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Arianna PanarellaWritten by: Design Reviews

Gestualità della mano: Giovanni Ferrario in dialogo con Achille Castiglioni

Gestualità della mano: Giovanni Ferrario in dialogo con Achille Castiglioni

Con “Primo disegno” l’artista s’inserisce nella mostra “Fa ballà i man” alla Fondazione Achille Castiglioni (sempre a rischio sfratto)

 

MILANO. Negli impareggiabili spazi della Fondazione Achille Castiglioni ha inaugurato una nuova mostra – “Primo disegno”, di Giovanni Ferrario – che non va a sostituire l’esposizione di ricerca in corso, “Fa ballà i man” curata da Marco Marzini, bensì ad integrarsi, com’è nello spirito della Fondazione che ama relazionarsi con i progetti di oggi mettendo in luce il constante rapporto tra arte, design e mondo del progetto. 

 

“Fa ballà i man”

La mostra, già in corso, è un punto di vista inaspettato sul lavoro di Achille Castiglioni, un invito a sperimentare, a guardare gli oggetti in modo diverso, non con la semplificazione e la rapidità dell’occhio ma con la lentezza e la cura della mano. Da sempre in questo studio si toccano gli oggetti, si provano le sedie originali, si accendono le luci per capire come sono state progettate. Mentre in questo allestimento l’invito è a chiudere gli occhi e farsi guidare dalle mani, dai gesti, dal tatto. La selezione approfondisce gli oggetti che presentavano maggior interazione tra la forma e la mano, l’uso attraverso gesti semplici, all’apparenza banali, a cui i Castiglioni hanno dato un’attenzione particolare per indagare non l’estetica ma la funzionalità.

“Primo disegno”

La nuova esposizione porta all’interno della Fondazione le opere di Giovanni Ferrario, artista visivo le cui opere sono state esposte in mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Le sue non sono semplici fotografie, in quanto egli realizza manualmente vere e proprie opere d’arte, elaborati bidimensionali o piccoli oggetti tridimensionali che “trasforma” attraverso il suo strumento di elezione: uno scanner. Così, le sue immagini nascondono anche un lavoro denso di manualità, di processi, come i progetti dei Castiglioni.

Per la mostra sono state scelte con cura pochissime opere tra le molte realizzate, con la volontà di non intaccare il senso del lavoro già presente che indaga l’importanza della gestualità dietro il design. Ferrario riprende quindi questo tema e colloca con particolare attenzione otto opere all’interno delle stanze della Fondazione. Lavori che a loro volta raccontano di gesti attraverso mani, libri e crete posizionati in precisi punti all’interno dello studio per accentuarne il dialogo. Lasciando su due livelli distinti arte e design, si vuole portare il visitatore a trovare punti in comune tra i “propri” gesti, mentre prova a muovere gli oggetti di Castiglioni presenti in mostra, e i gesti poetici che compiono le mani di Ferrario nell’atto di agire sul vetro di uno scanner che poi definiranno le sue raffinate fotografie. Immagini misteriose che si celano dietro ad un gesto apparentemente ordinario, che diviene forma e scultura sospesa grazie alla scansione digitale e che rimandando alla progettualità di Castiglioni.

L’esposizione

In mostra, ad esempio, incontriamo una mano che, dopo aver raccolto briciole di pane (“Senza titolo” della serie “Il primo disegno”, dal 2010), le trasforma in un uccellino grazie alla cura e alla precisione del “disegno”. Questo gesto evoca poeticamente anche il raccogli briciole “Ala” (Alessi, 1996) e un aquilone a forma di uccello esposto nello studio, esempio del design anonimo che tanto amava Castiglioni. E ancora, la mano esposta nella ricchissima stanza dei prototipi che racconta il gesto dell’afferrare comune a molti degli oggetti di Castiglioni presenti, e a quei movimenti sottolineati anche dall’allestimento della ricerca di Marzini.

Quella di Ferrario è una mano che raccoglie una luna (“Senza titolo” della serie “Il primo disegno”, dal 2010), l’impossibile reso possibile, come molti dei progetti, spesso fonti luminose come anche la luna, raccontate in quella stanza. Sempre in questo spazio la fotografia di un uovo spezzato (“Senza titolo” dalla serie “Uova”, dal 2010), mostra un altro al suo interno, che rimanda alla luminosità della lampada “Brera” (Flos, 1992), nascosta dietro uno specchio che riflette a sua volta l’opera. Questa, appoggiata ad una libreria di fragilissime lastre fotografiche in vetro di Castiglioni, sottolineando così il fragile soggetto fotografico, rimanda anche al mistero dell’uovo di Piero della Francesca, importante riferimento per Castiglioni. Lavori inseriti in modo silenzioso, che sembrano essere stati qui da sempre. Una stratificazione infinita, dove il progetto di Marzini rilegge i Castiglioni, il progetto di Ferrario rilegge la mostra, lo studio e i progetti del maestro e, infine, a sua volta il lavoro della fotografa Allegra Martin rilegge tutti questi sguardi, fermandoli in fotografie curatissime raccolte nel catalogo della mostra.

 

L’eredità di Castiglioni, un patrimonio a rischio

Continua invece a non trovare soluzione lo sfratto della Fondazione dallo storio spazio di Piazza Castello a Milano che è stato lo studio del grande architetto e designer, uno degli artefici del successo del design italiano nel mondo. In questo spazio denso di progettualità la figlia, Giovanna Castiglioni, da molti anni porta avanti la memoria e gli insegnamenti del padre con mostre, incontri e attività che coinvolgono le scuole, i professionisti e gli appassionati del settore. In questi vent’anni i visitatori hanno avuto l’opportunità non solo d’immergersi tra gli oggetti di Castiglioni ma, anche, attraverso i documenti di archivio, di conoscere l’iter creativo di lavori noti anche ai non addetti ai lavori.

“Achille non avrebbe fatto una piega” di fronte a questo sfratto, dice la figlia, ma qualcosa deve essere fatto per questa fondazione e per altre, che hanno o avranno questi stessi problemi quando gli eredi non ci saranno più. Milano è ricca di queste realtà che rischiano di chiudere: gli studi Vico Magistretti, Franco Albini, Alessandro Mendini e Aldo Rossi, solo per citarne alcuni. Non solo spazi per attività, ma veri e propri archivi che devono essere tutelati. Se non riuscirà a farlo la Soprintendenza dovrebbe essere il Comune di Milano, città del design e della progettualità, a definire con concretezza la presenza di queste fondazioni sul territorio. 

Così come esistono le “Case museo”, è giunto il tempo d’istituire una rete di “Studi museo”. È davvero deludente che in tal senso, visto l’imminente sfratto, il Comune non stia facendo nulla. Il materiale, il sapere raccolto in questi spazi, è un patrimonio inestimabile per le generazioni future che non può andare perso.

Immagine copertina © Allegra Martin

 

Primo disegno: Giovanni Ferrario
dal 21 febbraio al 30 marzo
Fondazione Achille Castiglioni
fondazioneachillecastiglioni.it

 

Autore

  • Arianna Panarella

    Nata a Garbagnate Milanese (1980), presso il Politecnico di Milano si laurea in Architettura nel 2005 e nel 2012 consegue un master. Dal 2006 collabora alla didattica presso il Politecnico di Milano (Facoltà di Architettura) e presso la Facoltà di Ingegneria di Trento (Dipartimento di Edile e Architettura). Dal 2005 al 2012 svolge attività professionale presso alcuni studi di architettura di Milano. Dal 2013 lavora come libero professionista (aap+studio) e si occupa di progettazione di interni, allestimenti di mostre e grafica. Dal 2005 collabora con la Fondazione Pistoletto e dal 2013 con il direttivo di In/Arch Lombardia. Ha partecipato a convegni, concorsi, mostre e scrive articoli per riviste e testi

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Last modified: 28 Febbraio 2024