle architetture ma soprattutto alla società in cui si trova ad operare il protagonista. Non essendo un critico cinematografico – ma un ricercatore e osservatore delle pellicole che hanno come protagonista un architetto – mi riservo di muovere qualche critica al modo in cui è stata rappresentata la professione. Non mi ha proprio convinto. I vestiti, i disegni, gli schizzi, i plastici, il design, le foto, i materiali, i cantieri sono approssimativi. Forse ci si doveva rivolgere a qualche progettista, magari d’esperienza, per immaginare le architetture nel film. Come aveva fatto Lars von Trier nel 2018 in La casa di Jack, quando chiese a Bjarke Ingels di progettare una casetta fatta con corpi umani congelati. L’ingegnere, che voleva essere architetto, omicida seriale, alla fine del film ci riesce.
Pare che in The Brutalist la produzione e il regista abbiano fatto uso dell’AI, l’intelligenza artificiale, per alcune parti di dialogo e per i disegni. Direi risultato pessimo. Il film termina con l’architetto ormai anziano che viene celebrato alla prima Biennale Architettura di Venezia nel 1980. Non so se il direttore Paolo Portoghesi avrebbe celebrato l’opera di László Tóth. Sarebbe stato interessante chiederglielo ma ahimè non si può più.
Immagine copertina: una scena di The Brutalist
The Brutalist, di Brady Corbet, 2024, USA, 215 minuti
Distribuito in Italia da Universal Pictures
Terminata la Seconda guerra mondiale, l’ebreo ungherese László Tóth, architetto della Bauhaus scampato a Buchenwald, emigra negli Stati Uniti. Nell’attesa che sua moglie Erzsébet ottenga il visto per raggiungerlo, si cimenta in piccoli progetti di design d’interni e ristrutturazioni, dando prova delle sue nuove sensibilità brutaliste nate dall’esperienza dell’Olocausto: attira così l’attenzione del ricco mecenate Harrison Lee Van Buren che gli commissiona un ambizioso progetto architettonico.
Eden, di Amos Gitai, 2001
Ebrei di origine americana, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, l’architetto Dov Ernst e la moglie Samantha si trasferiscono in Palestina. Dov vuole dedicare la vita alla costruzione di un nuovo Stato, la moglie cerca di aiutarlo benché sia trascurata. Pure il fratello di lei lascia gli Stati Uniti per la Palestina con l’intenzione di realizzare profitti acquistando terre dagli arabi. Quando scoppia la guerra e dall’Europa arrivano notizie terribili sulla sorte degli ebrei, Dov decide di arruolarsi e parte per combattere i nazisti.
Lullaby to My Father, di Amos Gitai, 2012
Ninnananna per mio padre. La storia del padre del regista, Munio Weinraub, e dei problemi che ebbe con il regime nazista. Weinraub fu accusato di tradimento contro il popolo tedesco ed espulso dalla Germania. Girò per l’Europa arrivando infine in Palestina, dove mise a frutto i suoi studi in architettura dando un importante contributo al nascente stato di Israele.
The House that Jack Built, di Lars von Trier, 2018
La casa costruita da Jack. Jack è un ingegnere che avrebbe voluto essere architetto perché per lui i secondi scrivono la musica mentre i primi si limitano a leggerla. Von Trier, in questo film, ancora una volta, si sdoppia, si potrebbe affermare che vuole essere architetto e ingegnere dell’esistenza e lo fa attraverso le due figure di Jack, l’omicida seriale, e di Verge, il Virgilio che ha il compito di portarlo all’inferno.
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cinema , film , modernismo , mostra del cinema di venezia , premi oscar , quo vadis architetto
Last modified: 27 Gennaio 2025