Riflessioni sul tema del paesaggio turistico, facendo il punto sulla controversa ciclovia ed altre opere infrastrutturali ed edilizie
A proposito dei progetti che si affacciano sulle rive del più grande bacino d’acqua dolce d’Italia, è doveroso che si discuta con fervore, perché la grande bellezza dei luoghi che geografia e storia hanno lasciato in dote a noi contemporanei lo richiedono. Ma il turbine mediatico che continua a intasare le cronache (anche su questo Giornale) su due questioni diversissime per scala, complessità e aspetti problematici, richiede un allargamento dello sguardo e qualche riflessione, per non cadere nel tranello dei “no” a prescindere.
La pista ciclabile dei sogni, un obiettivo non raggiunto
Il progetto per la realizzazione di un anello ciclabile che abbracci l’intero lago nasce da un’idea sicuramente suggestiva e di facile presa, vista la popolarità della mobilità dolce su due ruote. Il breve tratto aperto nel 2018 a Limone sul Garda, tra le province di Brescia e Trento, ha avuto una grandissima risonanza per le sue caratteristiche spettacolari che ne hanno fatto da subito un’attrattiva turistica e instagrammatica, come vuole la contemporanea declinazione social del tempo libero.
A percorrere questo tratto si rimane indubbiamente senza fiato, godendo del paesaggio del lago sospesi tra roccia e acqua quasi senza mediazione, con in più il brivido da ottovolante e la felicità liberatoria e fanciullesca della vertigine. Il progetto, redatto dagli ingegneri Fontana & Lotti – Lorenzi di Riva del Garda, ha risolto l’impossibilità di allargare il sedime della strada Gardesana occidentale, che corre per buona parte in galleria con calibri assai risicati anche per il solo traffico automobilistico, con una passerella metallica a sbalzo larga 2,60 metri, staccata dalla parete rocciosa e retta da mensole, la cui realizzazione ha comportato una cantieristica acrobatica e la necessità di consolidamenti e protezioni dal versante roccioso sovrastante.
Ma se il pretesto dell’opera è la messa in sicurezza dei ciclisti, l’obiettivo non può certo dirsi raggiunto: il nuovo tracciato è ciclo pedonale – a ben vedere, una contraddizione in termini – e molto trafficato, anche per l’effetto novità; le biciclette procedono lentamente, e intanto nei tratti di strada in parallelo si vedono sfrecciare frotte di ciclisti duri e puri (quelli con le tutine attillate e le scarpette coi tacchetti) indifferenti al pelo che gli fanno le auto accodate e ai relativi rischi.
Il completamento dell’anello: spettacolarità a caro prezzo e notevoli criticità
Fatto sta che, sull’onda del successo di Limone, ha preso corpo l’idea di completare l’anello ciclabile lungo le sponde dell’intero lago: 166 km attraverso i territori del Veneto, della Lombardia e della Provincia Autonoma di Trento. Quest’ultima ha assunto il ruolo di ente capofila nella procedura che ha condotto nel 2021 al progetto di fattibilità tecnico-economica della Ciclovia del Garda, collocata tra le dieci d’interesse strategico nazionale.
La spinta per la sua realizzazione è a chiare lettere indirizzata a “un’ulteriore valorizzazione del territorio, sia in termini turistici che ambientali. A trarne benefici, inoltre, sarà anche l’entroterra gardesano: chi fruirà della ciclovia sarà un viaggiatore attento alla mobilità sostenibile, rispettoso dell’ambiente e curioso di scoprire un contesto, quello lacustre, unico per il suo valore” (Regione del Veneto, comunicato n. 208/2023). Il che, tradotto, significa: di regolare il traffico importa poco, le biciclette sono solo un’esca per alimentare i flussi turistici, e l’ambiente viene tirato in ballo solo quando diventa un prodotto mercificabile. Una visione, questa, rappresentativa del modello di sviluppo dell’intera area gardesana: ed è attorno a questo modello economico, sociale e quindi insediativo che servirebbe un profondo dibattito, non su singoli casi che non ne sono altro che gli esiti.
Costosetto, peraltro, come esito: si parla di ben 344 milioni preventivati nel 2021, e poi si vedrà. Ora si conta su Pantalone PNRR, mentre i primi tratti hanno beneficiato dei finanziamenti per i comuni di confine. Ed è proprio sul confine tra Lombardia e Trentino, per raggiungere Riva del Garda con una struttura sostanzialmente analoga a quella di Limone, che i lavori in corso hanno sollevato le attuali polemiche sull’opera. Al di là dell’opportunità d’investire una tale mole di denaro pubblico in un’attrezzatura destinata al loisir, è il suo impatto paesaggistico a essere nel mirino, assieme ai rischi dovuti alla fragilità idrogeologica dell’area soggetta a frequenti movimenti franosi, anche recentissimi. Analoghe considerazioni valgono anche per il versante veronese dell’alto lago, che presenta caratteristiche morfologiche simili – strada con ampi tratti in gallerie naturali o artificiali paramassi, versanti rocciosi e rischio idrogeologico – e conseguenti soluzioni progettuali altrettanto ardite, tra passerelle a sbalzo, strutture di protezione e nuove gallerie. Alta spettacolarità, altissimi costi e notevoli criticità.
Paesaggi: naturale vs artificiale
Prendendo il tratto di Limone come campione al vero dell’intera opera nell’alto lago, è indubbio che l’impatto sul paesaggio sia incisivo; certo, forse è il luccichio delle strutture in acciaio inossidabile a catturare l’occhio in una vista ravvicinata. Elementi metallici messi a sottolineare punti sensibili: un piercing territoriale, rappresentativo dell’estetica contemporanea. Una prospettiva più allargata porta però a valutare con maggior distacco questo sottile nastro. Ciò che risulta ben percepibile, nel profilo della costa – ma qual è il punto di vista da considerare, quello di un natante? – sono le strade, con la sequenza di pieni e vuoti, di gallerie e strutture di protezione (alcune recenti e molto impattanti, probabilmente perché realizzate in emergenza). Elementi oramai ben storicizzati, dato che la loro costruzione risale ai primi decenni del secolo scorso: la Gardesana occidentale venne inaugurata nel 1931 e battezzata da Gabriele D’Annunzio “Il Meandro”, con riferimento al suo andamento sinuoso. Giudicato col metro contemporaneo, però, il suo impatto risulterebbe improponibile: perché non continuare ad andare via acqua come sempre, si sarebbe detto?
Viene dunque da chiedersi quale sia il limite oltre il quale un paesaggio artificiale, addomesticato dal tempo e assorbito nelle visuali della consuetudine, diventi “naturale” e quindi intoccabile. Siamo in un’epoca in cui la bilancia tra lo status quo e una qualsiasi visione progettuale pende decisamente dalla prima parte. È lecito intervenire nel paesaggio, con rigore e attenzione certosina ma senza negare la possibilità di sovrascrivere un layer contemporaneo al denso e stratificato palinsesto di segni antropici di cui è fatto ogni paesaggio? Certo, l’unicum della ciclovia di Limone vista come elemento d’eccezione ha un senso, mentre se diventa regola cambia di significato. Ma le caratteristiche dei tratti settentrionali delle coste del lago non lasciano alternative: l’idea del trasporto con battelli per superare alcuni passaggi particolarmente tosti sembra riecheggiare le brioche suggerite da Maria Antonietta al popolo che chiedeva pane.
Se bastano delle passerelle
Una strada senza uscita, dunque? La via intrapresa, quella della grande opera – non a caso portata avanti in Trentino per via commissariale – pare non ammettere più scampo, e il plebiscito pro o contro a questo punto dell’iter appare tardivo. Quello che però è sicuramente mancato è uno studio organico in termini di mobilità a monte della decisione di realizzare l’infrastruttura.
Su questo piano si sarebbe potuto osare di più: ad esempio riservando l’attuale Gardesana a forme di mobilità dolce e collettiva – parole d’ordine del momento – ripensando radicalmente la circolazione automobilistica, con sistemi di traffic calming evoluti che le attuali tecnologie mettono a disposizione o con estese Zone 30, una strategia altrettanto divisiva ma forse necessaria. Soluzioni senza dubbio estreme alle quali prima o poi si dovrà pur pensare, perché i carichi di traffico sull’intero bacino gardesano rimangono in crescita e si arriverà a una situazione di collasso.
Il lago di Garda è un unicum europeo, merita un generoso e innovativo slancio d’idee, non solo passerelle. Ma qui siamo decisamente nel libro dei sogni.
Progetto avanti a macchia di leopardo
Intanto, il progetto della ciclovia va avanti a macchia di leopardo: oltre al casus belli trentino, in provincia di Verona si sono appena aperti i cantieri a Torri del Benaco, mentre la parte che ricade sotto Brenzone è in sostanza ultimata, così come alcune porzioni a sud di Malcesine. Qui la morfologia della costa è decisamente meno impervia, e basta una serie di ponticelli metallici a superare gli ostacoli e a riconnettere i tratti piani semplicemente pavimentati a definire il tracciato ciclabile.
Nel basso lago le condizioni al contorno sono a loro volta differenti: le passeggiate lungo i bordi rimangono riservate ai pedoni e si lavora a mettere in sicurezza per i ciclisti i tratti di carreggiata stradale più interni. Così è stato fatto tra Peschiera e Pacengo, e ora si proseguirà fino a Lazise; altrove, come a Bardolino, il percorso risalirà più marcatamente nell’entroterra per aggirare il centro abitato, e situazioni analoghe si prospettano nella sponda bresciana, ad esempio tra Gardone Riviera e Toscolano Maderno, mentre verso sud il progetto approvato prosegue la sua corsa bordo lago fino a Padenghe.
L’interferenza del nuovo collettore fognario e il “federalismo fecale”
La più complessa da risolvere
, al tempo stesso un problema e una potenziale risorsa, è però l’interferenza con il nuovo collettore fognario del Garda, un progetto a sua volta assai oneroso – 119 milioni per i lavori sul versante veronese e 140 per il bresciano – in parte in cantiere.
Il sistema di raccolta delle acque reflue dei comuni gardesani si avvale a tutt’oggi di un impianto che risale agli anni settanta-ottanta, obsoleto per gli attuali carichi antropici e dalle notevoli criticità, su tutte il deterioramento della condotta sublacuale che porta i reflui raccolti nell’alta sponda bresciana da Toscolano Maderno a Torri del Benaco, da dove confluiscono nel depuratore unico di Peschiera del Garda all’estremità meridionale del lago.
Per paventare il rischio di un disastro ambientale, che porterebbe il bell’azzurro del Garda a trascolorare verso il marron, il progetto del nuovo collettore porterà a dismettere i tratti sublacuali, separando per regioni sia raccolta che smaltimento, attuando così una sorta di “federalismo fecale”. Mentre nel veronese i lavori finanziati procedono, nel bresciano si discute ancora sul progetto del depuratore necessario per affrancarsi da quello di Peschiera: ma il previsto sdoppiamento tra Gavardo e Montichiari sconta l’opposizione dei comuni del bacino del fiume Chiese, che dovrebbe raccoglierne i reflui.
Servono però soprattutto nuovi finanziamenti, anche per superare l’attuale braccio di ferro tra ciclovia e collettore: con il rischio che prevalga l’opera “voluttuaria” – la ciclovia – rispetto all’esigenza ineludibile della tutela delle acque del lago. Perché è chiaro che un amministratore preferisce farsi fotografare sorridente in bicicletta piuttosto che mettere la propria faccia a mo’ di bandierina su un pezzo di fogna. Uno scenario purtroppo plausibile prevede che alcuni tratti della ciclabile possano essere subito manomessi per il passaggio del collettore, quando questo verrà a sua volta finanziato.
Entro questo quadro, pare davvero incredibile che per due interventi di tale portata, e a fronte dei fantastilioni di soldi pubblici da mettere in campo, si sia persa l’occasione di pensare a collettore e ciclovia con un approccio unitario. Quale migliore occasione per un progetto integrato delle rive del lago, in tante parti ancora compromesse dal passaggio maldestro del vecchio collettore, per il quale si sarebbero potuti chiamare a raccolta i migliori paesaggisti europei, ambito geopolitico di riferimento del Garda in nome dei suoi 25 milioni di abitanti vacanzieri (dati 2023)?
La governance: chi è senza peccato urbanistico scagli nel lago la prima pietra
Ma se da una parte il bacino gardesano può essere visto di fatto come una città metropolitana transregionale dalla forte vocazione europea, dall’altra ci sono ben 23 comuni bagnati dalle acque del lago più almeno altrettanti che gravitano alle loro spalle, con il relativo stillicidio di sindaci, assessori e consiglieri, e di amministrazioni che sfornano varianti ai piani regolatori come fossero crostate.
Chi è senza peccato urbanistico scagli nel lago la prima pietra: non c’è comune gardesano che non abbia svenduto un pezzetto del suo territorio per alimentare spese pubbliche a loro volta finalizzate in un circolo vizioso all’attrazione turistica. Comuni ricchi, che prosperano sulle tasse di soggiorno e sui parcheggi a pagamento, vere rendite di posizione che il buon nome del Garda garantisce, e dove si continua a costruire, tanto: la marmellata edilizia spalmata su vasti brani delle coste, gioia di quei velisti che sfruttano le brezze termiche della speculazione, ne è l’evidente espressione.
Nel molto ci sta ovviamente anche il buono, e un’attenta indagine porterebbe a individuare le migliori testimonianze di una “architettura del Garda”, che dal rapporto ineludibile col lago, diretto o mediato attraverso le vedute, trae la propria ragion d’essere. Temi ricorrenti sono l’abitazione di vacanza, l’ospitalità e i servizi turistici nelle loro diverse forme.
Il caso (marginale) di Punta San Vigilio
Rientra in quest’ambito anche l’intervento edilizio che si sta realizzando a Punta San Vigilio, salito all’attenzione delle cronache più per i nomi altisonanti dei protagonisti che per la cosa in sé. Gridare allo scandalo per la realizzazione dei sottoservizi in un cantiere di riordino di volumi esistenti equivale a voler giudicare le fattezze di una bella signora (o signore) mentre è sul tavolo operatorio a ventre aperto.
Punta San Vigilio è un luogo d’incanto, e Villa Guarienti – stupenda dimora signorile cinquecentesca – ne è il simbolo. Già da tempo, però, le spiagge a nord della villa (Baia delle Sirene) e a sud-est oltre il porticciolo (Parco San Vigilio) sono adibite a stabilimenti balneari, con i servizi annessi e connessi; l’accesso è dunque pubblico (sia pur a pagamento) rispetto al solipsismo elitario in cui rimane l’ambito privato della villa. Una forma di democratizzazione della bellezza.
Una contraddizione irrisolta
Sia la realizzazione della ciclovia che la vicenda di Punta San Vigilio altro non sono che espressioni della contraddizione mai risolta tra organizzazione dei servizi e delle attrezzature per la fruizione turistica, fonte di benessere diffuso per il ricco territorio del Garda, e rispetto di quei luoghi che del turismo sono la risorsa principale. Occorre usarle come straordinarie occasioni di progetto: di architettura, di paesaggio, di infrastrutture.
Immagine copertina: vedute della ciclovia a Limone sul Garda
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ciclostrade , infrastrutture , lombardia , Pianificazione , territorio fragile , turismo , veneto , waterfront
Last modified: 30 Aprile 2024