La regione tra emergenza idrogeologica e consumo di suolo: il ruolo dei sistemi di drenaggio urbano e l’opportunità del PNRR
L’Italia, per sua naturale conformazione geografica, è notoriamente vulnerabile al rischio idrogeologico, con vaste aree esposte a frane e inondazioni. Secondo l’ultimo rapporto sul dissesto idrogeologico pubblicato da ISPRA nel 2021, circa il 33,2% del territorio nazionale è classificato a rischio, considerando tutte le classi di pericolosità idraulica e da frana. Di questa porzione, il 18,4% risulta particolarmente critico, comprendendo aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata (classi P3 e P4) e aree a pericolosità idraulica media ed elevata.
La situazione dell’Emilia-Romagna
In questo quadro, la regione emerge come una delle più a rischio, seconda solo alla Valle d’Aosta. Oltre il 60% della sua superficie è esposta a pericoli significativi: il 14,6% è a rischio frane, mentre ben il 45,6% è a rischio idraulico. A conferma di tale criticità, tutti i comuni della regione includono aree classificate a rischio elevato (frane P3-P4 o pericolosità idraulica media), e la regione detiene il primato nazionale per numero di edifici situati in zone a rischio, oltre 500.000.
Questa vulnerabilità si è manifestata drammaticamente negli ultimi eventi alluvionali, che sottolineano la crescente frequenza e intensità dei fenomeni di dissesto. A partire dalla primavera 2023 la regione è stata colpita da una serie di calamità legate a precipitazioni intense che, in pochi giorni, hanno provocato danni significativi a infrastrutture, abitazioni e terreni agricoli. L’alluvione di Bologna del 19 e 20 ottobre 2024 è solo l’evento più recente, ma in meno di due anni l’Emilia-Romagna ha subito ben quattro episodi di tale gravità. Durante quest’ultima alluvione, alcune zone hanno registrato picchi di 175 mm di pioggia, mentre eventi precedenti hanno fatto segnare valori ancora più alti, come i 350 mm registrati in settembre – una quantità di precipitazioni normalmente attesa per un’intera stagione autunnale.
Questi fenomeni, che solo pochi anni fa sarebbero stati considerati eccezionali, sembrano ormai rappresentare una nuova normalità. La crescente urbanizzazione e impermeabilizzazione del territorio, unita all’inadeguatezza delle infrastrutture esistenti, mette in luce l’urgenza di strategie di adattamento e gestione del rischio idrogeologico più efficaci e sostenibili.
Pianificazione fa rima con cementificazione?
La vulnerabilità dell’Italia alle calamità naturali, come frane e alluvioni, è strettamente legata alla particolare conformazione geografica del territorio. Tuttavia, questa fragilità è stata accentuata da decenni d’intensiva cementificazione e urbanizzazione disordinata o mal pianificata, che ha trasformato ampie aree, sia urbane che rurali, in superfici impermeabili. Il termine “rischio idrogeocementizio” viene utilizzato per evidenziare l’impatto umano nel peggioramento del rischio idrogeologico, che tende invece a implicare una causa prettamente naturale. Questo concetto evidenzia come l’impermeabilizzazione dei suoli e l’eccessiva edificazione abbiano alterato i bacini naturali e impedito l’infiltrazione naturale, aumentando l’intensità delle piene e il rischio d’inondazioni.
Nel caso di Bologna, la recente esondazione del torrente Ravone ha dimostrato concretamente come la trasformazione urbanistica di ampie aree residenziali e industriali abbia contribuito all’aggravamento del rischio idraulico, con la cementificazione che ha ridotto la capacità di assorbimento del suolo e incrementato la velocità di scorrimento delle acque piovane.
A tal riguardo, ISPRA pubblica annualmente un rapporto sul consumo di suolo: l’Emilia-Romagna è una delle regioni italiane più cementificate. I dati mostrano che l’8,9% della superficie regionale è oggi impermeabile, contro una media nazionale è del 7,1%, che in termini assoluti si traduce in 635 ettari consumati in un anno, due volte la superficie dell’aeroporto di Linate. Inoltre, nel 2022, la regione è stata la quarta in Italia per consumo netto di suolo, evidenziando come il fenomeno continui a crescere.
Proprio per questo motivo, nel 2017 la regione ha adottato una legge pionieristica per la protezione e la gestione del suolo, con l’obiettivo di raggiungere il saldo zero entro il 2050. Tuttavia, come evidenziato dal WWF, questo ambizioso obiettivo sembra lontano dall’essere raggiunto. La regione è, infatti, “un caso eclatante del fallimento della pianificazione”, con il consumo di suolo che continua ad aumentare.
Il problema principale giace nelle deroghe concesse a tale normativa, che ne inficiano drammaticamente l’attuazione. Non solo, gli interventi d’interesse pubblico sono esclusi dal conteggio e quindi sono sottoposti a limitazioni ben più marginali. Se tra questi vengono considerati anche, ad esempio, i poli logistici delle grandi aziende (e di altre famose multinazionali) – l’Emilia-Romagna è la regione in cui negli ultimi anni è stato consumato più suolo in Italia per questo settore – ne consegue che gli obiettivi prefissati non potranno essere raggiunti.
Bologna tra gioie (poche) e dolori (molti)
Il caso della città metropolitana di Bologna è emblematico. Secondo l’ISPRA, tra il 2017 e il 2022 sono stati consumati 600 ettari di suolo all’interno dell’area metropolitana, mentre il monitoraggio comunale, che segue le disposizioni della normativa, segnala un consumo netto nullo, a dimostrazione delle discrepanze tra le politiche e la realtà del territorio.
Tuttavia esistono esempi virtuosi. Come nel quartiere Lazzaretto, dove è stato implementato un SuDS (Sustainable Urban Drainage Systems), ovvero un sistema di drenaggio urbano sostenibile che migliora la gestione delle acque meteoriche. Il progetto non solo incrementa la capacità d’immagazzinare acqua nel suolo, ma favorisce anche la configurazione di spazi verdi, migliorando la qualità dell’ambiente e il benessere della comunità. L’intervento è quindi un esempio concreto di come sia possibile affrontare il dissesto idrogeologico con soluzioni innovative, riducendo anche l’inquinamento delle acque di scorrimento superficiali.
L’occasione del PNRR
Gli eventi drammatici vissuti dall’Emilia-Romagna, e da Bologna in particolare, evidenziano l’urgenza di ripensare le strategie di gestione del territorio, superando una logica reattiva per abbracciare una cultura della prevenzione e della sostenibilità.
La cementificazione disordinata e la mancanza di sistemi di drenaggio integrati nel tessuto urbano hanno acuito il rischio idrogeologico, richiamando la necessità di ridurre il consumo di suolo e di favorire infrastrutture verdi. In questo contesto, i fondi del PNRR rappresentano un’occasione irripetibile: a fronte di un totale di circa 16 miliardi, 1,278 miliardi sono destinati alla gestione del rischio idrogeologico. Se impiegati con una visione orientata al rinnovamento sostenibile, questi fondi potrebbero trasformare il tessuto urbano, rendendo le città più resilienti e restituendo al territorio spazi che la natura reclama.
Immagine copertina: alluvione del 20 ottobre a Bologna (© Ansa.it)
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bologna , Emilia Romagna , Pianificazione , territorio fragile
Last modified: 13 Novembre 2024