In India, punto sulla riqualificazione dello slum “cuore e fegato” di Mumbai, tra proteste sociali e preoccupazioni ambientali
MUMBAI (INDIA). A metà settembre, la società Dharavi Redevelopment Project Pvt Ltd (DRPPL) ha tenuto la cerimonia d’inaugurazione del progetto di trasformazione che interesserebbe quello che è stato definito, a più riprese, “il più grande slum dell’Asia” (una definizione molto utilizzata ma non corretta), e il “cuore e fegato di Mumbai”. La cerimonia, tuttavia, ha tenuto un profilo bassissimo, dopo essere stata annunciata pubblicamente e poi annullata in seguito alle proteste organizzate dal gruppo interpartitico Dharavi Rescue Movement (DRM). I motivi principali delle proteste riguardano la scarsa trasparenza sui criteri di assegnazione delle abitazioni di nuova costruzione agli abitanti di Dharavi e la recente cessione, da parte del governo del Maharashtra al gruppo Adani (che detiene la maggioranza di DRPPL), di 100 ettari di “salt-and-pan land” per la realizzazione di edifici residenziali.
Questo è l’ultimo sviluppo di una vicenda lunga, articolata e non di rado conflittuale. Da almeno cinque decenni Dharavi è nel mirino d’investitori privati e attori pubblici, prime land in una megalopoli in continua crescita ma circondata dal mare su tutti i lati.
Da villaggio di pescatori a metropoli economica informale
Nel 1700 l’insediamento di Dharavi, sorto lungo le rive del Mahim Creek, è uno dei sei grandi koliwadas (villaggi di pescatori) insediati sulle sette isole che, nel corso del XIX secolo, quando la città passa sotto il controllo britannico, vengono unite a formare l’attuale Salsette Island, con cui coincidono i confini amministrativi della Greater Mumbai.
Nell’Ottocento, larga parte dell’odierna Dharavi è ancora una grande palude lontana dal centro della città coloniale; oggi è un insediamento densamente popolato, che si estende su un’area di 200 ettari e ospita un numero di abitanti stimato fra 700.000 e 1.200.000. Di questi, la grande maggioranza sarebbe occupata al suo interno, nel fitto tessuto di attività produttive e commerciali (largamente informali), responsabili di un flusso economico stimato fra i 500 milioni e il miliardo di dollari americani.
Dharavi occupa una posizione baricentrica rispetto ai confini metropolitani, è ben collegato al centro città dalla ferrovia ed è, inoltre, strategicamente adiacente al Bandra-Kurla Complex, lo scintillante distretto finanziario e commerciale realizzato fra gli anni ‘80 e ‘90. Al suo interno, Dharavi svela un tessuto urbano variegato, che si articola in più di 80 nagar (distretti), ad ognuno dei quali corrispondono diverse caratteristiche fisiche e morfologiche, nonché diverse religioni, fasce di reddito e provenienze geografiche degli abitanti: koliwada con le case a corte tipiche dell’insediamento originario, 13 compound con le loro attività produttive, il new transit camp con il suo tessuto ortogonale anni ‘70.
Decenni di piani e sfide irrisolte
A partire soprattutto dal 1971, quando il Clearance and Redevelopment Act del Maharashtra Slum Areas Improvement definisce ufficialmente Dharavi uno “slum”, diversi progetti di trasformazione aprono scenari di volta in volta diversi per la demolizione dell’insediamento e la realizzazione di tessuti urbani più densi, lasciando tracce più o meno evidenti sul costruito di Dharavi.
Nel 1981, per esempio, viene approvato lo Slum Improvement Program, che fa da cappello a un nuovo Dharavi Development Plan, con cui si prevede la realizzazione di servizi educativi e sanitari. Nel 1986 viene commissionato un nuovo piano a Charles Correa (1930-2015), progettista di fama internazionale e qui noto per la pianificazione di Navi Mumbai. Dieci anni dopo, lo Slum Rehabilitation Act incentiva la realizzazione di nuovi edifici residenziali attraverso la concessione di un aumento di Floor Space Index (l’indice che regola la densità fondiaria), a fronte della demolizione di abitazioni informali e dell’allocazione di unità abitative agli sfrattati.
Il complesso residenziale Rajiv Indira, per esempio, progettato nell’ambito del piano e completato nel 2002, viene realizzato da un’associazione di residenti in collaborazione con SPARC e attraverso il finanziamento di una banca privata con garanzia sul mutuo coperta dall’ONG Homeless International. Nel 2004 il governo dello stato del Maharashtra approva il Dharavi Redevelopment Plan, che adotta il piano redatto dall’architetto Mukesh Mehta e incarica la Slum Rehabilitation Authority di svilupparlo. Slogan chiave del progetto è portare Mumbai ad essere una “world-class city” anche attraverso la riqualificazione di Dharavi e la sua trasformazione in business district a sviluppo verticale, speculare e collegato al vicino Bandra-Kurla.
Fino al 2016 il governo tenta, senza successo, di attrarre investitori attraverso una serie di gare di appalto, finché una nuova gara si conclude nel 2019 con l’affidamento alla società SecLink di Dubai. Il progetto prevede di utilizzare un terzo della superficie totale per reinsediare gli attuali abitanti di Dharavi, un sesto per un grande parco urbano, e il resto per il distretto commerciale al pari del distretto di Bandra-Kurla. Un anno dopo, tuttavia, il governo del Maharashtra invalida l’affidamento a SecLink, adducendo come motivo la variazione dei prezzi fondiari in seguito all’acquisizione, e tramite un nuovo appalto affida il progetto al gruppo del miliardario Gautam Adani, che detiene oggi l’80% di DRPPL contro il 20% del governo statale del Maharashtra.
Le questioni sul tavolo
Il progetto sembra procedere, ma le questioni aperte rimangono le stesse che vengono dibattute da decenni, a vario titolo, dai diversi attori che si sono susseguiti sul “palco” (ma anche dietro le quinte e nella platea) dei molti progetti di trasformazione proposti. A chi sarà effettivamente assegnata una casa, e secondo quali criteri? Le tasse saranno calmierate o proporzionate ai nuovi valori fondiari, con il rischio che gli attuali abitanti di Dharavi cui viene effettivamente assegnata una casa vendano e si spostino subito? E poi, che cosa succederà al tessuto di piccole attività produttive e commerciali – informali e non – che rendono Dharavi il “cuore e fegato di Mumbai”?
Associazioni come Urbz, che lavora a Dharavi da quindici anni promuovendo azioni di “homegrown urbanism”, chiedono insistentemente risposte da parte dei politici locali. La richiesta del Dharavi Rescue Movement è di assicurare l’assegnazione di “una casa per una casa” e un’“attività per un’attività”, ma per adesso le regole del gioco rimangono nebulose.
L’ultima puntata della saga è sotto sale
A gennaio 2024 sono stati incaricati della redazione del nuovo masterplan [di cui ancora non sono state diffuse immagini; ndr]l’architetto indiano Hafeez Contractor, supportato dall’azienda Sasaki e dallo studio di consulenza Buro Happold. A marzo è iniziato il sondaggio condotto da Adani Group per stimare la rehabilitation eligibility degli abitanti di Dharavi, cioè il diritto di ogni nucleo familiare a ottenere un’unità abitativa compensativa, e la posizione della nuova unità all’interno del nuovo progetto – o altrove; il sondaggio dovrà concludersi entro un anno dal suo inizio.
A settembre il Gruppo Adani ha chiesto al governo 200 ettari di terra edificabile aggiuntiva, per poter realizzare sufficienti abitazioni per quei nuclei familiari che non possono dimostrare di essere stati residenti a Dharavi precedentemente al 2000, e che quindi non sono eleggibili per una nuova unità abitativa in loco. I 100 ettari di “salt-and-pan land” promessi in risposta sono le terre “basse” della città: porzioni di terreno non edificate, e soggette ad allagamento in caso di forti piogge.
Finora protette dal Ministry of Environment and Forests e dalla Coastal Regulation Zone (CRZ) del 2011 e utilizzate unicamente per la raccolta di sale, a Mumbai sono stati identificati circa 2.000 ettari di salt-pan lands, di cui 600 istituite come edificabili nell’ambito del progetto municipale per una “slum-free Mumbai”, nonostante il rischio ecologico che la cementificazione di queste zone filtro costituirebbe per una metropoli ecologicamente fragile come Mumbai. Le ultime notizie parlano della possibilità di utilizzare anche la superficie di una discarica dismessa, ma le operazioni di bonifica necessarie per rendere il sito edificabile richiederebbero anni.
In un momento di densità e precipitazione delle azioni, delle politiche, e dei loro effetti, l’impressione è che sia sempre più difficile instaurare un dibattito – anche disciplinare – su un progetto di trasformazione che coinvolge direttamente quasi un milione di persone, e indirettamente svariati milioni, se assunto a modello nel più ampio progetto per rendere Mumbai una slum-free city. In effetti, sembra che lo spazio per il dibattito e per la sperimentazione stia diminuendo, come osserva fra gli altri la sociologa Amita Bhide, del Tata Institute of Social Sciences di Mumbai: i piani sviluppati 30 anni fa per Dharavi apparivano decisamente più sofisticati nel tentativo d’integrare ciò che c’è con ciò che verrà, e tentare di rispondere alla complessità di un tessuto largamente informale ma non per questo meno consolidato e funzionante.
Immagine copertina: Dharavi, Mumbai, Maharashtra, India (© Daniela Bosco)
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abitare , india , pianificazione urbana , povertà , real estate , rigenerazione urbana , slum , urbanistica
Last modified: 22 Ottobre 2024