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Josephine BuzzoneWritten by: Professione e Formazione

Fumihiko Maki (1928-2024): un modernista tra oriente e occidente

L’architetto giapponese, premiato col Pritzker nel 1993, lascia un’eredità influente basata su una forte elaborazione concettuale

 

Un movimento continuo e cumulativo di modernità, così si potrebbe descrivere la lunga carriera di Fumihiko Maki, scomparso il 6 giugno all’età di 95 anni. Maki è stato un architetto modernista – come lui stesso si definiva – che, affidandosi alla potenza e dignità intrinseche dello spazio urbano, senza rincorrere nostalgie utopiche o frenesie stilistiche, ha sviluppato un approccio al modernismo capace di adattarsi e incorporare nel tempo nuove idee e sensibilità, mantenendo intatta la sua essenza.

 

Il percorso formativo e internazionale

Dopo aver ottenuto la laurea triennale all’Università di Tokyo (1952), Maki ha ampliato la sua formazione conseguendo un master alla Cranbrook Academy of Art (1953) e uno a Harvard (1954), sotto la guida di Josep Lluis Sert, dove ha ricoperto il ruolo di professore associato nel 1962-69. Nel 1956, già assistente alla Washington University di St. Louis, realizza la sua prima commissione, Steinberg Hall, un art center per il campus, caratterizzato da una struttura geometrica in cemento e una copertura a lastra piegata che estendendosi genera delle logge sul fronte e nel retro.

Torna a Tokyo nel 1965 e fonda il suo studio Maki and Associates, dopo le esperienze da studente, accademico e praticante negli Stati Uniti, intervallate da viaggi in Medio Oriente ed Europa, che gli avevano permesso di maturare una prospettiva internazionale sull’architettura e sulla città.

 

Concetti: Collective Form, oku e Industrial Vernacular

I concetti di Collective Form, oku (奥 / profondità) e Industrial Vernacular sono stati costantemente al centro delle riflessioni di Maki, alimentando lo sviluppo di teorie e pratiche architettoniche e urbane che hanno profondamente influenzato la formazione dei professionisti delle generazioni successive. Introduce il concetto di Collective Form sulla scena internazionale nel 1960 con il saggio Toward a Group Form per il Manifesto Metabolista, firmato insieme a Kisho Kurokawa e Kiyonori Kikutake tra gli altri.

È solo con il completamento di Hillside Terrace (1969-93), dopo 25 anni di lavoro, che Maki sente di aver raggiunto una profonda comprensione del principio che studia le relazioni tra singoli edifici – le parti – e il contesto urbano – il tutto. Il complesso di strutture residenziali e commerciali è situato a Daikanyama (Tokyo), un’area in profonda trasformazione durante gli anni del boom edilizio. In questo contesto in evoluzione, Maki riesce ad adattare il suo idioma modernista rimanendo fedele ai suoi valori. Combinando sapientemente parti opache e trasparenti, realizza una forma collettiva spazialmente coesa, grazie all’attenzione dedicata alla scala del progetto, alla topografia e alla stratificazione spaziale, nonché alla definizione di spazi pubblici protetti.

Esprime il concetto di Industrial Vernacular, inteso come linguaggio architettonico che emerge dalle specifiche condizioni industriali di una regione e dalle sue particolari dinamiche culturali e storiche, il Fujisawa Municipal Gymnasium (1980-1984). Questo complesso sportivo, che comprende un’arena e una sub-arena collegate da un corpo centrale d’ingresso, è caratterizzato da un imponente tetto composto da sottili lastre di acciaio piegate e texturizzate, che trasmettono una sensazione di leggerezza e precisione. Strettamente legati al contesto urbano industriale giapponese della zona di Fujisawa, il materiale del tetto e il suo processo di costruzione riflettono l’integrazione di tradizioni costruttive con tecniche moderne. 

Il concetto di oku è declinato in modo sofisticato da Maki nel progetto del crematorio Kaze no Oka (Collina dei venti) a Nakatsu (1997). In parte sepolto per rispettare il paesaggio scenico in cui si situa, il complesso comprende una sequenza di spazi cerimoniali che si susseguono in forme geometriche semplici, materiali (cemento, mattoni e acciaio corten) e luce naturale, creando un percorso interiore – non solo fisico – che accompagna gradualmente i visitatori attraverso le diverse fasi del rito funebre.

 

Un maestro da Pritzker

Per il suo “approccio intelligente e artistico nei concetti e nelle espressioni, meticolosamente realizzati”, nel 1993 Maki è stato il secondo architetto giapponese, dopo il suo maestro Kenzo Tange, a ricevere il premio. Nello stesso anno, è stato insignito del Praemium Imperiale dalla Japan Arts Association e del Premio Prince of Wales in Urban Design da Harvard, mentre nel 2011 l’American Institute of Architects (AIA) gli ha conferito la sua massima onorificenza.

Di Maki rimane una solida eredità architettonica, formale e modesta nelle forme e nei materiali (metallo, cemento e vetro), quasi senza tempo, che ha combinato insieme la cultura orientale e occidentale, mantenendo un dialogo con la scena urbana in costante evoluzione.

Immagine di copertina: Fumihiko Maki a Harvard nel 1953

Autore

  • Josephine Buzzone

    Dottoranda in Architettura, Storia e Progetto presso il Politecnico di Torino, dove ha conseguito la laurea magistrale in Architettura per il Restauro e Valorizzazione del Patrimonio. La sua ricerca indaga la storia e le trasformazioni dell'architettura del dopoguerra in Giappone, con particolare attenzione ai processi di valorizzazione del patrimonio. Vive tra Italia e Giappone, dove ha trascorso un periodo come Visiting Research Associate presso l'Institute of Industrial Science dell'Università di Tokyo

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Last modified: 3 Luglio 2024