Simbolo di una storia millenaria, ma anche del famoso protocollo ambientale del 1997, oggi affronta un turismo che mette a rischio la sua identità
“Per milioni di persone Kyoto rappresenta la culla dell’arte e delle tradizioni estetiche di vita, per altri milioni è il centro visibile della fede, per altri ancora la città della cultura, sia umanistica che scientifica”.
(Fosco Maraini, Le ore giapponesi, 1957)
Città millenaria fra cultura e spiritualità
KYOTO. Antica capitale imperiale del Giappone dal 794 al 1868, è custode di un patrimonio culturale e spirituale straordinario, con oltre 1600 templi buddisti e 400 santuari shintoisti. Sospesa tra un immobile passato ed un incerto presente, la città si trova ancora oggi ad affrontare le numerose sfide della modernizzazione. A segnare il primo impatto con la città è infatti la stazione dei treni Shinkansen, che in sole due ore collega Kyoto alla capitale. Progettata dal visionario architetto Hiroshi Hara (da poco scomparso), la struttura, con il suo imponente scheletro d’acciaio, è al contempo simbolo e contraddizione del miracolo economico giapponese del tardo Novecento.
Superato lo sconcerto iniziale e le code interminabili per autobus e taxi, che trasportano turisti verso hotel e ryokan, la città, caratterizzata da un rigido reticolo a scacchiera risalente al periodo Heian (794-1185), si svela gradualmente e senza particolari sorprese. Mentre la vita nel centro è vivace e variegata, i luoghi più suggestivi si trovano a ridosso delle colline orientali e occidentali, che cingono l’area urbana.
L’Est di Kyoto, dove la tradizione incontra la natura
Questo breve viaggio comincia dal tempio zen Ginkaku-ji, noto anche come Padiglione d’Argento. Costruito originariamente come residenza nel 1460 e situato al termine della nota Passeggiata del filosofo, questo sobrio padiglione ligneo incarna perfettamente la visione estetica giapponese del wabi-sabi, che celebra l’imperfezione e la caducità. La bellezza del complesso architettonico e dei suoi giardini non viene mai ostentata, e si inscrive silenziosamente nel paesaggio collinare, come ci ricorda ancora Fosco Maraini: “Nel giardino orientale, la natura può dirsi vinta due volte, una prima perché modellata dall’uomo, una seconda perché non le si permette minimamente di mostrarlo”.
Attraversando le affollatissime strade di Ninenzaka e Sannenzaka, il Kiyomizu-dera si erge poco lontano, offrendo una vista unica sulla città e sul paesaggio circostante, con la sua terrazza sospesa su imponenti colonne e travi in legno. Situato ai piedi del Monte Otowa e con oltre 1200 anni di storia, il tempio buddista è dedicato alla dea Kannon e fa parte di un complesso architettonico e paesaggistico patrimonio Unesco, di incomparabile valore.
“Ciò che rendeva quel capolavoro di ingegneria lignea ancora più perfetto dei nostri marmi classici o rinascimentali era al tempo stesso l’umiltà e la maestosità del materiale, enormi blocchi lignei incastrati uno nell’altro e appoggiati, niente altro che appoggiati su un piede di marmo nel terreno”, scriveva Goffredo Parise, in L’eleganza è frigida, nel 1982.
Proseguendo verso sud, il santuario shintoista Fushimi Inari-taisha, cattura l’attenzione della maggior parte dei visitatori, trasformando la salita al Monte Inari una lunga carovana di turisti, una sorta di Torre di Babele in cui risuonano distintamente tutte le lingue del mondo. Dal portale Romon d’ingresso, datato 1589, una sequenza interminabile di torii color vermiglio accompagna e delimita il sentiero, alternando ripidi pendii a luoghi di raccolta. Statue delle sacre volpi (kitsune), messaggere di Inari (divinità della fertilità e del riso), vegliano l’ascesa e il cammino di rinnovamento spirituale… a condizione di estraniarsi dalla folla rumorosa.
L’Ovest di Kyoto, simbolo della perfezione e del vuoto
Dirigendosi a nord-ovest, si raggiungono due dei siti più emblematici: il Kinkaku-ji (Padiglione d’Oro) e il Ryōan-ji (Giardino secco Zen). Il Kinkaku-ji, oggi tempio Zen Buddhista ma originariamente residenza dello shogun Ashikaga Yoshimitsu del XIV secolo, è interamente ricoperto in foglia d’oro. Riflesso sullo stagno antistante, appare come un’immagine sospesa tra il mondo fisico e quello spirituale. Parafrasando Roland Barthes, il padiglione «ci parla direttamente, ma sempre sotto forma di un messaggio che dobbiamo decifrare». Messaggio che non si limita all’armonia delle forme, ma esprime un ideale di perfezione tipicamente orientale, capace di trascendere la materialità.
Poco lontano, il Ryōan-ji ospita il giardino Zen più famoso al mondo, caratterizzato da 15 rocce disposte in cinque gruppi (5-2-3-2-3) su un manto di sabbia bianca. Questo giardino secco incarna l’essenza del pensiero filosofico Zen e invita a una riflessione sulla composizione e la percezione. Tra le sue più preziose testimonianze, si ricordano le fotografie di Carlo Scarpa, scattate sul finire dell’estate 1969.
Al termine del viaggio, Villa Katsura, costruita nel XVII secolo per la famiglia imperiale, si distingue come uno dei più alti esempi di architettura residenziale giapponese, tra le poche rimaste perfettamente intatte. Progettata per integrarsi con la natura circostante, la villa ospita un insieme di giardini, padiglioni, sentieri e ponti. Ogni angolo invita ad una continua e inaspettata scoperta, creando una simbiosi unica tra uomo e natura, dove l’essenza (e verrebbe da aggiungere: l’assenza) risiede nell’armonia delle parti.
È stata raccontata in una memorabile monografia Electa, pubblicata dieci anni fa.
Il conflitto con il turismo di massa
Proprio per la sua sua straordinaria bellezza, Kyoto affronta oggi una crescente sfida legata al turismo di massa, che sta premendo sulle risorse culturali e paesaggistiche, con la conseguente crescita di fenomeni speculativi e la perdita dei residenti originari. Il rapido aumento di strutture ricettive ha trasformato interi distretti residenziali in zone turistiche, facendo scomparire le tradizionali machiya (case in legno), sostituite da hotel, negozi e ristoranti che compromettono l’autenticità dell’aggregato urbano e sociale.
La sfida che Kyoto è chiamata a gestire – come le tante altre città fragili, orientali ed occidentali – è quella di preservare un equilibrio interno, evitando di ridursi a città-museo.
Kyoto dovrà trovare un modo per tutelare la sua straordinaria eredità sociale e culturale, senza sacrificare l’identità sull’altare dell’industria turistica.
Immagine di copertina: Arashiyama Yusai-Tei (© Riccardo Chiaro)
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Last modified: 20 Gennaio 2025