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Francesca PetrettoWritten by: Professione e Formazione

Zvi Hecker (1931-2023): «La buona architettura non può essere legale»

Zvi Hecker (1931-2023): «La buona architettura non può essere legale»

Instancabile disegnatore, artista sognatore e partigiano dell’architettura illegale

 

Il 24 settembre si è spento a Berlino Zvi Tadeusz Hecker, uno dei più grandi protagonisti dell’architettura del Novecento. Nato a Cracovia nel 1931, per anni in fuga da un odio antisemita mai troppo démodé in Europa (sic!), fu nascosto dai genitori dapprima in Siberia e poi, fino alla fine della seconda guerra mondiale, in Uzbekistan.

Gli anni trascorsi a Samarcanda avrebbero lasciato un segno indelebile sulla formazione della sensibilità artistica e della personalità cosmopolita del ragazzo che ne disegnava con acribia dal vero le fiabesche architetture dalle ricche decorazioni policrome e sinuose forme secondo un modus operandi “a sentimento” che mai avrebbe assoggettato negli anni alla più rigorosa pratica del fare architettura.

Finita la guerra gli Hecker tornarono in Polonia provando a ripartire da zero: Zvi s’iscrisse alla facoltà di architettura che frequentò negli anni 1949-50 ma fu subito chiaro che la sopravvivenza in patria sarebbe stata impossibile. Vittime di nuovi pogrom e privati di ogni bene, i mal tollerati sopravvissuti ebrei alla shoah e ai campi di concentramento (tedeschi e sovietici) furono dirottati in nuovi, disumani campi profughi, indesiderati intermundia sparsi in giro per l’Europa, in attesa di un passaggio per il Mandato britannico che non sarebbe mai arrivato, le navi per Haifa silurate dalla marina inglese e respinte dai suoi alleati in Medio Oriente, al contrario prodighi di accoglienza nei confronti di gerarchi nazisti in fuga da Norimberga.

In un quadro di disperazione ed abbandono ignoto ai più (e scomodo, e che perciò non è mai troppo ricordare), Hecker approda a Haifa a fine anni ’40, dal ’50 al ’54 studiando architettura presso lo storico Technion e subito dopo, a Tel Aviv per la leva militare, pittura all’Accademia Avni, per tutta la vita amando definirsi «un artista la cui professione è l’architettura» e «un uomo che disegna perché lo aiuta a pensare».

Folgorato dall’incontro col maestro Alfred Neumann (già allievo di Peter Behrens) ed entrando subito nel geniale, esplosivo team di architetti (con Arieh e Eldar Sharon) che avrebbe avuto un’influenza decisiva sul modernismo israeliano anni ’60, fonda con loro nel 1958 lo studio Neumann-Hecker-Sharon, vincitore del concorso per il Municipio di Bat Yam, capolavoro di architettura brutalista.

Nel 1968 Hecker si mette in proprio dando avvio ad una fenomenale carriera di successi su scala planetaria: partecipa alla pianificazione urbana di Tel Aviv, Montreal e Filadelfia; insegna in molte rinomate scuole di architettura internazionali; è membro dell’Associazione degli ingegneri e degli architetti di Israele e del Royal Architectural Institute del Canada; vinse una serie interminabile di concorsi dentro e fuori Israele: dal deserto del Negev a Tel Aviv e Gerusalemme, da Palm Springs in California ad Amsterdam, dalla tedesca Duisburg a Berlino.

Qui si trasferisce, nel 1991, durante il caos del post-Wende e per seguire dal suo piccolo studio di Prenzlauer Berg, aperto all’uopo non lontano dal cantiere, la costruzione della fenomenale Heinz-Galinski-Schule (1995), che vince il prestigioso Premio della critica tedesca per l’Architettura.

In oltre 60 anni di carriera non smise mai di dipingere e di lasciarsi guidare ed ispirare dal disegno e dalla scultura: oltre ai progetti di architettura e pianificazione urbana, si occupò sempre di arte, installazioni luminose, dipinti e design di mobili, esponendo in importanti mostre personali in giro per il mondo. Disegno a mano di forme in evoluzione, infaticabile lavoro progressivo, prassi operativa e strumento d’indagine, approccio artistico a matita su carta e poi plastico/scultoreo a progetti di edifici in cui si divertiva a scomporre il compito edilizio in corpi stereometrici per poi riassemblarli spazialmente in composizioni monumentali a spirale dentro un linguaggio ricco di metafore (la spirale – l’evoluzione spiraliforme generatrice della forma – Babele; la morfologia naturale, di fiori, piante ed altri organismi – la generazione dei corpi organici dell’architettura).

Con Hecker se n’è andato uno degli ultimi, grandi architetti-artisti del XX secolo, un rivoluzionario dai modi gentili, instancabile partigiano contro le convenzioni architettoniche e tutti gli ismi, convinto che la vera, buona architettura può essere realizzata solo con deliberate violazioni di norme e regolamenti: la sua riluttanza a scendere a compromessi nell’esecuzione delle sue creature architettoniche rimane leggendaria e argomento di molti gustosi aneddoti.

Epitome dell’integrità, grande sognatore e sostenitore radicale di un’architettura vitale e socialmente più giusta, intellettuale di respiro internazionale capace sempre d’interpretare la realtà con acutezza e attraverso la lente dell’esperienza personale in terre aspre e lontane, distante dagli ideali mainstream dell’architettura contemporanea, ha sempre dato priorità alle necessità fisiche e psicologiche dell’individuo, rispettando il genius loci culturale, per riposizionare l’essere umano al centro della progettazione architettonica. Ci mancherà.

 

 

 

Autore

  • Francesca Petretto

    Nata ad Alghero (1974), dopo la maturità classica conseguita a Sassari si è laureata all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Ha sempre affiancato agli aspetti più tecnici della professione la passione per le humanae litterae, prediligendo la ricerca storica e delle fonti e specializzandosi in interventi di conservazione di monumenti antichi e infine storia dell'architettura. Vive a Berlino, dove esegue attività di ricerca storica in ambito artistico-architettonico e lavora in giro per la Germania come autrice, giornalista freelance e curatrice. Scrive inoltre per alcune riviste di architettura e arte italiane e straniere

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Last modified: 23 Ottobre 2023