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Bruno PedrettiWritten by: Reviews

Insegnare e imparare il beau geste

A Mendrisio la mostra sulla didattica dell’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera Italiana

 

MENDRISIO (SVIZZERA). Come forse andrebbe ricordato più spesso, da oltre due secoli la formazione degli architetti si è sviluppata lungo due linee principali: quella più antica, di matrice artistica, delle Accademie di Belle Arti (o Écoles des Beaux-Arts) e quella d’indirizzo più tecnologico dei Politecnici (o Institutes of Technology). Dall’ibridazione, ma anche dalla contestazione, di queste due tradizioni sono derivati, lungo il Novecento, diversi profili di scuola, di volta in volta virati maggiormente verso l’uno o l’altro indirizzo, ma talvolta mirati anche a sovvertirne radicalmente i paradigmi.

 

Il percorso espositivo

Dico questo perché la mostra allestita presso il Teatro dell’architettura a cura di Marco Della Torre e Manuel Orazi, va visitata e apprezzata perché è proprio del posizionamento dell’Accademia di architettura – USI in questa lunga disputa storica che ci parla. La rassegna, come recita anche il sottotitolo, è dedicata alla “attività didattica 2022-23”, ma questa pur limitata circoscrizione dei lavori, o meglio, delle opere esposte, va presa in considerazione come un momento esemplare della scuola, che, al pari di un ritratto, pur mutando ogni anno, conserva le costanti morfologiche che lo individuano. Questa volontà ritrattistica viene subito dichiarata nello spazio introduttivo al primo piano del Teatro, dove si richiamano brevemente i lineamentiumanistici” impressi alla scuola dai fondatori Mario Botta e Aurelio Galfetti sin dalla fondazione nel 1996; lineamenti (termine caro appunto al sommo umanista Leon Battista Alberti) affiancati ai richiami di alcune scuole del secondo Novecento ritenute per certi aspetti consanguinee. Vengono così ricordate, con foto storiche e pubblicazioni anche originali, le esperienze della Hochscule für Gestaltung di Ulm (con ovviamente alle spalle la famosa Bauhaus), l’Architectural Association di Londra, l’Institute for Architecture and Urban Studies di New York, nonché la Facoltà di Architettura di Firenze e lo IUAV di Venezia degli anni sessanta e successivi. 

L’allontanamento dal primato politecnico, insieme al superamento «umanistico» dell’accademismo figurativo Beaux-Arts, non dimentichiamo comunque che la scuola di Mendrisio si chiamaAccademia di architettura”, è chiaramente enunciata già al piano terra del Teatro dell’architettura, dove si radunano i prolegomeni del “progetto” formativo. Qui tutto è centrato sul tema della rappresentazione architettonica: troviamo i quadri dell’atelier di pittura, le statue astratte dei primi esercizi di design e le grandi immagini che trasformano a loro volta in opere visive gli esercizi progettuali modellizzati degli studenti di primo anno, radunati sotto il titolo Architettura come senso dello spazio. Architettura produttrice di senso”, dettato dal professore responsabile Valerio Olgiati.

 

Corsi teorici e storici trasformati in materiale espositivo

Salendo al primo piano, una volta superata la breve illustrazione comparata con altre storiche scuole, l’esposizione introduce ai corsi degli anni successivi, che si snodano lungo l’anello della galleria per concludersi in quella del terzo piano. Tradurre in materiali espositivi i corsi teorici e storici è impresa ardua, e la mostra non può che soffrirne, cedendo all’inevitabilità dei ben noti “pannelli”. Anche questi, tuttavia, presto si riscattano per la prossimità alle rappresentazioni, legate in particolare ai corsi di tema territoriale e paesaggistico e ai workshop di cinema e fotografia, che tornano a valorizzare la mostra in quanto esposizione di arte visiva.

Mentre, con cadenza periodica, sugli schermi intanto scorrono altre immagini e interviste con docenti e studenti (molto coinvolti nell’allestimento), l’attenzione rimbalza di continuo verso il lato interno delle gallerie del Teatro dell’architettura disegnato da Botta, dove corre senza soluzione di continuità un autentico treno di modelli, che si raggruppano e densificano secondo grandi gruppi tematici: housing, architettura a scala territoriale, riuso del patrimonio, internazionalismo critico… Temi trattati nei diversi atelier di progettazione diretti da architetti quali Aires Mateus, Walter Angonese, Michele Arnaboldi, Valentin Bearth, Riccardo Blumer, Frédéric Bonnet, Kersten Geers, Grafton Architects, Quintus Miller, Nunes e Gomes, Bijoy Jain, Jonathan Sergison e Stephen Bates.

 

I grandi protagonisti, come se fossero quadri o sculture  

In effetti, sono proprio queste centinaia di modelli, di maquettes, di plastici a diversa scala e in diversi materiali, i protagonisti della mostra, che comunicano meglio di ogni altro lavoro il metodo pedagogico “rappresentativo” privilegiato dalla scuola, una scuola dove la pratica della modellazione materica è quasi un’ossessione, tanto da ritrovarla anche nei corsi più tecnologici, delle scienze esatte e costruttive. Il lavoro del disegno e della modellazione grafica su computer viene così assorbito sino a sparire, per riemergere infine in queste opere visive reificate in figure plastiche. I modelli, molti dei quali spiccano per qualità e chiedono di essere guardati come quadri e sculture, esaltando la loro autonomia artistica, mettono in subordine il loro valore propedeutico funzionale all’architettura reale, di cui sono, insieme, sì, ipotetica anticipazione, ma anche estetica sostituzione. 

D’altronde, il problema del distacco tra teoria e prassi nella formazione architettonica moderna è dibattuto da oltre un secolo, e davanti alle improbe difficoltà di ricucirlo negli anni universitari, nonostante le “visite in cantiere” e i periodi di apprendistato imposti agli studenti, come bene fa capire la mostra di Mendrisio, ai docenti spetta insegnare e agli allievi imparare il beau geste, il gesto nobile, le migliori intenzioni dell’architettura.

Immagine copertina © Enrico Cano

 

La scuola di Mendrisio. Un progetto – Attività didattica 2022-23
Fino al 30 giugno 2024
Teatro dell’architettura di Mendrisio
Università della Svizzera Italiana, via Turconi 25, Mendrisio
A cura di: Marco Della Torre e Manuel Orazi

Autore

  • Bruno Pedretti

    Scrittore e saggista milanese, da anni è docente presso l’Accademia di architettura - USI a Mendrisio. Ha lavorato per le case editrici Einaudi e La Nuova Italia. Ha curato le pagine culturali di «Casabella» ed è stato tra i fondatori de «Il Giornale dell’Architettura». È autore di saggi su arte, architettura, estetica: Il progetto del passato (1997), La forma dell’incompiuto (2007), Il culto dell'autore (2022), e di testi letterari: Charlotte. La morte e la fanciulla (1998, nuova ed. 2015), Patmos (2008), La sinfonia delle cose mute (2012), Il morbo della parola. Una tragedia (2020), Memoria della malinconia (2022). Ha partecipato alla curatela di mostre: Carlo Mollino architetto 1905-1973: costruire le modernità (Archivio di Stato, Torino 2006-2007), Gillo Dorfles. Kitsch: oggi il kitsch (Triennale di Milano, 2012), e curato personalmente: L’immagine maestra. Opere di Arduino Cantafora e dei suoi atelier (Museo d’arte Mendrisio, 2007) e Charlotte Salomon. Vita? o Teatro? (Palazzo Reale, Milano 2017)

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Last modified: 12 Marzo 2024